Abdoulaye faceva il meccanico e, a tempo perso, l'autista personale di quello o di quello a Grand Bassam, ridente cittadina semituristica a 30 km di Abidjan, la capitale amministrativa della Costa d'Avorio. Presentatomi da un comune amico del luogo, il proprietario delle mura del primo ristorante da me gestito sulla laguna poi rivelatosi un vero sola, come di dice a Roma, Abdoulaye era diventato il mio meccanico e il mio autista di fiducia in terra d'Africa. Quando avevo un problema alla mia Subaru, chiamavo lui e me lo risolveva. Se ero fuori casa per lavoro o per diletto lui accompagnava mia moglie in giro come autista sempre con la mia auto 4x4. In pochi mesi era diventato il mio uomo di fiducia e aveva conquistato le mie simpatie e quelle della mia famiglia.
Abdoulaye non aveva più di 30 anni, era djoula, l'etnia proveniente dalla Guinea commerciante e musulmana, si vestiva in maniera tradizionale e viveva nella zona centrale di Grand Bassam insieme alla sua famiglia. Diverse volte mi invitò a casa sua e me li presentò. Lo portai anche con me in un lungo viaggio in Liberia via terra, proprio per intervenire su eventuali guasti alle diverse macchine del convoglio che avevamo formato. Insomma, di lui mi fidavo. Male me ne incolse.
Un giorno, seduti al mio maquis (il ristorantino) a sorseggiare qualcosa che non fosse alcol, Abdoulaye, prendendola molto alla larga, iniziò a parlarmi di amici con valigie piene di dollari. Che avevano però una particolarità, le banconote erano sporche di un inchiostro particolare. Ma lui conosceva chi poteva ripulirle. Una storia che puzzava lontano un miglio, che in Africa conoscono anche i bambini e che anche in Italia oggi è nota con i servizi di "Striscia la notizia". Ma io, il pollo di turno, nel 1995, pur se con tutte le precauzioni volli andare a vedere la trappola che il mio fido meccanico mi stava preparando a mia insaputa.
Mi disse che la valigia con i dollari sporchi era a casa sua ben nascosta e che l'avevano lasciata lì dei liberiani che l'avevano rubata al presidente Taylor, che aveva macchiato le banconote per non farsele rubare, tanto aveva un diluente segreto per rimetterle a nuovo. Mi convinse ad andare a casa sua e mi mostrò la valigetta con una massa informe di banconote nerastre. Poi mi propose un appuntamento con chi aveva il diluente per fare una prova e verificare che i dollari sarebbero tornati come nuovi. Se mi fossi convinto, con poco meno di seimila euro, avrei potuto ottenere il prezioso liquido ripulendo così tutta la valigia piena di dollari, per un valore di milioni di euro.
Naturalmente non credevo ad una parola di quello che mi raccontava ma, credendo che fosse una persona fidata, volevo vedere fino a che punto si voleva spingere per spillarmi qualche soldo, magari per questo famoso ripulente. Quella forma di persuasione durò qualche mese, lui si prodigò in tutti i modi per far vedere quanto mi voleva bene e ogni tanto tornava a ricordarmi la storia della valigia piena di dollari sporchi. Alla fine, stanco delle sue insistenze, e forse anche un po' convinto dalle sue proposte, gli dissi di farmi vedere i dollari "lavati" che poi avremmo fatto l'affare, pattuendo già da subito che avremmo diviso un terzo a lui e il restante a me. Io, però, dovevo metterci i soldi per il diluente perchè lui non aveva il becco di un quattrino e la sua famiglia era numerosa.
Un giorno mi portò una ventina di dollari buoni dicendomi che provenivano dalla famosa valigia e che la persona con il liquido segreto era arrivata in città. L'affare o si faceva adesso o mai più, mi comunicò Abdoulaye, perchè presto i liberiani sarebbero venuti a riprendersi la valigia. Non so quale momento di farloconneria mi prese, fatto sta che mi recai in banca con il "fidato" meccanico e ritirai quanto serviva per pagare il diluente. Rimisi la somma nelle mani di Abdoulaye e non la rividi mai più... .
