domenica 30 agosto 2009
sabato 29 agosto 2009
Impeachement del premier. Non gli resta che dimettersi.
"Il sito del nuovissimo Giornale registrava ieri come "il più letto" l'articolo intitolato "Boffo, il supercensore condannato per molestie". L'ho letto anch'io. E ho letto anche, come tutti i giorni da molti anni, l'Avvenire. Alla fine mi sono chiesto se le "rivelazioni" su Dino Boffo, direttore dell'Avvenire, anche a prescindere dalla loro dubbia accuratezza (e in assenza della versione dell'imputato) avessero influito sulla mia lettura del quotidiano, tirando addosso ai suoi argomenti un sospetto di ricatto o di coda di paglia. Mi sono risposto francamente di no. Ci ho letto, con il solito interesse, una pagina dedicata a Timor dieci anni dopo: infatti l'Avvenire è fra i quotidiani più attenti ai problemi internazionali, e fa tesoro delle fonti peculiari di comunità e missioni cattoliche. Ho letto gli articoli che ogni giorno trattano di questioni cosiddette bioetiche, e come ogni giorno ne ho tratto argomenti al mio dissenso. Ho letto con riconoscenza le pagine sull'umanità immigrata e sull'umanità incarcerata. Ho letto gli articoli sulla Perdonanza di Celestino, che piuttosto vistosamente eludevano la cena fra Bertone e Berlusconi, andata poi felicemente di traverso. Ho letto le pagine culturali di Agorà e quella delle lettere, fino alla rubrica quotidiana di Rosso Malpelo, che mi pizzica ogni tanto, ripizzicato. Stando così le cose, che le "rivelazioni" del nuovissimo Giornale siano vere o false o, peggio ancora, mezzo vere o mezzo false, non mi importa niente. La vita sessuale di Boffo, sulla quale non a caso non mi sarei mai interrogato, non ha alcun rilievo per me - e per qualunque altra persona seria- se non quando si provasse che inficia la sua lealtà e serenità professionale. In questo l'alibi dell'aggressione giornalistica contro di lui è del tutto fittizio: "Voi frugate nel letto di Berlusconi, e noi facciamo altrettanto nei vostri". Boffo non è il capo del governo, e nemmeno un sottocapo: non ha barattato le proprie relazioni private con prebende pubbliche. I suoi fatti sono fatti suoi.
I suoi aggressori perfezionano l'alibi della ritorsione con la pretesa di una magnanima campagna contro "il moralismo". Il moralismo è uno di quei gomitoli di cui si è perso il capo, a furia di ingarbugliare. Ha un fondo da tenere fermo: che, con pochissime patologiche eccezioni, le persone di una società sanno che cosa è bene e che cosa è male. Che lo sappiano, non assicura affatto che seguano il bene e si astengano dal male. "Non bisogna giudicare gli uomini dalle loro azioni. Tutti possono dire come Medea: video meliora proboque, deteriora sequor". Vedo bene che cosa è il meglio, ma poi vado dietro al peggio. (Ho citato Diderot che cita la Medea innamorata di Ovidio: un po' di sbieco illuminista fa bene, ai nostri giorni. Ma bastava l'evangelista Giovanni). Tuttavia, reciprocamente, che le persone agiscano male non significa affatto che ignorino che cosa è bene, e addirittura lo proclamino. Quando lo proclamano troppo stentoreamente, dimenticandosi di allegare la propria incoerenza, allora il moralismo diventa una disgustosa ipocrisia. E' avvenuto platealmente nelle manifestazioni sull'indissolubilità sacra delle famiglie guidate da poligami ferventi, o sull'inesorabilità della punizione di prostitute e clienti da parte di puttanieri e cortigiane (scortum impudens satis - una escort davvero svergognata: così il cronista Liutprando a proposito di Marozia, concubina di papi e papessa lei stessa, in quel secolo X che si chiamò pornocrazia ). Ora l'equivoco cui Berlusconi (d'ora in poi B.: ragioni di spazio) e i suoi difensori si aggrappano è appunto quello dell'invasione moralista nei suoi vizi privati, a scapito delle sue pubbliche virtù. E dunque la rappresaglia - almeno dieci per uno, come nelle migliori rappresaglie- affidata alla Grande Berta del nuovissimo Giornale. Ma io, per esempio (che sono ufficialmente pregiudicato, e personalmente peccatore in congedo, per effetto se non altro delle stesse vicissitudini cliniche che hanno dotato altri più fortunati del premio della satiriasi senile, che i desideri avanza) non mi sarei mai piegato a rovistare nei costumi e nelle pratiche sessuali di B. o di altri, qualunque piega avessero. Come me, direi, questo intero giornale. E non mi sarei mai augurato una pubblica campagna che approdasse a un'invadenza e una persecuzione delle scelte sessuali di adulti capaci, o supposti capaci, di intendere e di volere. Ma si è trattato d'altro, fin dall'inizio: intanto, dall'inizio, dell'allusione diretta a frequentazioni di minori, a una condizione patologica, all'usanza invalsa e contagiosa di fare di incontri sessuali ossessivi, grossolanamente e ridicolmente maschilisti e per giunta mercenari l'introduzione, metà elargita metà estorta, a pubbliche carriere elettorali, governative, spettacolari. E di un contraccolpo irreparabile di discredito e di ricattabilità. B. non governa più, benché dia in certi momenti più inconsulti l'impressione di spadroneggiare, che è altra cosa. E' lì - sia detto a proposito del 25 luglio - per questo: perché altri sgovernano e spadroneggiano assai più licenziosamente alle sue spalle, e di quegli altri bisognerebbe tenere ogni conto già mentre lo sgombero è incompiuto, e minaccia di travolgere tutti. B., come succede, vuole vendere cara la pelle. E siccome è molto ricco, la venderà molto cara. L'inversione della sua politica degli ingaggi all'indomani della rotta - fuori Kakà, dentro Feltri - lo proclama. E già un solo giorno ha visto scattare la controffensiva così a lungo dilazionata del nuovo attacco. Gran colpi, combinati: la denuncia delle dieci domande di Repubblica alla magistratura, l'assalto molto sotto la cintura a Boffo, e con lui alla Chiesa cattolica romana, che dopotutto non aveva lesinato indulgenze ed elusioni nei confronti dello scandalo politico e civico, oltre che morale, del capo del governo. L'ostentata persuasione di poter forzare un qualche tribunale all'intimidazione della stampa libera, se non la pura disperazione, hanno ispirato la denuncia contro Repubblica: la quale non avrebbe desiderato di meglio che di discutere ovunque, e anche in un tribunale, di quelle domande senza risposta - o con la più nitida delle risposte- ripetute non a caso ostinatamente, in bilico fra una frustrazione e una determinazione catoniana. E insieme la scelta di distruggere in effigie il direttore del giornale dei vescovi italiani e di far intendere alla suocera vaticana che, quando si spingesse ad applicare a B. un centesimo della severità con cui maneggia le comuni presunte peccatrici, la guerra diventerebbe senza quartiere. A questa, chiamiamola così, strategia, presiede il principio secondo cui non c'è maschio, credente o no, laico o chierico, che non si possa prendere con le mani nel sacco di qualche magagna sessuale. (Maschio, dico, perché negli strateghi della controffensiva la guerra resta guerra fra maschi, e le digressioni servono tutt'al più a insultare le donne altrui o a sfregiare le proprie sospette di intelligenza col nemico). La Grande Berta, l'ho chiamata. Vi ricordate, la scena di artiglieria pesante all'inizio del Grande Dittatore. Naturalmente, possono fare molto male i tiri pesanti ad alzo zero. Possono davvero umiliare le persone e devastare le famiglie. B. non può rinfacciare a nessuno di aver attentato alla sua famiglia. Possono fare molto male, ma è difficile che possano prevalere, direi. Le due cannonate strategiche di giovedì, per esempio, denuncia contro Repubblica ed esecuzione sommaria di Boffo, all'una di venerdì avevano già fatto cancellare la famosa cena della Perdonanza. Alle 13,40 di ieri ci si chiedeva se Gheddafi non volesse togliersi lo sfizio - se ne toglie parecchi, avete visto- di disdire il pranzo con B., e tenersi graziosamente le Frecce tricolori. Nel tardo pomeriggio poi B. si è dissociato dal Giornale, cioè da se stesso. E domani è un altro giorno. Le guerre, tanto più quelle senza quartiere, non fanno bene a nessuno. B. ha una mossa vincente: dimettersi, e piantarla una volta per tutte con l'incubo del potere. Che gusto c'è ormai? Non può più invitare i capi di Stato stranieri a Villa Certosa. Nemmeno cenare all'Aquila con un Segretario di Stato straniero. Non ha da perdere che qualcuna delle sue catene televisive. Ha un'intera vita privata da riconquistare". (Adriano Sofri)
I suoi aggressori perfezionano l'alibi della ritorsione con la pretesa di una magnanima campagna contro "il moralismo". Il moralismo è uno di quei gomitoli di cui si è perso il capo, a furia di ingarbugliare. Ha un fondo da tenere fermo: che, con pochissime patologiche eccezioni, le persone di una società sanno che cosa è bene e che cosa è male. Che lo sappiano, non assicura affatto che seguano il bene e si astengano dal male. "Non bisogna giudicare gli uomini dalle loro azioni. Tutti possono dire come Medea: video meliora proboque, deteriora sequor". Vedo bene che cosa è il meglio, ma poi vado dietro al peggio. (Ho citato Diderot che cita la Medea innamorata di Ovidio: un po' di sbieco illuminista fa bene, ai nostri giorni. Ma bastava l'evangelista Giovanni). Tuttavia, reciprocamente, che le persone agiscano male non significa affatto che ignorino che cosa è bene, e addirittura lo proclamino. Quando lo proclamano troppo stentoreamente, dimenticandosi di allegare la propria incoerenza, allora il moralismo diventa una disgustosa ipocrisia. E' avvenuto platealmente nelle manifestazioni sull'indissolubilità sacra delle famiglie guidate da poligami ferventi, o sull'inesorabilità della punizione di prostitute e clienti da parte di puttanieri e cortigiane (scortum impudens satis - una escort davvero svergognata: così il cronista Liutprando a proposito di Marozia, concubina di papi e papessa lei stessa, in quel secolo X che si chiamò pornocrazia ). Ora l'equivoco cui Berlusconi (d'ora in poi B.: ragioni di spazio) e i suoi difensori si aggrappano è appunto quello dell'invasione moralista nei suoi vizi privati, a scapito delle sue pubbliche