domenica 3 febbraio 2008

La mia Africa/6. Giornalismo all'italiana


Il giornalismo italiano fa ridere. Quello fatto in Africa dai nostri media è pura disinformazione. Quando scoppia una guerra civile in qualche Paese del Continente nero, tipo il Kenya e il Ciad per esempio, i grandi quotidiani, periodici e tv nostrani di cosa s'interessano? Non di quello che succede davvero alla gente di quel posto. No, questo non interessa a nessuno. Parlano di quanti italiani sono stati tratti in salvo, se c'è pericolo per i turisti italiani, se ci sono missionari e così via blaterando. Cioè parlano di un centinaio di persone privilegiate, di cui a nessuno importa nel Paese dove si sono stabiliti, rispetto ai milioni che stanno soffrendo e le migliaia che stanno morendo, spesso anche per nostre responsablità. Qui di seguito vi racconto una mia esperienza personale di quando vivevo in Costa d'Avorio, pochi anni fa.
Nel 1995 mi trovavo a Grand Bassam, a pochi chilometri dalla capitale amministrativa Abidjan, dove mi ero stabilito e insieme a mia moglie gestivo un ristorantino, il "Balafon". Una sera il lettore dell'Ambasciata italiana di Abidjan, tale Enzo (che naturalmente al suo rientro il Italia scrisse il suo bel libricino sulle usanze del posto, stile superficial-Veltroni, cioè senza aver capito una mazza di niente di quello di cui stava parlando), venne a trovarmi insieme all'inviato esperto dell'Africa di uno dei maggiori quotidiani nazionali, tale Massimo. Chi meglio di me, giornalista e stanziale, conoscitore della Liberia, poteva aiutare un povero inviato di un grande quotidiano italiano ad arrivare nella capitale liberiana Monrovia in tempo di guerra cvile, non per verificare i morti ammazzati, ma per fare un'intervista ad una coppia di avventurieri italiani che era rimasta incastrata negli scontri interetnici e per fare un reseconto ai tifosi del calcio italiani di quanto i liberiani dessero importanza al giocatore del Milan, Weah, che forse in futuro sarebbe sceso in politica nel suo Paese di origine.
L'inviato speciale venne con una collaboratrice italiana, altra "esperta" dell'Africa mordi e fuggi, con la quale condivideva la sua suite di lusso nel più prestigioso albergo di Abidjan, naturalmente tutto a spese del giornale per cui lavorava. Mangiò al mio ristorantino, pagò il conto con 60 dollari per lui e la sua amichetta e discutemmo del più e del meno e di come potesse entrare in Liberia con una situazione di guerra civile.
Gli spiegai che se era veramente interessato potevo accompagnarlo io perchè già c'ero stato tre volte, prendendo tutte le dovute precauzioni. Mi disse che ci avrebbe pensato ma che preferiva muoversi solo con gli americani che era più sicuro. Gli dissi che così non sarebbe mai entrato a Monrovia perchè gli americani e i caschi blu erano intrappolati in un quartiere della capitale liberiana, il Mamba Point, e che da lì non si potevano muovere e nemmeno raggiungere chicchessia.
Mi salutò e se ne andò. Poi seppi che gli articoli li aveva scritti dal lussuoso hotel ad Abidjan, in compagnia della sua amichetta collaboratrice esperta di Africa, e che a Monrovia non ci era mai andato. In Italia l'ho rincontrato e lo ho soprannominato "lo strappone".
Giornalismo all'italiana.

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