I mesi successivi Abdoulaye si inventò le scuse più disparate per giustificare il ritardo e la scomparsa delal valigia piena di dollari. Quando iniziai ad arrabbiarmi e a minacciarlo che sarei andato alla polizia se non mi avesse restituto i soldi che gli avevo dato, Abdoulaye mi rise in faccia dicendomi che li aveva spesi tutti e mi mostrò la sua vera natura, quella di un truffatore. Io di natura scoprii la mia, quella del pirla.
Quella cifra, seimila euro, in Italia non sono molti, ma in Costa d'Avorio erano tantissimi, quasi due anni di uno stipendio medio. Quando ne parlai a mia moglie qualche tempo dopo, lei trasecolò e mi guardò come fossi l'ultimo degli imbecilli. Come dargli torto. Certo per me, pur non credendo fino in fondo alle storie di Abdoulaye, era stato come un gioco e dei soldi persi, in fondo, mi importava fino ad un certo punto. Per la mia moglie africana non era proprio così ed organizzò, all'ivoriana, il recupero della somma a me sottratta, ed anche a lei d'altronde.
Non andò direttamente alla polizia che, in Africa, diciamo è un po' particolare e si presta al miglior offerente. Un giorno invitò a casa nostra a pranzo un commissario di Grand Bassam al quale, onorato del nostro invito, spiegammo più o meno quello che era successo e gli promettemmo un dieci per cento per la somma che riusciva a recuperare. Alla fine del pranzo ci rassicurò e ci promise che ci avrebbe pensato lui. E in effetti lo fece.
Senza prove nè niente, ma basandosi sul nostro racconto di persone perbene e rispettabili, andò a prendere Abdoulaye e lo mise in cella. Il meccanico negava tutto e aveva le lacrime agli occhi. Dopo qualche giorno di gattabuia continuava a negare la truffa ai miei danni ma un suo zio, ricco djoula possidente di bus, intervenne dicendo che i soldi, se mai li aveva presi suo nipote, ormai non c'erano più ma che, comunque, lui si impegnava per Abdoulaye a versare un tanto al mese fino al recupero dell'intera somma. Il commissario ci informò e accettammo la transazione, che fu firmata su un foglio apposito. Riuscimmo a recuperare, in un paio d'anni, la metà della somma, poi lasciammo perdere perchè la famiglia del meccanico continuava a piangere miseria e il commissario nostro amico fu trasferito.
Questa è la storia di Abdoulaye e dei dollari falsi.
Abdoulaye non aveva più di 30 anni, era djoula, l'etnia proveniente dalla Guinea commerciante e musulmana, si vestiva in maniera tradizionale e viveva nella zona centrale di Grand Bassam insieme alla sua famiglia. Diverse volte mi invitò a casa sua e me li presentò. Lo portai anche con me in un lungo viaggio in Liberia via terra, proprio per intervenire su eventuali guasti alle diverse macchine del convoglio che avevamo formato. Insomma, di lui mi fidavo. Male me ne incolse.
Un giorno, seduti al mio maquis (il ristorantino) a sorseggiare qualcosa che non fosse alcol, Abdoulaye, prendendola molto alla larga, iniziò a parlarmi di amici con valigie piene di dollari. Che avevano però una particolarità, le banconote erano sporche di un inchiostro particolare. Ma lui conosceva chi poteva ripulirle. Una storia che puzzava lontano un miglio, che in Africa conoscono anche i bambini e che anche in Italia oggi è nota con i servizi di "Striscia la notizia". Ma io, il pollo di turno, nel 1995, pur se con tutte le precauzioni volli andare a vedere la trappola che il mio fido meccanico mi stava preparando a mia insaputa.
Mi disse che la valigia con i dollari sporchi era a casa sua ben nascosta e che l'avevano lasciata lì dei liberiani che l'avevano rubata al presidente Taylor, che aveva macchiato le banconote per non farsele rubare, tanto aveva un diluente segreto per rimetterle a nuovo. Mi convinse ad andare a casa sua e mi mostrò la valigetta con una massa informe di banconote nerastre. Poi mi propose un appuntamento con chi aveva il diluente per fare una prova e verificare che i dollari sarebbero tornati come nuovi. Se mi fossi convinto, con poco meno di seimila euro, avrei potuto ottenere il prezioso liquido ripulendo così tutta la valigia piena di dollari, per un valore di milioni di euro.