virtù. E dunque la rappresaglia - almeno dieci per uno, come nelle migliori rappresaglie- affidata alla Grande Berta del nuovissimo Giornale. Ma io, per esempio (che sono ufficialmente pregiudicato, e personalmente peccatore in congedo, per effetto se non altro delle stesse vicissitudini cliniche che hanno dotato altri più fortunati del premio della satiriasi senile, che i desideri avanza) non mi sarei mai piegato a rovistare nei costumi e nelle pratiche sessuali di B. o di altri, qualunque piega avessero. Come me, direi, questo intero giornale. E non mi sarei mai augurato una pubblica campagna che approdasse a un'invadenza e una persecuzione delle scelte sessuali di adulti capaci, o supposti capaci, di intendere e di volere. Ma si è trattato d'altro, fin dall'inizio: intanto, dall'inizio, dell'allusione diretta a frequentazioni di minori, a una condizione patologica, all'usanza invalsa e contagiosa di fare di incontri sessuali ossessivi, grossolanamente e ridicolmente maschilisti e per giunta mercenari l'introduzione, metà elargita metà estorta, a pubbliche carriere elettorali, governative, spettacolari. E di un contraccolpo irreparabile di discredito e di ricattabilità. B. non governa più, benché dia in certi momenti più inconsulti l'impressione di spadroneggiare, che è altra cosa. E' lì - sia detto a proposito del 25 luglio - per questo: perché altri sgovernano e spadroneggiano assai più licenziosamente alle sue spalle, e di quegli altri bisognerebbe tenere ogni conto già mentre lo sgombero è incompiuto, e minaccia di travolgere tutti. B., come succede, vuole vendere cara la pelle. E siccome è molto ricco, la venderà molto cara. L'inversione della sua politica degli ingaggi all'indomani della rotta - fuori Kakà, dentro Feltri - lo proclama. E già un solo giorno ha visto scattare la controffensiva così a lungo dilazionata del nuovo attacco. Gran colpi, combinati: la denuncia delle dieci domande di Repubblica alla magistratura, l'assalto molto sotto la cintura a Boffo, e con lui alla Chiesa cattolica romana, che dopotutto non aveva lesinato indulgenze ed elusioni nei confronti dello scandalo politico e civico, oltre che morale, del capo del governo. L'ostentata persuasione di poter forzare un qualche tribunale all'intimidazione della stampa libera, se non la pura disperazione, hanno ispirato la denuncia contro Repubblica: la quale non avrebbe desiderato di meglio che di discutere ovunque, e anche in un tribunale, di quelle domande senza risposta - o con la più nitida delle risposte- ripetute non a caso ostinatamente, in bilico fra una frustrazione e una determinazione catoniana. E insieme la scelta di distruggere in effigie il direttore del giornale dei vescovi italiani e di far intendere alla suocera vaticana che, quando si spingesse ad applicare a B. un centesimo della severità con cui maneggia le comuni presunte peccatrici, la guerra diventerebbe senza quartiere. A questa, chiamiamola così, strategia, presiede il principio secondo cui non c'è maschio, credente o no, laico o chierico, che non si possa prendere con le mani nel sacco di qualche magagna sessuale. (Maschio, dico, perché negli strateghi della controffensiva la guerra resta guerra fra maschi, e le digressioni servono tutt'al più a insultare le donne altrui o a sfregiare le proprie sospette di intelligenza col nemico). La Grande Berta, l'ho chiamata. Vi ricordate, la scena di artiglieria pesante all'inizio del Grande Dittatore. Naturalmente, possono fare molto male i tiri pesanti ad alzo zero. Possono davvero umiliare le persone e devastare le famiglie. B. non può rinfacciare a nessuno di aver attentato alla sua famiglia. Possono fare molto male, ma è difficile che possano prevalere, direi. Le due cannonate strategiche di giovedì, per esempio, denuncia contro Repubblica ed esecuzione sommaria di Boffo, all'una di venerdì avevano già fatto cancellare la famosa cena della Perdonanza. Alle 13,40 di ieri ci si chiedeva se Gheddafi non volesse togliersi lo sfizio - se ne toglie parecchi, avete visto- di disdire il pranzo con B., e tenersi graziosamente le Frecce tricolori. Nel tardo pomeriggio poi B. si è dissociato dal Giornale, cioè da se stesso. E domani è un altro giorno. Le guerre, tanto più quelle senza quartiere, non fanno bene a nessuno. B. ha una mossa vincente: dimettersi, e piantarla una volta per tutte con l'incubo del potere. Che gusto c'è ormai? Non può più invitare i capi di Stato stranieri a Villa Certosa. Nemmeno cenare all'Aquila con un Segretario di Stato straniero. Non ha da perdere che qualcuna delle sue catene televisive. Ha un'intera vita privata da riconquistare". (Adriano Sofri)
giovedì 27 agosto 2009
Impeachement del premier. Perdonanza ad personam.
"L'evento della Perdonanza all'Aquila sarà celebrato quest'anno in onore di Accappatoio Selvaggio, del suo ritorno in seno a Santa Madre Chiesa. La Perdonanza si tiene ogni 28 e 29 agosto in ricordo dell'elezione a papa nel 1294 di Celestino V , che concesse l'indulgenza plenaria a tutti i confessati che avessero visitato la Basilica di Collemaggio.L'indulgenza celestiniana sarà estesa allo psiconano durante la cena della Perdonanza. L'assoluzione da ogni peccato sarà opera del cardinal Bertone in persona con l'assistenza del vescovo dell'Aquila, Giuseppe Molinari, e degli undici vescovi dell'Abruzzo e del Molise. Bertone impartirà l'indulgenza plenaria all'utilizzatore finale sotto gli occhioni attenti del ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna, mentre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e il ministro per l'Attuazione del Programma Gianfranco Rotondi assisteranno commossi. I terremotati aquilani non sono stati invitati dall'arcidiocesi, ma a loro sarà riservato un minuto di raccoglimento dopo l'aperitivo.Prima del rito serale del Perdono, la giornata verrà consacrata dal corteo della Bolla, formato da duecento figuranti del PDL, diretto alla Basilica di Santa Maria di Collemaggio che ospita i resti mortali di Celestino V. Alla testa della processione sono attese la Carfagna nel ruolo della Dama della Bolla, insieme alle ancelle ministre Gelmini e Brambilla. Nel ruolo di Maria Maddalena, in veste ufficiosa, sarà presente Patrizia D'Addario insieme a molte utilizzate finali. Nelle vesti del Giovin Signore con in mano il tradizionale ramo d'ulivo è atteso Topo Gigio Veltroni che ha dato la sua adesione nonostante i numerosi impegni contro la mafia e il conflitto di interessi.Al termine della cena lo psiconano farà dono alla comunità dell'Aquila del lettone di Putin che, dopo essere stato asperso con acqua benedetta, sarà ribattezzato: "Lettone di Papi" e posto in pubblica piazza. Chiunque dopo averlo usato per pratiche adultere, contro natura, illecite o proibite dall'insegnamento cattolico potrà, in cambio di una legge sul testamento biologico, dell'otto per mille alla Chiesa, dei finanziamenti alle scuole cattoliche, del non riconoscimento delle coppie di fatto, del mantenimento del Concordato e dei Patti Lateranensi, dell'abolizione dell'aborto, ottenere l'indulgenza celestiniana e continuare a fare il porco. Ora pro nobis. Amen". (Beppe Grillo)
mercoledì 26 agosto 2009
Impeachement del premier. L'Italia dei disvalori.
"Marco Bazzoni è un piccolo eroe. Se le onorificenze valessero ancora qualcosa dovrebbe prendere la medaglia d'oro al valor civile. Ogni giorno, da anni, mi martella con 50 mail di denunce circostanziate sulla sicurezza sul lavoro e sulle loro cause legislative, economiche. Di 1200 morti sul lavoro celebrate sull'altare del dio Danaro ogni anno. Marco è un omino, sembra fragile, ma è di ferro, ma anche il ferro ha qualche cedimento. Oggi mi ha mandato una mail. Mi dice che non ce la fa più, che vorrebbe mollare. Se molla lui siamo rovinati. Dategli un segno di incoraggiamento, la sua email è bazzoni_m@tin.it. Bazzoni lo voglio ministro del Lavoro. Leggete la sua lettera". (dal blog di Beppe Grillo)
"Caro Beppe,tutti gli infortuni, gli invalidi, le malattie professionali e le morti sul lavoro non sono abbastanza se il Governo Berlusconi ha pensato di smantellare il Dlgs 81/08 (testo unico per la sicurezza sul lavoro) con il Dlgs 106/09 (decreto correttivo), piuttosto che renderlo funzionale.E pensare che il Ministro del Lavoro Sacconi dopo la strage sul lavoro al depuratore di Mineo (CT) dell'11 giugno 2008, che costò la vita a sei operai comunali, annunciò un piano straordinario per la sicurezza sul lavoro.Se per piano straordinario intendeva questo decreto stiamo freschi.Per anni sono state chieste pene più severe per i datori di lavoro responsabili di gravi infortuni e morti sul lavoro e che non rispettano la sicurezza sul lavoro.Ed il governo dimezza la maggior parte delle sanzioni ai datori di lavoro, dirigenti e preposti.Non contento, non potenzia neanche i controlli. Con lo scarso personale ispettivo delle Asl è praticamente impossibile ricevere un controllo. Se va bene un'azienda ne riceverà uno ogni 33 anni.Ma non è finita qui, onde evitare che qualche imprenditore finisse in galera, si è previsto che al posto dell'arresto, possa pagare la multa, e faranno tutti così, statene certi. Inoltre, la salvamanager non è stata cancellata, ma riscritta, non è spudorata come la precedente, ma dà sempre spazio a manovre e cavilli a favore dei manager.Non capisco ancora come Napolitano abbia potuto firmare questo decreto, sapendo che questa norma non era stata cancellata.L'intento della norma è di scaricare le responsabilità dei manager su preposti, lavoratori, progettisti, fabbricanti, installatori e medici competenti.Non essendoci certezza della pena, anche se nella remota ipotesi un datore di lavoro venga condannato per la morte di un lavoratore, il carcere "lo vedrà con il binocolo".Quando penso al povero Andrea Gagliardoni, morto il 20 giugno del 2006 a soli 23 anni con la testa schiacciata in una pressa tampografica nella ditta Asoplast di Ortezzano (AP), al povero Matteo Valenti, morto bruciato, dopo 4 giorni di agonia per un gravissimo infortunio sul lavoro (8 novembre 2004) nella ditta Mobiloil di Viareggio, ai quattro operai morti