Cambia casa ogni due mesi, sa che potrebbe essere uccisa da un momento all'altro ma non si pente di aver gettato in faccia ai "signori della guerra" le loro colpe, detto loro che dovrebbero essere portati fuori dal Parlamento e davanti a un tribunale internazionale. Parla di un Afghanistan sempre più massacrato Malalai Joya, "un Paese in cui, negli ultimi tre anni, è stato commesso ogni tipo di atrocità nel nome del socialismo, della religione, della libertà e della democrazia".
La parlamentare afgana un anno fa è stata sospesa per aver accusato i criminali di guerra, per aver puntato il dito contro la corruzione. Da allora è nel mirino di fondamentalisti, talebani, signori della guerra. Non per questo è diventata più malleabile. Definisce il presidente afgano Karzai, nel suo inglese veloce e autoappreso ("le lezioni costavano care, non avevo soldi, ascoltavo guardando dal buco della serratura") "puppet", fantoccio, nelle mani di chi comanda veramente in Afghanistan. Malalai però non ha mai pensato di lasciare il suo Paese: "Tanti perderebbero la speranza". Lei non la perde. "Malalai è un nome molto popolare nel nostro Paese - spiega la deputata- è la donna che guidò la riscossa contro i britannici in una battaglia di due secoli fa nel deserto di Kandahar. I britannici stavano vincendo. Malalai afferrò la bandiera afgana, incitò gli uomini a non perdersi d'animo, si batté alla loro testa, li trascinò avanti, fu colpita". Anche Malalai e la sorella Fatima, quando si saranno laureate, vogliono tornare nel loro Paese: "Noi amiamo l'Afghanistan, e vogliamo fare qualcosa per migliorarlo".
Da quando ha denunciato i criminali di guerra presenti in Parlamento ha mai avuto l'opportunità di parlarne con il presidente Karzai?
"Lui è solo un fantoccio. Dice di credere fermamente nella libertà di parola, e il giorno dopo il suo ministro della Cultura lo contraddice dicendo che è una libertà della quale non abbiamo bisogno. Un giorno la gente gli chiederà conto di quello che sta facendo, e soprattutto di quello che non sta facendo".
Su chi può contare allora, oltre che sull'appoggio di chi l'ha votata e la sostiene? Sulla comunità internazionale?
"Recentemente il direttore dei Servizi segreti americani, Michael McConnell, ha ammesso che in Senato che il 70% dell'Afghanistan è senza legge e che il governo afgano controlla a malapena il 30% del territorio, per gran parte sotto il controllo dei talebani e dei signori della guerra. Se in questo momento le forze internazionali ci lasciassero, nel Paese esploderebbe la guerra civile. Ma dovrebbero aiutarci davvero a riportare democrazia e giustizia. Dovrebbero aiutarci, non occuparci, cercando di protrarre l'occupazione magari per i prossimi decenni. Anche gli aiuti economici dovrebbero essere indirizzati diversamente: troppi soldi ai signori della guerra anziché alla ricostruzione, e loro li tengono ben custoditi nei loro conti all'estero".
In Afghanistan non c'è niente che sia cambiato in meglio dalla destituzione del regime dei talebani?
"Per certi versi la situazione è peggiorata, soprattutto per le donne. Un'indagine dell'Unifem attesta che l'80% delle donne afgane è vittima di violenza almeno una volta nella vita. La vita media è di 44 anni. Ci sono casi di stupri e omicidi anche contro bambine. Secondo le statistiche ufficiali nei primi 6 mesi del 2007 ci sono stati 250 suicidi di donne, ma il numero è molto più alto. L'istruzione è sempre più un miraggio. Anche la corruzione è un grave problema, così come il traffico dell'oppio".
Cosa possono fare i Paesi occidentali secondo lei per aiutare veramente l'Afghanistan? "I media parlano della democratizzazione e della liberazione dell'Afghanistan, ma gli Usa e i loro alleati sono coinvolti nel sostegno ai signori della guerra e al traffico di stupefacenti. L'Alleanza del Nord dovrebbe essere rimossa dal potere e disarmata sul serio. Come è successo per il signore della guerra Ismael Khan, non nel modo ridicolo e inutile in cui analoghe operazioni sono state compiute negli ultimi tempi. La comunità internazionale dovrebbe controllare in modo rigoroso che Pakistan, Iran, Russia e Uzbekistan smettano di fornire armi ai talebani e all'Alleanza del Nord. Le forze veramente democratiche del Paese dovrebbero essere incoraggiate e sostenute. Ma con un termine, perché non c'è dubbio che abbiamo bisogno del sostegno internazionale, ma la storia dimostra che è responsabilità di ogni Paese lottare per la libertà e la democrazia".
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