Naturalmente non credevo ad una parola di quello che mi raccontava ma, credendo che fosse una persona fidata, volevo vedere fino a che punto si voleva spingere per spillarmi qualche soldo, magari per questo famoso ripulente. Quella forma di persuasione durò qualche mese, lui si prodigò in tutti i modi per far vedere quanto mi voleva bene e ogni tanto tornava a ricordarmi la storia della valigia piena di dollari sporchi. Alla fine, stanco delle sue insistenze, e forse anche un po' convinto dalle sue proposte, gli dissi di farmi vedere i dollari "lavati" che poi avremmo fatto l'affare, pattuendo già da subito che avremmo diviso un terzo a lui e il restante a me. Io, però, dovevo metterci i soldi per il diluente perchè lui non aveva il becco di un quattrino e la sua famiglia era numerosa.
Un giorno mi portò una ventina di dollari buoni dicendomi che provenivano dalla famosa valigia e che la persona con il liquido segreto era arrivata in città. L'affare o si faceva adesso o mai più, mi comunicò Abdoulaye, perchè presto i liberiani sarebbero venuti a riprendersi la valigia. Non so quale momento di farloconneria mi prese, fatto sta che mi recai in banca con il "fidato" meccanico e ritirai quanto serviva per pagare il diluente. Rimisi la somma nelle mani di Abdoulaye e non la rividi mai più... .
I mesi successivi Abdoulaye si inventò le scuse più disparate per giustificare il ritardo e la scomparsa delal valigia piena di dollari. Quando iniziai ad arrabbiarmi e a minacciarlo che sarei andato alla polizia se non mi avesse restituto i soldi che gli avevo dato, Abdoulaye mi rise in faccia dicendomi che li aveva spesi tutti e mi mostrò la sua vera natura, quella di un truffatore. Io di natura scoprii la mia, quella del pirla.
Quella cifra, seimila euro, in Italia non sono molti, ma in Costa d'Avorio erano tantissimi, quasi due anni di uno stipendio medio. Quando ne parlai a mia moglie qualche tempo dopo, lei trasecolò e mi guardò come fossi l'ultimo degli imbecilli. Come dargli torto. Certo per me, pur non credendo fino in fondo alle storie di Abdoulaye, era stato come un gioco e dei soldi persi, in fondo, mi importava fino ad un certo punto. Per la mia moglie africana non era proprio così ed organizzò, all'ivoriana, il recupero della somma a me sottratta, ed anche a lei d'altronde.
Non andò direttamente alla polizia che, in Africa, diciamo è un po' particolare e si presta al miglior offerente. Un giorno invitò a casa nostra a pranzo un commissario di Grand Bassam al quale, onorato del nostro invito, spiegammo più o meno quello che era successo e gli promettemmo un dieci per cento per la somma che riusciva a recuperare. Alla fine del pranzo ci rassicurò e ci promise che ci avrebbe pensato lui. E in effetti lo fece.
Senza prove nè niente, ma basandosi sul nostro racconto di persone perbene e rispettabili, andò a prendere Abdoulaye e lo mise in cella. Il meccanico negava tutto e aveva le lacrime agli occhi. Dopo qualche giorno di gattabuia continuava a negare la truffa ai miei danni ma un suo zio, ricco djoula possidente di bus, intervenne dicendo che i soldi, se mai li aveva presi suo nipote, ormai non c'erano più ma che, comunque, lui si impegnava per Abdoulaye a versare un tanto al mese fino al recupero dell'intera somma. Il commissario ci informò e accettammo la transazione, che fu firmata su un foglio apposito. Riuscimmo a recuperare, in un paio d'anni, la metà della somma, poi lasciammo perdere perchè la famiglia del meccanico continuava a piangere miseria e il commissario nostro amico fu trasferito.
Questa è la storia di Abdoulaye e dei dollari falsi.
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