carbonizzati nell'esplosione alla Umbria Olii di Campello sul Clitunno (25 novembre 2006), allo loro famiglie che non avuto neanche giustizia ( 8 mesi con la condizionale per la morte di Andrea Gagliardoni, 1 anno e 4 mesi con la condizionale per la morte di Matteo Valenti , mentre quello per la morte dei 4 operai alla Umbria Olii manco è iniziato, e non sappiamo neanche se inizierà mai), mi domando in che Paese viviamo?Ci definiamo una "Repubblica fondata sul lavoro", ma forse sarebbe più corretto dire, una "Repubblica fondata sulle morti sul lavoro".Come si fa a definire civile, un Paese dove ogni anno ci sono 1200 morti sul lavoro? Qualcuno adesso dirà che nell'anno 2008 ci sono stati 1120 morti sul lavoro (secondo l'Inail) e che c'è stato anche un calo degli infortuni sul lavoro.Ma andrebbe ricordato a quel qualcuno, che nel 2008 c'è stata la più grossa crisi finanziaria ed economica dal secondo dopoguerra ad oggi, e che quel calo dipende più da questo (cassaintegrazione, mobilità, chiusure di aziende), che a una maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro.Che poi, se vogliamo proprio dirla tutta, i dati dell'Inail non sono oro colato, ma solo un punto di riferimento.Questi dati non tengono conto degli infortuni denunciati come malattia, che si stima siano intorno a 200 mila ogni anno, se non oltre, di tutti i lavoratori che muoiono in "nero" che vengono abbandonati fuori dai cantieri o dalle fabbriche.Poi ci sono gli Rls che denunciano la scarsa sicurezza in azienda,che vengono minacciati, multati o peggio ancora licenziati, come è successo al povero Dante De Angelis, la cui unica colpa è quella di aver denunciato prima alla sua azienda, e poi ai mezzi d'informazione la scarsa manutenzione e sicurezza sui treni eurostar.E' passato un anno dal suo licenziamento, ma ad oggi non è stato ancora reintegrato, nonostante le migliaia di firme raccolte a suo favore, nonostante che quello che aveva denunciato si sia rivelato tristemente vero, nonostante il 29 giugno 2009, ci sia stato a Viareggio un disastro ferroviario, che ha fatto a tutt'oggi 29 morti.E intanto abbiamo un ex sindacalista a capo di FS, che va dicendo a destra e a manca, che le ferrovie italiane sono le più sicure d'Europa.Vale la pena ricordare, che dal 14 giugno 2009 è stato introdotto il "macchinista unico", e purtroppo, gli incidenti ferroviari, sono destinati tristemente ad aumentare. Ha davvero ancora senso andare avanti con questa "battaglia" per più sicurezza, o tanto varrebbe mollare qui? Perchè è quello che sto pensando di fare. Spero pubblicherai la lettera". (Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza)
"Caro Beppe,tutti gli infortuni, gli invalidi, le malattie professionali e le morti sul lavoro non sono abbastanza se il Governo Berlusconi ha pensato di smantellare il Dlgs 81/08 (testo unico per la sicurezza sul lavoro) con il Dlgs 106/09 (decreto correttivo), piuttosto che renderlo funzionale.E pensare che il Ministro del Lavoro Sacconi dopo la strage sul lavoro al depuratore di Mineo (CT) dell'11 giugno 2008, che costò la vita a sei operai comunali, annunciò un piano straordinario per la sicurezza sul lavoro.Se per piano straordinario intendeva questo decreto stiamo freschi.Per anni sono state chieste pene più severe per i datori di lavoro responsabili di gravi infortuni e morti sul lavoro e che non rispettano la sicurezza sul lavoro.Ed il governo dimezza la maggior parte delle sanzioni ai datori di lavoro, dirigenti e preposti.Non contento, non potenzia neanche i controlli. Con lo scarso personale ispettivo delle Asl è praticamente impossibile ricevere un controllo. Se va bene un'azienda ne riceverà uno ogni 33 anni.Ma non è finita qui, onde evitare che qualche imprenditore finisse in galera, si è previsto che al posto dell'arresto, possa pagare la multa, e faranno tutti così, statene certi. Inoltre, la salvamanager non è stata cancellata, ma riscritta, non è spudorata come la precedente, ma dà sempre spazio a manovre e cavilli a favore dei manager.Non capisco ancora come Napolitano abbia potuto firmare questo decreto, sapendo che questa norma non era stata cancellata.L'intento della norma è di scaricare le responsabilità dei manager su preposti, lavoratori, progettisti, fabbricanti, installatori e medici competenti.Non essendoci certezza della pena, anche se nella remota ipotesi un datore di lavoro venga condannato per la morte di un lavoratore, il carcere "lo vedrà con il binocolo".Quando penso al povero Andrea Gagliardoni, morto il 20 giugno del 2006 a soli 23 anni con la testa schiacciata in una pressa tampografica nella ditta Asoplast di Ortezzano (AP), al povero Matteo Valenti, morto bruciato, dopo 4 giorni di agonia per un gravissimo infortunio sul lavoro (8 novembre 2004) nella ditta Mobiloil di Viareggio, ai quattro operai morti carbonizzati nell'esplosione alla Umbria Olii di Campello sul Clitunno (25 novembre 2006), allo loro famiglie che non avuto neanche giustizia ( 8 mesi con la condizionale per la morte di Andrea Gagliardoni, 1 anno e 4 mesi con la condizionale per la morte di Matteo Valenti , mentre quello per la morte dei 4 operai alla Umbria Olii manco è iniziato, e non sappiamo neanche se inizierà mai), mi domando in che Paese viviamo?Ci definiamo una "Repubblica fondata sul lavoro", ma forse sarebbe più corretto dire, una "Repubblica fondata sulle morti sul lavoro".Come si fa a definire civile, un Paese dove ogni anno ci sono 1200 morti sul lavoro? Qualcuno adesso dirà che nell'anno 2008 ci sono stati 1120 morti sul lavoro (secondo l'Inail) e che c'è stato anche un calo degli infortuni sul lavoro.Ma andrebbe ricordato a quel qualcuno, che nel 2008 c'è stata la più grossa crisi finanziaria ed economica dal secondo dopoguerra ad oggi, e che quel calo dipende più da questo (cassaintegrazione, mobilità, chiusure di aziende), che a una maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro.Che poi, se vogliamo proprio dirla tutta, i dati dell'Inail non sono oro colato, ma solo un punto di riferimento.Questi dati non tengono conto degli infortuni denunciati come malattia, che si stima siano intorno a 200 mila ogni anno, se non oltre, di tutti i lavoratori che muoiono in "nero" che vengono abbandonati fuori dai cantieri o dalle fabbriche.Poi ci sono gli Rls che denunciano la scarsa sicurezza in azienda,che vengono minacciati, multati o peggio ancora licenziati, come è successo al povero Dante De Angelis, la cui unica colpa è quella di aver denunciato prima alla sua azienda, e poi ai mezzi d'informazione la scarsa manutenzione e sicurezza sui treni eurostar.E' passato un anno dal suo licenziamento, ma ad oggi non è stato ancora reintegrato, nonostante le migliaia di firme raccolte a suo favore, nonostante che quello che aveva denunciato si sia rivelato tristemente vero, nonostante il 29 giugno 2009, ci sia stato a Viareggio un disastro ferroviario, che ha fatto a tutt'oggi 29 morti.E intanto abbiamo un ex sindacalista a capo di FS, che va dicendo a destra e a manca, che le ferrovie italiane sono le più sicure d'Europa.Vale la pena ricordare, che dal 14 giugno 2009 è stato introdotto il "macchinista unico", e purtroppo, gli incidenti ferroviari, sono destinati tristemente ad aumentare. Ha davvero ancora senso andare avanti con questa "battaglia" per più sicurezza, o tanto varrebbe mollare qui? Perchè è quello che sto pensando di fare. Spero pubblicherai la lettera". (Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza)
martedì 25 agosto 2009
Impeachement del premier. I nuovi lager.
"Italia? È una stanza bianca e blu, la numero 1703, pneumologia 1, primo piano dell'ospedale "Cervello". Un tavolino con quattro sedie, due donne coi capelli bianchi negli altri due letti, dalla finestra aperta le case chiare del quartiere Cruillas, le montagne di Altofonte Monreale, il caldo d'agosto a Palermo. Sui due muri, in alto, la televisione e il crocifisso, una di fronte all'altro. È quel che vede Titti Tazrar da ieri mattina, quando apre gli occhi. Quando li chiude tutto balla ancora, ogni cosa gira intorno, il letto è una barca che si inclina e poi si piega sulle onde. Titti cerca la corda per reggersi, d'istinto, come ha fatto per 21 giorni e 21 notti, con la mano che da nera sembra diventata bianca per la desquamazione, una mano forata dalle flebo per ridare un po' di vita a quel corpo divorato dalla mancanza d'acqua. La gente che ha saputo apre la porta e la guarda: è l'unica donna sopravvissuta - con altri quattro giovani uomini - sul gommone nero che è partito dalla Libia con un carico di 78 disperati eritrei ed etiopi, ha vagato in mare senza benzina per 21 giorni, ha scaricato nel Mediterraneo 73 cadaveri e ha sbarcato infine a Lampedusa cinque fantasmi stremati da un mese di morte, di sete, di fame e di terrore. Quei cinque sono anche gli ultimi, modernissimi criminali italiani, prodotto inconsapevole della crudeltà ideologica che ha travolto la civiltà dei nostri padri e delle nostre madri, e oggi ci governa e si fa legge. I magistrati li hanno dovuti iscrivere, appena salvati, al registro degli indagati per il nuovo reato d'immigrazione clandestina, i sondaggi plaudono. Anche se poi la vergogna - una vergogna della democrazia - darà un calcio alla legge, e per Titti e gli altri arriverà l'asilo politico. Scampati alla morte e alla disumanità, potranno scoprire quell'Italia che cercavano, e incominciare a vivere. Un'Italia che non sa come cominciano questi viaggi, da quanto lontano, da quanto tempo: e come al fondo basti un richiamo composto da una fotografia e una canzone. Titti ad Asmara aveva un'amica col telefonino, e ascoltavano venti volte al giorno Eros Ramazzotti nella suoneria, con "L'Aurora". In più, a casa la madre conservava da anni una cartolina di Roma, i ponti, una cupola, il fiume e il verde degli alberi. Tutti parlavano bene dell'Italia, le mail che arrivavano in Eritrea, i biglietti con i soldi di chi aveva trovato un lavoro. Quando la bocciano a scuola, l'undicesimo anno, e scatta l'arruolamento obbligatorio nell'esercito, Titti decide che scapperà in Italia. E dove, se no?
Fa due mesi di addestramento in un forte fuori città, soldato semplice. Poi, quando torna ad Asmara, si toglie per sempre la divisa, passa da casa il tempo per cambiarsi, prendere un vestito di scorta, una bottiglia d'acqua più la metà dei soldi della madre, delle cinque sorelle e del fratello (200 nakfa, più o meno 10 euro), e segue un vecchio amico di famiglia che la porterà fuori dal Paese, in Sudan. Prima viaggiano in pullman, poi cresce la paura che la stiano cercando, e allora camminano di notte, dormendo nel deserto per sette giorni. Senza più un soldo, Titti va a servizio in una casa come donna delle pulizie, vitto e alloggio pagati, così può mettere da parte interamente i 250 pound sudanesi mensili. Quando va al mercato chiede dove sono i mercanti di uomini, che organizzano i viaggi in Europa. Li trova, e quando dice che vuole l'Italia le chiedono 900 dollari tutto compreso, dal Sudan alla Libia attraversando il Sahara, poi il ricovero in attesa della barca illegale, quindi il viaggio finale. Ci vuole un anno per risparmiare quei soldi. E quando si parte, sul camion i mercanti caricano 250 persone, sul fondo del cassone dov'è più riparato dalla sabbia ci sono con Titti due donne incinte e una madre col bimbo di tre mesi. Lei ha due bottiglie d'acqua, le divide con le altre, ci sono i bambini di mezzo, non si può farne a meno. Prima della frontiera con la Libia li aspettano, tutti guardano giù dal camion, temono un posto di blocco, invece sono gli agenti locali dei mercanti, li guidano per una strada sicura e li portano nei rifugi, disperdendoli: parte ammassati in un capannone, parte nei casolari isolati, soprattutto le donne. Le fanno lavorare in casa e negli orti, cibo e acqua sono come in galera, il minimo indispensabile. Trattano male, fanno tutto quel che vogliono. Dicono sempre che la barca è pronta, che adesso si parte, ma non si parte mai. Intimano alle donne di non uscire di casa e Titti diventa amica di Ester e Luam, che abitano con lei per quasi quattro mesi. Chi ha parenti in Europa deve dare l'indirizzo mail, in modo che i mercanti scrivano, chiedano soldi urgenti per aiutare il viaggio, per poi intascare la somma quando arriva al money transfer, da qualche parte sicura. Invece un pomeriggio alle cinque tutti urlano, bisogna uscire, sembra che si parta davvero. Le ragazze dicono che non hanno niente di pronto, non hanno messo da parte il pane e nemmeno l'acqua dalle porzioni razionate, non sapevano: possono avere qualcosa da portare in barca? Non c'è tempo, alle sei bisogna essere in mare, via con quello che avete addosso, e tutti lontani dalla spiaggia che possono arrivare i soldati, meglio nascondersi dietro i cespugli e le dune, forza. La barca è un gommone nero di dodici metri, che normalmente porta dieci, dodici persone. Loro sono settantotto, nessun bambino, venticinque donne. Non riescono a trovare spazio, c'è qualche tanica di benzina sotto i piedi, stanno appiccicati, incastrati, accovacciati, qualcuno in ginocchio, altri in piedi tenendosi alle spalle di chi sta sotto, nessuno può allungare le gambe. Ma ci siamo, è l'ultimo viaggio, in fondo a quel mare da qualche parte c'è l'Italia, Titti a 27 anni non ha la minima idea della distanza, pensa che arriveranno presto. Ecco perché è tranquilla quando arriva la prima notte, lei che è partita solo con dieci dinari, i suoi jeans, una maglia bianca e uno scialle nero. Nient'altro. "Adei", madre, sto andando, pensa senza dormire. "Amlak", dio, mi hai aiutato, continua a ripetersi mentre scende il freddo. A metà del secondo giorno, quando le ragazze pensano già quasi di essere arrivate, la barca si ferma. Il pilota improvvisato dice che non c'è più benzina. Schiaccia il bottone rosso come gli ha insegnato il trafficante d'uomini, ma non c'è nessun rumore. Adesso si sente il rumore delle onde. Nessuno sa cosa fare. Gli uomini provano col bottone, danno consigli, uno scende in mare a guardare l'elica. Le donne si coprono la testa con gli scialli. Si avverte il caldo, nessuno lo dice, ma tutti pensano che l'acqua sta finendo. Chi ha pane lo divide coi vicini. Un pizzico di mollica per volta, facendo economia, allungandola nel pugno chiuso per farla bastare fino a sera, cinque, sei bocconi. La notte fa più paura. Non c'è una bussola, e poi a cosa servirebbe, con il gommone trasportato dalle onde, spinto dalla corrente, e nessuno può fare niente. Finiscono i fiammiferi, dopo le sigarette, non si vede più niente. Tutti a guardare il mare, sembra che nessuno dorma. La quarta notte spuntano delle luci a sinistra, poi se ne vanno, o forse la barca ha girato a destra. Era una nave? Era un paese? Era Roma? Cominci a sentirti impotente, sei un naufrago. All'inizio ci si vergogna per i bisogni, fingi di fare un bagno attaccato con una mano alla corda, chiedi per favore di rallentare, e fai quel che devi in mare. Poi man mano che cresce l'ansia e anche la disperazione, non ti vergogni più. Chi sta male, chi sviene dal caldo e dalla fame, i bisogni se li fa addosso. Quando la situazione diventa insopportabile tutti urlano in quella parte del gommone: "Giù, giù, vai in mare, vai". Ma il settimo giorno i problemi cambiano. Muore Haddish, che ha vent'anni, ed è il prino. Continua a vomitare da ventiquattr'ore, sta male, si lamenta prima della fame poi solo della sete. "Mai", acqua. Lo ripete continuamente. Anche Titti ripete "mai" nella testa, c'è solo acqua intorno a loro, eppure stanno morendo di sete, non riescono a pensare ad altro. Due ragazzi, Biji e Ghenè, si danno il turno a sorreggere Haddish, altri fanno il turno in piedi per lasciargli lo spazio per distendersi, uno sale persino sul motore. Dopo il tramonto tutti lo sentono piangere, urlare, gemere, poi non sentono più niente e non sanno se si è addormentato o se è morto. "E' arrivato - dice all'alba Ghenè - noi siamo in viaggio e lui è arrivato". I due giovani prendono Haddish per le spalle e per i piedi, dopo avergli tolto le scarpe, e lo gettano in mare. Le ragazze piangono, una donna canta una nenia sottovoce. Yassief si è portato in barca una Bibbia. La apre, e legge i Salmi: "Quando ti invoco rispondimi, Dio, mia giustizia: dalle angosce mi hai liberato, pietà di me, ascolta la mia preghiera". Titti piange per il ragazzo morto, e pensa che non si poteva fare altrimenti. Adesso ha paura che il viaggio duri ancora giorni e giorni, che il mare li risospinga indietro verso la Libia, non possono viaggiare con un cadavere, e poi hanno bisogno di spazio. "Meut", la morte, comincia a dominare tutti i pensieri, riempie "semai", il cielo, verrà dal mare, "bahari". Le donne si coprono la testa, il sole stordisce più della fame, tutto gira intorno, la nausea cresce, salgono vapori ustionanti di benzina e di acqua dal fondo del gommone. A sera, ogni sera, Yassief leggerà la Bibbia, Giosuè, Tobia, i Salmi, e cercherà di confortare i compagni: noi stiamo morendo, ma qualcuno ce la farà. Muore qualcuno ogni giorno, ormai, e il numero varia. Uno, poi tre, quindi cinque, un giorno quattordici e si va avanti così. Dicono che i primi a morire sono quelli che hanno bevuto l'acqua di mare, Titti non sapeva che era mortale, non l'ha bevuta solo per il gusto insopportabile, si bagnava le labbra continuamente. Poi Hadengai ha l'idea di prendere un bidone vuoto di benzina, tagliarlo a metà, lavare bene la base e metterla sul fondo della barca, dove i morti hanno aperto uno spazio. Spiega che dovranno raccogliere lì la loro orina, per poi berla quando la sete diventa irresistibile, pochi sorsi, ma possono permettere di sopravvivere. Lo fanno, anche le donne, però di notte. Titti beve, come gli altri. Potrebbe bere qualsiasi cosa: anzi, lo sta facendo. Dopo quindici giorni, appare una nave in lontananza. Sembra piccolissima, ma tutti la vedono, c'è. Chi ce la fa si alza in piedi, si toglie la maglia ingessata dal sale per agitarla in alto, urla. A Titti cade lo scialle in mare, l'unica protezione dal freddo, l'unico cuscino, la coperta, l'unico bene. Yassief e un altro ragazzo sono i soli che sanno nuotare: lasciano la Bibbia a una donna che ha la borsa con sé, si tuffano, è l'ultima speranza, torneranno a salvarli con la nave e li prenderanno tutti a bordo, dove c'è acqua e cibo. Tutti si alzano a guardarli, ma il gommone va dove vuole, dopo un po' nessuno li ha più visti, e pian piano la nave lontana è scomparsa, loro non ci sono più. L'acqua è un'ossessione e intanto pensi al pane, al riso, alla carne, scambi i frammenti di legno per briciole, sai che è un inganno ma te li metti in bocca. Senti le forze che vanno via, vedi buttare a mare i cadaveri e non t'importa più. Ora quando arriva la morte butteranno giù anche me, pensa Titti, spero che mi chiudano gli occhi. Non sai i nomi dei tuoi compagni, conosci solo le facce. Al mattino ne cerchi una e non la vedi più, oppure ne trovi una che avevi visto calare in mare, non sai più dove finisce l'incubo e comincia la realtà. Ma adesso in barca tutti sanno che le due amiche, Ester e Luam, sono incinte, anche se non lo dicevano perché la gravidanza era cominciata in Libia, nella casa dei mercanti d'uomini, tra le minacce e la paura. Tutti lo sanno perché loro stanno male e parlano dei bambini. Gli altri ascoltano, la pietà è silenziosa, nessuno litiga, qualcuno sposta chi gli cade addosso dormendo. Anche se non è dormire, è mancare. Non sai quando svieni e quando dormi. Ora allunghi le gambe sul fondo, i morti hanno lasciato spazio ai vivi. Titti è più forte delle amiche. Quando Ester perde il bambino, è lei che getta tutto in mare, poi lava il vestito, e pulisce il gommone mentre tiene la mano all'amica, che dice basta, tutto è inutile, vado. Muore subito dopo, Titti non piange perché non ha più le forze, quando muore anche Luam due giorni dopo lei si lascia andare. Pensa solo più a morire, scuote la testa quando la donna con la Bibbia ripete quel che ha sentito da Yassief, ed ecco, noi stiamo morendo ma qualcuno arriverà. No, lei adesso rinuncia. Non pensa più all'Italia, non sa dov'è, non la vuole. Non ha più nessuna paura. Ripete a se stessa che dev'essere così in guerra, nelle carestie. Basta, vuoi finire, vuoi solo arrivare al fondo della fame, della sete, di questo esaurimento, non hai il coraggio o l'energia o la lucidità per buttarti e lasciarti andare, affondare sott'acqua e sparire, ma vuoi che sia finita. Persa l'Italia, il gommone adesso ha di nuovo uno scopo: diventa un viaggio per la morte, e va bene così. La diciassettesima notte, forse, Titti si separa da tutto e raduna tutto, la madre e Dio, il cielo, il mare e la morte, "Adei, Amlak, semai, bahari, meut". Rivede suo padre accovacciato, che fuma contro il muro la sera. Si accorge che la sua lingua, il tigrigno, non ha la parola aiuto. Si accorge dalle urla, all'improvviso, che c'è una barca di pescatori e li ha visti. Arriva, e nessuno ce la fa più a gridare. Accostano, ma quando vedono sette cadaveri a bordo e quegli esseri moribondi hanno paura e vanno indietro. Allora i due ragazzi si avventano, non lasciateci qui. La barca si ferma, lanciano un sacchetto di plastica, ma finisce in acqua. Si avvicinano, ne lanciano un altro. Hadangai lo afferra e mentre lo aprono i pescatori se ne vanno, indicando col braccio una direzione. Dentro c'è il pane, con due bottiglie. Titti beve, ma afferra il pane. Appena ha bevuto ne ingoia un morso, ma urla e sputa tutto. Il pane taglia la gola, non passa, lo stomaco e il cuore lo vogliono ma il dolore è più forte, ti scortica dentro, è una lama, non puoi mangiare più niente. Ma con l'acqua l'anima comincia a risvegliarsi. Forse siamo vicini a qualche terra. Sia pure la Libia, basta che sia terra. Ed ecco un rumore grande, più forte, più vicino poi sopra, davanti al sole. E' un elicottero, si abbassa, si rialza. Arriva una motovedetta di uomini bianchi, non vogliono prenderli a bordo, ma hanno la benzina, sanno far ripartire il motore, dicono ai ragazzi come si guida e il gommone li deve seguire. Un giorno e una notte. Poi l'ultima barca. Questa volta li fanno salire. Sono rimasti in cinque: cinque su 78. Chi ce la fa ancora va da solo, Titti la devono portare a braccia. Non capisce più niente, tutto è offuscato, c'è soltanto il sole e lo sfinimento. La siedono. Poi le buttano acqua in faccia. Lì capisce di essere viva. Non chiede con chi è, né dov'è. Che importanza può avere, ormai? Forse non è nemmeno vero, basta chiudere gli occhi per rivedere la stessa scena fissa di un mese, gli odori, gli sbalzi, il rumore delle onde. Così anche in ospedale, dove le visioni continuano, volti, cadaveri, immagini notturne, incubi sul soffitto e sul muro bianco e blu. Ma se allunga la mano, Titti adesso trova una bottiglietta d'acqua. Attorno non muoiono più. Ieri le hanno dato una card per telefonare a sua madre ad Asmara, le hanno detto che è in Italia. Le persone entrano e le sorridono. Due ore fa un medico le ha raccontato in inglese che hanno perso l'altro naufrago ricoverato al "Cervello", Hadengai, in camera non c'è, l'hanno chiamato per una radiografia e non si è presentato, hanno guardato sulle panchine nel giardino ma nessuno sa dove sia. Lei non vuole più pensare a niente. Tiene una mano sulle labbra gonfie, con l'altra mano, dove c'è un anello giallo alto e sottile, tira il lenzuolo per coprire la piccola scollatura a V del camice. Ha paura che sapendo della sua fuga all'Asmara facciano qualcosa di brutto a sua madre e alle sue sorelle. E però vorrebbe dire a tutti che ha fatto la cosa giusta, anche se adesso sa cosa vuol dire morire: ma oggi, in realtà, è la sua vera data di nascita. Quando non ci sperava più ce l'ha fatta, è arrivata. Non ha più niente da dire, può solo aspettare. Poi si apre la porta, e arriva Hadengai. Ha una tuta da ginnastica nera, con la maglietta bianca, cammina lentamente incurvando tutti i suoi 24 anni, e spinge piano il vassoio col cibo che vuole mangiare qui. Ci ha messo un po' di tempo ad arrivare, si è perso, è tornato indietro, guardava senza capire tutte quelle scritte, la sala dialisi, le proposte assicurative in bacheca, i cartelli dell'Avis, la macchinetta al pian terreno che distribuisce dolci e caramelle e funzionava da punto di riferimento. Poi ha trovato la camera di Titti. Si è seduto sul bordo del letto della paziente accanto, che sotto le coperte si è fatta un po' più in là. I due naufraghi parlano sottovoce, lui assaggia qualcosa del pollo con patate che ha sul vassoio, non apre nemmeno il nailon del pane, lei taglia in quattro un maccherone. Ma va meglio, ormai. Non hanno un'idea di che cosa sia davvero l'Italia 2009, fuori da quella porta. Ma prima o poi capiranno che sopra l'ascensore numero 21, proprio davanti a loro, c'è scritto "la vita è un bene prezioso". (Ezio Mauro)
Fa due mesi di addestramento in un forte fuori città, soldato semplice. Poi, quando torna ad Asmara, si toglie per sempre la divisa, passa da casa il tempo per cambiarsi, prendere un vestito di scorta, una bottiglia d'acqua più la metà dei soldi della madre, delle cinque sorelle e del fratello (200 nakfa, più o meno 10 euro), e segue un vecchio amico di famiglia che la porterà fuori dal Paese, in Sudan. Prima viaggiano in pullman, poi cresce la paura che la stiano cercando, e allora camminano di notte, dormendo nel deserto per sette giorni. Senza più un soldo, Titti va a servizio in una casa come donna delle pulizie, vitto e alloggio pagati, così può mettere da parte interamente i 250 pound sudanesi mensili. Quando va al mercato chiede dove sono i mercanti di uomini, che organizzano i viaggi in Europa. Li trova, e quando dice che vuole l'Italia le chiedono 900 dollari tutto compreso, dal Sudan alla Libia attraversando il Sahara, poi il ricovero in attesa della barca illegale, quindi il viaggio finale. Ci vuole un anno per risparmiare quei soldi. E quando si parte, sul camion i mercanti caricano 250 persone, sul fondo del cassone dov'è più riparato dalla sabbia ci sono con Titti due donne incinte e una madre col bimbo di tre mesi. Lei ha due bottiglie d'acqua, le divide con le altre, ci sono i bambini di mezzo, non si può farne a meno. Prima della frontiera con la Libia li aspettano, tutti guardano giù dal camion, temono un posto di blocco, invece sono gli agenti locali dei mercanti, li guidano per una strada sicura e li portano nei rifugi, disperdendoli: parte ammassati in un capannone, parte nei casolari isolati, soprattutto le donne. Le fanno lavorare in casa e negli orti, cibo e acqua sono come in galera, il minimo indispensabile. Trattano male, fanno tutto quel che vogliono. Dicono sempre che la barca è pronta, che adesso si parte, ma non si parte mai. Intimano alle donne di non uscire di casa e Titti diventa amica di Ester e Luam, che abitano con lei per quasi quattro mesi. Chi ha parenti in Europa deve dare l'indirizzo mail, in modo che i mercanti scrivano, chiedano soldi urgenti per aiutare il viaggio, per poi intascare la somma quando arriva al money transfer, da qualche parte sicura. Invece un pomeriggio alle cinque tutti urlano, bisogna uscire, sembra che si parta davvero. Le ragazze dicono che non hanno niente di pronto, non hanno messo da parte il pane e nemmeno l'acqua dalle porzioni razionate, non sapevano: possono avere qualcosa da portare in barca? Non c'è tempo, alle sei bisogna essere in mare, via con quello che avete addosso, e tutti lontani dalla spiaggia che possono arrivare i soldati, meglio nascondersi dietro i cespugli e le dune, forza. La barca è un gommone nero di dodici metri, che normalmente porta dieci, dodici persone. Loro sono settantotto, nessun bambino, venticinque donne. Non riescono a trovare spazio, c'è qualche tanica di benzina sotto i piedi, stanno appiccicati, incastrati, accovacciati, qualcuno in ginocchio, altri in piedi tenendosi alle spalle di chi sta sotto, nessuno può allungare le gambe. Ma ci siamo, è l'ultimo viaggio, in fondo a quel mare da qualche parte c'è l'Italia, Titti a 27 anni non ha la minima idea della distanza, pensa che arriveranno presto. Ecco perché è tranquilla quando arriva la prima notte, lei che è partita solo con dieci dinari, i suoi jeans, una maglia bianca e uno scialle nero. Nient'altro. "Adei", madre, sto andando, pensa senza dormire. "Amlak", dio, mi hai aiutato, continua a ripetersi mentre scende il freddo. A metà del secondo giorno, quando le ragazze pensano già quasi di essere arrivate, la barca si ferma. Il pilota improvvisato dice che non c'è più benzina. Schiaccia il bottone rosso come gli ha insegnato il trafficante d'uomini, ma non c'è nessun rumore. Adesso si sente il rumore delle onde. Nessuno sa cosa fare. Gli uomini provano col bottone, danno consigli, uno scende in mare a guardare l'elica. Le donne si coprono la testa con gli scialli. Si avverte il caldo, nessuno lo dice, ma tutti pensano che l'acqua sta finendo. Chi ha pane lo divide coi vicini. Un pizzico di mollica per volta, facendo economia, allungandola nel pugno chiuso per farla bastare fino a sera, cinque, sei bocconi. La notte fa più paura. Non c'è una bussola, e poi a cosa servirebbe, con il gommone trasportato dalle onde, spinto dalla corrente, e nessuno può fare niente. Finiscono i fiammiferi, dopo le sigarette, non si vede più niente. Tutti a guardare il mare, sembra che nessuno dorma. La quarta notte spuntano delle luci a sinistra, poi se ne vanno, o forse la barca ha girato a destra. Era una nave? Era un paese? Era Roma? Cominci a sentirti impotente, sei un naufrago. All'inizio ci si vergogna per i bisogni, fingi di fare un bagno attaccato con una mano alla corda, chiedi per favore di rallentare, e fai quel che devi in mare. Poi man mano che cresce l'ansia e anche la disperazione, non ti vergogni più. Chi sta male, chi sviene dal caldo e dalla fame, i bisogni se li fa addosso. Quando la situazione diventa insopportabile tutti urlano in quella parte del gommone: "Giù, giù, vai in mare, vai". Ma il settimo giorno i problemi cambiano. Muore Haddish, che ha vent'anni, ed è il prino. Continua a vomitare da ventiquattr'ore, sta male, si lamenta prima della fame poi solo della sete. "Mai", acqua. Lo ripete continuamente. Anche Titti ripete "mai" nella testa, c'è solo acqua intorno a loro, eppure stanno morendo di sete, non riescono a pensare ad altro. Due ragazzi, Biji e Ghenè, si danno il turno a sorreggere Haddish, altri fanno il turno in piedi per lasciargli lo spazio per distendersi, uno sale persino sul motore. Dopo il tramonto tutti lo sentono piangere, urlare, gemere, poi non sentono più niente e non sanno se si è addormentato o se è morto. "E' arrivato - dice all'alba Ghenè - noi siamo in viaggio e lui è arrivato". I due giovani prendono Haddish per le spalle e per i piedi, dopo avergli tolto le scarpe, e lo gettano in mare. Le ragazze piangono, una donna canta una nenia sottovoce. Yassief si è portato in barca una Bibbia. La apre, e legge i Salmi: "Quando ti invoco rispondimi, Dio, mia giustizia: dalle angosce mi hai liberato, pietà di me, ascolta la mia preghiera". Titti piange per il ragazzo morto, e pensa che non si poteva fare altrimenti. Adesso ha paura che il viaggio duri ancora giorni e giorni, che il mare li risospinga indietro verso la Libia, non possono viaggiare con un cadavere, e poi hanno bisogno di spazio. "Meut", la morte, comincia a dominare tutti i pensieri, riempie "semai", il cielo, verrà dal mare, "bahari". Le donne si coprono la testa, il sole stordisce più della fame, tutto gira intorno, la nausea cresce, salgono vapori ustionanti di benzina e di acqua dal fondo del gommone. A sera, ogni sera, Yassief leggerà la Bibbia, Giosuè, Tobia, i Salmi, e cercherà di confortare i compagni: noi stiamo morendo, ma qualcuno ce la farà. Muore qualcuno ogni giorno, ormai, e il numero varia. Uno, poi tre, quindi cinque, un giorno quattordici e si va avanti così. Dicono che i primi a morire sono quelli che hanno bevuto l'acqua di mare, Titti non sapeva che era mortale, non l'ha bevuta solo per il gusto insopportabile, si bagnava le labbra continuamente. Poi Hadengai ha l'idea di prendere un bidone vuoto di benzina, tagliarlo a metà, lavare bene la base e metterla sul fondo della barca, dove i morti hanno aperto uno spazio. Spiega che dovranno raccogliere lì la loro orina, per poi berla quando la sete diventa irresistibile, pochi sorsi, ma possono permettere di sopravvivere. Lo fanno, anche le donne, però di notte. Titti beve, come gli altri. Potrebbe bere qualsiasi cosa: anzi, lo sta facendo. Dopo quindici giorni, appare una nave in lontananza. Sembra piccolissima, ma tutti la vedono, c'è. Chi ce la fa si alza in piedi, si toglie la maglia ingessata dal sale per agitarla in alto, urla. A Titti cade lo scialle in mare, l'unica protezione dal freddo, l'unico cuscino, la coperta, l'unico bene. Yassief e un altro ragazzo sono i soli che sanno nuotare: lasciano la Bibbia a una donna che ha la borsa con sé, si tuffano, è l'ultima speranza, torneranno a salvarli con la nave e li prenderanno tutti a bordo, dove c'è acqua e cibo. Tutti si alzano a guardarli, ma il gommone va dove vuole, dopo un po' nessuno li ha più visti, e pian piano la nave lontana è scomparsa, loro non ci sono più. L'acqua è un'ossessione e intanto pensi al pane, al riso, alla carne, scambi i frammenti di legno per briciole, sai che è un inganno ma te li metti in bocca. Senti le forze che vanno via, vedi buttare a mare i cadaveri e non t'importa più. Ora quando arriva la morte butteranno giù anche me, pensa Titti, spero che mi chiudano gli occhi. Non sai i nomi dei tuoi compagni, conosci solo le facce. Al mattino ne cerchi una e non la vedi più, oppure ne trovi una che avevi visto calare in mare, non sai più dove finisce l'incubo e comincia la realtà. Ma adesso in barca tutti sanno che le due amiche, Ester e Luam, sono incinte, anche se non lo dicevano perché la gravidanza era cominciata in Libia, nella casa dei mercanti d'uomini, tra le minacce e la paura. Tutti lo sanno perché loro stanno male e parlano dei bambini. Gli altri ascoltano, la pietà è silenziosa, nessuno litiga, qualcuno sposta chi gli cade addosso dormendo. Anche se non è dormire, è mancare. Non sai quando svieni e quando dormi. Ora allunghi le gambe sul fondo, i morti hanno lasciato spazio ai vivi. Titti è più forte delle amiche. Quando Ester perde il bambino, è lei che getta tutto in mare, poi lava il vestito, e pulisce il gommone mentre tiene la mano all'amica, che dice basta, tutto è inutile, vado. Muore subito dopo, Titti non piange perché non ha più le forze, quando muore anche Luam due giorni dopo lei si lascia andare. Pensa solo più a morire, scuote la testa quando la donna con la Bibbia ripete quel che ha sentito da Yassief, ed ecco, noi stiamo morendo ma qualcuno arriverà. No, lei adesso rinuncia. Non pensa più all'Italia, non sa dov'è, non la vuole. Non ha più nessuna paura. Ripete a se stessa che dev'essere così in guerra, nelle carestie. Basta, vuoi finire, vuoi solo arrivare al fondo della fame, della sete, di questo esaurimento, non hai il coraggio o l'energia o la lucidità per buttarti e lasciarti andare, affondare sott'acqua e sparire, ma vuoi che sia finita. Persa l'Italia, il gommone adesso ha di nuovo uno scopo: diventa un viaggio per la morte, e va bene così. La diciassettesima notte, forse, Titti si separa da tutto e raduna tutto, la madre e Dio, il cielo, il mare e la morte, "Adei, Amlak, semai, bahari, meut". Rivede suo padre accovacciato, che fuma contro il muro la sera. Si accorge che la sua lingua, il tigrigno, non ha la parola aiuto. Si accorge dalle urla, all'improvviso, che c'è una barca di pescatori e li ha visti. Arriva, e nessuno ce la fa più a gridare. Accostano, ma quando vedono sette cadaveri a bordo e quegli esseri moribondi hanno paura e vanno indietro. Allora i due ragazzi si avventano, non lasciateci qui. La barca si ferma, lanciano un sacchetto di plastica, ma finisce in acqua. Si avvicinano, ne lanciano un altro. Hadangai lo afferra e mentre lo aprono i pescatori se ne vanno, indicando col braccio una direzione. Dentro c'è il pane, con due bottiglie. Titti beve, ma afferra il pane. Appena ha bevuto ne ingoia un morso, ma urla e sputa tutto. Il pane taglia la gola, non passa, lo stomaco e il cuore lo vogliono ma il dolore è più forte, ti scortica dentro, è una lama, non puoi mangiare più niente. Ma con l'acqua l'anima comincia a risvegliarsi. Forse siamo vicini a qualche terra. Sia pure la Libia, basta che sia terra. Ed ecco un rumore grande, più forte, più vicino poi sopra, davanti al sole. E' un elicottero, si abbassa, si rialza. Arriva una motovedetta di uomini bianchi, non vogliono prenderli a bordo, ma hanno la benzina, sanno far ripartire il motore, dicono ai ragazzi come si guida e il gommone li deve seguire. Un giorno e una notte. Poi l'ultima barca. Questa volta li fanno salire. Sono rimasti in cinque: cinque su 78. Chi ce la fa ancora va da solo, Titti la devono portare a braccia. Non capisce più niente, tutto è offuscato, c'è soltanto il sole e lo sfinimento. La siedono. Poi le buttano acqua in faccia. Lì capisce di essere viva. Non chiede con chi è, né dov'è. Che importanza può avere, ormai? Forse non è nemmeno vero, basta chiudere gli occhi per rivedere la stessa scena fissa di un mese, gli odori, gli sbalzi, il rumore delle onde. Così anche in ospedale, dove le visioni continuano, volti, cadaveri, immagini notturne, incubi sul soffitto e sul muro bianco e blu. Ma se allunga la mano, Titti adesso trova una bottiglietta d'acqua. Attorno non muoiono più. Ieri le hanno dato una card per telefonare a sua madre ad Asmara, le hanno detto che è in Italia. Le persone entrano e le sorridono. Due ore fa un medico le ha raccontato in inglese che hanno perso l'altro naufrago ricoverato al "Cervello", Hadengai, in camera non c'è, l'hanno chiamato per una radiografia e non si è presentato, hanno guardato sulle panchine nel giardino ma nessuno sa dove sia. Lei non vuole più pensare a niente. Tiene una mano sulle labbra gonfie, con l'altra mano, dove c'è un anello giallo alto e sottile, tira il lenzuolo per coprire la piccola scollatura a V del camice. Ha paura che sapendo della sua fuga all'Asmara facciano qualcosa di brutto a sua madre e alle sue sorelle. E però vorrebbe dire a tutti che ha fatto la cosa giusta, anche se adesso sa cosa vuol dire morire: ma oggi, in realtà, è la sua vera data di nascita. Quando non ci sperava più ce l'ha fatta, è arrivata. Non ha più niente da dire, può solo aspettare. Poi si apre la porta, e arriva Hadengai. Ha una tuta da ginnastica nera, con la maglietta bianca, cammina lentamente incurvando tutti i suoi 24 anni, e spinge piano il vassoio col cibo che vuole mangiare qui. Ci ha messo un po' di tempo ad arrivare, si è perso, è tornato indietro, guardava senza capire tutte quelle scritte, la sala dialisi, le proposte assicurative in bacheca, i cartelli dell'Avis, la macchinetta al pian terreno che distribuisce dolci e caramelle e funzionava da punto di riferimento. Poi ha trovato la camera di Titti. Si è seduto sul bordo del letto della paziente accanto, che sotto le coperte si è fatta un po' più in là. I due naufraghi parlano sottovoce, lui assaggia qualcosa del pollo con patate che ha sul vassoio, non apre nemmeno il nailon del pane, lei taglia in quattro un maccherone. Ma va meglio, ormai. Non hanno un'idea di che cosa sia davvero l'Italia 2009, fuori da quella porta. Ma prima o poi capiranno che sopra l'ascensore numero 21, proprio davanti a loro, c'è scritto "la vita è un bene prezioso". (Ezio Mauro)
lunedì 24 agosto 2009
Impeachement del premier. Inquinatore della società civile.
Ha inquinato la nostra società introducendo valori distorti tesi solo al benessere personale. Non può continuare a fare il premier.
domenica 23 agosto 2009
sabato 22 agosto 2009
Uccideteci tutti.
"È singolare (non trovo altro aggettivo) il comportamento della stampa nazionale sulla strage dei 73 migranti uccisi dal mare tra Malta e Lampedusa.Il primo giorno, con notizie ancora incerte, tutti hanno aperto su quell'avvenimento: il numero delle vittime, la storia raccontata dai cinque sopravvissuti, i dubbi del ministro Maroni sulla loro attendibilità, le responsabilità della Marina maltese, i primi commenti ispirati al "chissenefrega" di Bossi e di Calderoli.Ma dal secondo giorno in poi i nostri giornali hanno voltato la testa dall'altra parte. Le notizie nel frattempo sopraggiunte sono state date nelle pagine interne. Uno solo, il "Corriere della Sera", ha tenuto ancora quella strage in testata di prima pagina ma senza alcun commento. Il notiziario all'interno tende a riposizionare i fatti entro lo schema della responsabilità maltese. Il resto è silenzio o quasi. Fa eccezione "Repubblica" ma il nostro, com'è noto, è un giornale sovversivo e deviazionista e quindi non può far testo.Comincio da qui e non sembri una stravaganza. Comincio da qui perché la timidezza, la prudenza, il dire e non dire dei grandi giornali nazionali sono lo specchio d'una profonda indifferenza dello spirito pubblico, ormai ripiegato sul tirare a campare del giorno per giorno, senza memoria del passato né prospettiva di futuro, rintronato da televisioni che sfornano a getto continuo trasmissioni insensate e da giornali che debbono ogni giorno farsi perdonare peccati di coraggio talmente veniali che qualunque confessore li manderebbe assolti senza neppure imporre un "Pater noster" come penalità minimale.Perfino il durissimo attacco della Chiesa e della stampa diocesana, che su altri temi avrebbe avuto ampia risonanza, è stato registrato per dovere d'ufficio. Bossi, che ha orecchie attentissime a queste questioni, si è addirittura permesso di mandare il Vaticano a quel paese, definendo insensate le parole dei vescovi sulla strage del mare e invitando il papa a prendere gli immigrati in casa sua perché "noi qui non li vogliamo".Alla vergogna c'è un limite. Noi l'abbiamo varcato da un pezzo nella generale apatia e afasia.* * *Ci sono varie responsabilità in quanto è accaduto nel barcone dei 78 eritrei, per venti giorni alla deriva in uno specchio di mare popolatissimo di motovedette, aerei, elicotteri, pescherecci delle più diverse nazionalità, italiani, maltesi, ciprioti, egiziani, tunisini e libici. Responsabilità specifiche e responsabilità più generali.La prima responsabilità specifica riguarda il mancato avvistamento da parte della nostra Marina e della nostra Aviazione. Venti giorni, un barcone di quindici metri con 78 persone a bordo, sballottato dai venti tra Malta e Lampedusa, un braccio di mare poco più ampio di quello percorso da una normale regata di vela.I ministri Maroni e La Russa dovrebbero fornire al Parlamento e alla pubblica opinione l'elenco dei voli e dei pattugliamenti da noi effettuati in quello spazio e in quei giorni. Il ministro dell'Interno finora si è limitato a chiedere un rapporto sull'accaduto al prefetto di Agrigento.Che c'entra il prefetto di Agrigento? Il responsabile politico dei respingimenti in mare è il ministro dell'Interno che si vale della guardia costiera, delle capitanerie di porto e delle forze armate messe a disposizione dalla Difesa. Maroni e La Russa debbono rispondere, non il prefetto di Agrigento.La seconda responsabilità specifica riguarda il pattugliamento italo-libico sulle coste della Libia. Sbandierato ai quattro venti come un grande successo diplomatico, viaggi del premier in Libia, abbracci e baci sulle guance tra Berlusconi e Gheddafi, promesse di denaro sonante e investimenti al dittatore-colonnello, viaggio del medesimo con relativa tenda a Villa Pamphili, scortesie a ripetizione, sempre del medesimo, nei confronti di quasi tutte le autorità istituzionali italiane; secondo viaggio del colonnello e seconda tenda al G8 dell'Aquila, dichiarazioni del ministro degli Esteri, Frattini, per sottolineare l'importanza dell'asse politico Roma-Tripoli.Risultati zero. Riforma dei centri di accoglienza libici sotto controllo italiano, zero. Quei centri sono un inferno dove i migranti provenienti dall'Africa sahariana e dal Corno d'Africa sono ridotti per mesi in schiavitù e sottoposti alle più infami vessazioni fino a quando alcuni di loro vengono affidati ai mercanti del trasporto e imbarcati per il loro destino. Le vittime in fondo a quel tratto di Mediterraneo non si contano più.In quei centri, tra l'altro, le autorità italiane dovrebbero individuare quegli immigranti che hanno titolo per essere trattati come rifugiati politici. Queste verifiche non sono avvenute. I migranti eritrei in particolare dovrebbero poter godere di uno "status" particolare come ex colonia italiana, ma nessuno se ne è occupato (e meno che mai, ovviamente, il prefetto di Agrigento).In compenso le motovedette italiane dal primo giugno ad oggi hanno intercettato un elevato numero di barconi e li hanno respinti nel girone infernale dei centri di accoglienza libici, il che significa che le partenze dalla coste cirenaiche continuano ad avvenire in barba a tutti gli accordi.Questo stato di cose è intollerabile. Frutto di una legge perversa e d'un reato di clandestinità che ha addirittura ispirato un gioco di società inventato dal figlio di Bossi e brevettato con il titolo "Rimbalza il clandestino".Mancano le parole per definire queste infamità.* * *Ma esistono altresì responsabilità generali, al di là del caso specifico. Le ha elencate con estrema chiarezza il proprietario di un peschereccio di Mazara del Vallo da noi intervistato ieri.Perché i pescherecci che avvistano barche di migranti in difficoltà non intervengono? Risposta: se sono in difficoltà superabili, intervengono, forniscono viveri acqua e coperte, indicano la rotta. Se sono in difficoltà gravi, li segnalano alle autorità italiane.Segnalano sempre? Risposta: non sempre.Perché non sempre? Risposta: se imbarchiamo i migranti sui nostri pescherecci rischiamo di perdere giorni e settimane di lavoro. Noi siamo in mare per pescare. Con gli immigrati a bordo il lavoro è impossibile.Non siete risarciti dallo Stato? Risposta: no, per il mancato nostro lavoro non siamo risarciti.Ci sono altre ragioni che vi scoraggiano? Risposta: chi prende a bordo clandestini e li porta a terra rischia di essere processato per favoreggiamento al reato di clandestinità. Temono di esserlo, perciò molti chiudono gli occhi e evitano di immischiarsi.Se li portate a Malta che succede? Risposta: peggio ancora, ci sequestrano la barca per mesi e ci tolgono l'autorizzazione a pescare nelle loro acque.Questi sono i risultati di una legge sciagurata, salutata non solo dalla Lega ma dall'intero centrodestra come un successo, una guerra vittoriosa contro le invasioni barbariche.Questa legge dovrebbe essere abrogata perché indegna di un paese civile. Nel frattempo gli immigrati entrano a frotte dai valichi dell'Est. Non arrivano per mare ma in pullman, in automobile, in aereo, in ferrovia e anche a piedi. Alimentano il lavoro regolare e quello nero in tutta la Padania e non soltanto.I famigerati rom e i famigerati romeni vengono via terra e non via mare. La vostra legge non solo è indecente ma è contemporaneamente un colabrodo.* * *Alcuni si domandano i motivi del silenzio di Berlusconi su questo delicatissimo tema. La ragione è chiara e l'ha fornita l'onorevole Verdini, uno dei tre coordinatori del Pdl insieme a La Russa e Bondi e quello che meglio di tutti conosce la natura del capo del governo essendo stato con lui e con Dell'Utri uno dei tre fondatori di Forza Italia nell'ormai lontano 1994.Di che cosa vi stupite, ha scritto Verdini in una sua lettera al "Corriere della Sera" di pochi giorni fa ribattendo alcune domande di Sergio Romano nel suo fondo domenicale. Di che cosa vi stupite? Silvio Berlusconi, con almeno una parte di sé, è un leghista né più né meno di Bossi e quando nel '93 decise di impegnarsi in politica pensò, prima di decidersi a fondare un nuovo partito, di guidare con Bossi la Lega. Poi scelse di fondare un partito nazionale del quale il nordismo leghista sarebbe stato il pilastro più rilevante.Così Verdini, il quale in quella lettera rivendica il merito d'aver convinto il premier all'opportunità di dar vita a Forza Italia.Non si poteva dir meglio. C'è da aggiungere che il peso della Lega è ultimamente aumentato in proporzione diretta alla minor forza politica del premier. La Lega ha oggi una forza di ricatto politico che prima non aveva e la sta esercitando in tutte le direzioni non senza alcuni contraccolpi sulle strutture e sulle alleanze all'interno del Pdl.Uno dei temi di dibattito di queste ultime settimane è stato il collante che spiega nonostante tutto la persistenza del potere berlusconiano e la sua eventuale capacità di sopravvivere ad un possibile ritiro di Berlusconi dalla gestione diretta di quel potere. Tra le varie spiegazioni è mancata quella a mio avviso decisiva. Il collante del berlusconismo consiste nell'appello continuamente ripetuto e aggiornato agli istinti più scadenti che rappresentano una delle costanti della nostra storia di nazione senza Stato e di Stato senza nazione.Una classe dirigente dovrebbe rappresentare ed evocare gli istinti più nobili di un popolo, educandolo con l'esempio, spronandolo ad una visione alta del bene comune. Un compito difficile che alcune figure della nostra storia esercitarono con passione, tenacia e abilità politica.È più facile evocare gli "spiriti animali" e questo è avvenuto frequentemente nelle vicende del nostro paese a cominciare dal "O Franza o Spagna purché se magna" e alle sue più recenti e non meno abiette manifestazioni.Giorni fa, rispondendo nel suo giornale alla lettera di un giovane leghista a disagio ma privo di alternative alla sua visione nordista, Galli Della Loggia spiegava al suo interlocutore quale fosse l'errore in cui era incappato: una falsa prospettiva storica, un falso revisionismo che ha messo in circolazione una falsa e deteriore immagine del nostro Risorgimento.Ho riletto un paio di volte l'articolo di Della Loggia perché non credevo ai miei occhi. Il revisionismo da lui lamentato come deformazione della nostra storia unitaria è nato negli ultimi quindici anni proprio sulle pagine del suo giornale e lo stesso Della Loggia ne è stato uno dei più autorevoli esponenti.Meglio tardi che mai. Purtroppo di vitelli grassi da sacrificare per il ritorno del figliol prodigo oggi c'è grande scarsità. Il solo vitello grasso in circolazione è lo scudo fiscale preparato da Tremonti, che però non riguarda la questione dell'Unità d'Italia e del revisionismo politico. Festeggia soltanto gli evasori fiscali. Anche questa è una (pessima) costante nella storia di questo paese". (Eugenio Scalfari)
Impeachement del premier. Un governo di cartapesta.
Un governo di cartapesta. E' questo che ci ritroviamo dopo millenni di storia. Invece di assomigliare alla Svezia o alla Danimarca siamo sempre più simili al Botswana o al Nicaragua. Siamo una repubblica delle banane con a capo un satrapo malato di ninfette e una banda di berluscones sotto scacco a razzisti leghisti. Quando potremo risalire la china?
venerdì 21 agosto 2009
giovedì 20 agosto 2009
Impeachement del premier. I valori della mediocrità.
Da anni quello che è attualmente il nostro primo ministro ha una sua visione della vita, che crede sia la migliore possibile. La applica sin dai suoi esordi: strategie mirate su come fare soldi, team di squadra con regole delle peggiori società d'assalto, belle donne, volemose bene e chi è più furbo vince. Ingaggiati bravi professionisti a suon di milioni cerca di imporre la sua mediocrità di valori all'Italia e magari al mondo intero. Non sa, il villano, che c'è ben altro che soldi, belle donne e barzellette. E che il suo è l'esempio per dei poveri fessi di cui lui farà quel che vuole. Aspettiamo impazientemente che levi le tende il prima possibile.
martedì 18 agosto 2009
lunedì 17 agosto 2009
Impeachement del premier. A capo di un esecutivo farlocco.
Ormai l'Italia vive di annunci esattamente contrari alla condotta dei nostri uomini di governo. Il proverbio dice: "Predicare bene e razzolare male". Chi è del cosiddetto "impero del male" (sembra di essere nel film "Il signore degli anelli" tanto la fiction ha spodestato la realtà) parla della lotta per il bene; chi vuole un Italia vera non ha più rappresentanti e cerca disperatamente di sapere qualcosa di vero. La nostra nazione è in mano ai lanzichenecchi e noi non facciamo niente.
domenica 16 agosto 2009
Impeachement del premier. Vuole combattere il male, cioè se stesso.
"Lo psiconano ha deciso di combattere il Male. Di distruggere la corruzione, quindi sé stesso, corruttore di Mills. Di disintegrare la mafia, quindi i suoi amici Cuffaro e Dell'Utri condannati in primo grado per frequentazioni mafiose. Di annichilire gli sfruttatori della prostituzione di cui lui è "utilizzatore finale". E' un suicidio politico. Cosa fa? Si arresta da solo? Intanto a Fondi il sindaco del centro destra rimane in sella grazie al Governo, grazie al Difensore del Bene (il suo), Lo scioglimento del consiglio comunale, come denunciato da Kryptonite Di Pietro: "è stato richiesto dal prefetto Frattasi circa un anno fa: cinquecento cartelle che provano l'intreccio tra mafia, politica e comitati d'affari, con 17 arresti". Maroni manderà le ronde anche a Fondi?
I crimini sono diminuiti afferma Zanna Bianca Maroni: "Siamo l'esecutivo che ha avuto maggiori risultati nella lotta alla mafia, tutti i reati, anche furti e rapine, sono diminuiti: rispettivamente, del 18 e del 20%. In media, l'attività criminale è diminuita del 14%" Le carceri intanto scoppiano con 63.700 detenuti e Alfano l'Incostituzionale afferma che: "Contiamo di portare il piano carceri in Consiglio dei ministri entro il 15 settembre". Se i crimini diminuiscono e i detenuti aumentano, la domanda è: "Chi c'è in carcere?". Se la cura Maroni funziona perché costruire nuove carceri. Per chi? Se i reati sono diminuiti e diminuiranno?Una risposta viene dallo psiconano impegnato in una personale lotta contro il Male. Testa d'Asfalto è stato fulminato come San Paolo sulla via di Damasco. Ha visto Vittorio Mangano al posto di Gesù a Villa Certosa. Era in cielo su un "cavallo bianco", uno dei tanti curati dallo stalliere eroe. Lo psiconano ne è uscito trasfigurato e ha pronunciato parole incredibili, ha affermato che "metterà in atto un piano a lungo termine e si spera definitivo contro le forze del male... non solo contro la criminalità diffusa ma anche contro la criminalità organizzata". Quali sono queste forze del male? Gli operai che usciranno a centinaia di migliaia dalle fabbriche? Gli studenti dell'Onda condannati a call center, al precariato o all'emigrazione che sfileranno nelle città? Le popolazioni meridionali che devono subire le mafie grazie a politici conniventi? I Meetup? I mascalzoni alla Di Pietro e i giornalisti non a libro paga come Gomez e Travaglio? Il Movimento a Cinque Stelle che fa riferimento a questo blog e i suoi consiglieri comunali? Un Movimento definito ostile dagli alleati di Berlusconi del PDmenoelle, i Desaparecidos della politica italiana. C'è solo l'imbarazzo della scelta.Lo psiconano ha meglio articolato il suo pensiero debole: "Uno Stato ha il compito di difendersi anche dagli attacchi interni, mettendo in campo l'esercito del bene". Attacchi interni? E chi è l'esercito del bene? I condannati in via definitiva del PDL? I generali Dell'Utri e Previti? Gli attendenti Ghedini, Alfano e Schifani schierati contro la magistratura?Accappatoio Sevaggio ha precisato: "E' un compito che il governo deve porsi con estrema decisione e i rappresentanti delle forze dell'ordine condividono questa necessità". E qui casca l'asino. Che cosa condividono esattamente le Forze dell'Ordine ? I Capi di Polizia, Carabinieri e dell'Esercito sanno molto bene chi c'è al Governo e la sua storia personale. Cosa possono condividere in termini di ordine pubblico con uno così? Io ho il sospetto, forse la speranza, che condividano poco o nulla. Più militari nelle strade questo autunno non serviranno a niente, la miseria non si ferma. L'Italia sta cambiando e le pale dell'elicottero sono già in moto. ". (Beppe Grillo)
I crimini sono diminuiti afferma Zanna Bianca Maroni: "Siamo l'esecutivo che ha avuto maggiori risultati nella lotta alla mafia, tutti i reati, anche furti e rapine, sono diminuiti: rispettivamente, del 18 e del 20%. In media, l'attività criminale è diminuita del 14%" Le carceri intanto scoppiano con 63.700 detenuti e Alfano l'Incostituzionale afferma che: "Contiamo di portare il piano carceri in Consiglio dei ministri entro il 15 settembre". Se i crimini diminuiscono e i detenuti aumentano, la domanda è: "Chi c'è in carcere?". Se la cura Maroni funziona perché costruire nuove carceri. Per chi? Se i reati sono diminuiti e diminuiranno?Una risposta viene dallo psiconano impegnato in una personale lotta contro il Male. Testa d'Asfalto è stato fulminato come San Paolo sulla via di Damasco. Ha visto Vittorio Mangano al posto di Gesù a Villa Certosa. Era in cielo su un "cavallo bianco", uno dei tanti curati dallo stalliere eroe. Lo psiconano ne è uscito trasfigurato e ha pronunciato parole incredibili, ha affermato che "metterà in atto un piano a lungo termine e si spera definitivo contro le forze del male... non solo contro la criminalità diffusa ma anche contro la criminalità organizzata". Quali sono queste forze del male? Gli operai che usciranno a centinaia di migliaia dalle fabbriche? Gli studenti dell'Onda condannati a call center, al precariato o all'emigrazione che sfileranno nelle città? Le popolazioni meridionali che devono subire le mafie grazie a politici conniventi? I Meetup? I mascalzoni alla Di Pietro e i giornalisti non a libro paga come Gomez e Travaglio? Il Movimento a Cinque Stelle che fa riferimento a questo blog e i suoi consiglieri comunali? Un Movimento definito ostile dagli alleati di Berlusconi del PDmenoelle, i Desaparecidos della politica italiana. C'è solo l'imbarazzo della scelta.Lo psiconano ha meglio articolato il suo pensiero debole: "Uno Stato ha il compito di difendersi anche dagli attacchi interni, mettendo in campo l'esercito del bene". Attacchi interni? E chi è l'esercito del bene? I condannati in via definitiva del PDL? I generali Dell'Utri e Previti? Gli attendenti Ghedini, Alfano e Schifani schierati contro la magistratura?Accappatoio Sevaggio ha precisato: "E' un compito che il governo deve porsi con estrema decisione e i rappresentanti delle forze dell'ordine condividono questa necessità". E qui casca l'asino. Che cosa condividono esattamente le Forze dell'Ordine ? I Capi di Polizia, Carabinieri e dell'Esercito sanno molto bene chi c'è al Governo e la sua storia personale. Cosa possono condividere in termini di ordine pubblico con uno così? Io ho il sospetto, forse la speranza, che condividano poco o nulla. Più militari nelle strade questo autunno non serviranno a niente, la miseria non si ferma. L'Italia sta cambiando e le pale dell'elicottero sono già in moto. ". (Beppe Grillo)
sabato 15 agosto 2009
Impeachement del premier. Nell'aria c'è un grande olezzo.
"L'aria è pesante in questo Ferragosto. Troppi girano ormai con una trave nell'occhio. In modo sfacciato. Non temono più alcuna conseguenza. La trave nell'occhio, se esibita con disinvoltura in pubblico, è diventata un segno di riconoscimento sociale. Uno status symbol. L'Italia è un Inferno che simula il Paradiso.Il Parlamento è il girone infernale più ambito. Una volta giunto lì puoi fare tutto quello che è proibito ai comuni cittadini. Alle anime morte che sono diventate oggi tanti italiani. Puoi consentirti un tal numero di travi nell'occhio da mettere su una falegnameria. Droghe pesanti, mafia, camorra, corruzione, prostituzione. Un deputato cocainomane non commette peccato, un falegname che coltiva canapa viene ammazzato. Il secondo cerchio, oltre il Parlamento, è ugualmente protetto. E' la Borsa Italiana, terreno di vita e di guadagni di Tronchetti, Geronzi, Tanzi, Cragnotti, dell'ubiquo Berlusconi e dei discendenti della famiglia Agnelli. Nel terzo cerchio prosperano i faccendieri, gli amministratori locali, i picciotti o più semplicemente i leccaculo. Sono legioni e legioni. Portano sulle pupille travi più piccole dei loro padroni, ma, tra tutti, sono i più sfrontati, i più beceri.Insultano ragazzi in pubblico e li fanno trascinare via dalle forze dell'Ordine. Il quarto cerchio contiene i quaqquaraquà, i boccachiusa, gli indifferenti, i mivoltodallatraparte, i miononnohacampatocentanniperchèsifacevaicazzisuoi. Sono eserciti, sono infiltrati ovunque, nelle famiglie, negli uffici, nelle chiese.A protezione di questo fantastico mondo di travi ci sono i cultori della menzogna. Allevati nelle redazioni dei giornali, negli uffici stampa dei partiti, negli studi televisivi. Mentitori di razza che starnazzano come le oche del Campidoglio contro ogni accenno di verità. Cercatori di peli nell'uovo negli avversari del Sistema. Trasformano il bianco in nero. La merda in oro. Un cialtrone in presidente del Consiglio. Una velina in un ministro. Un guitto in un portavoce del Senato. Sono i maghi moderni della parola di Stato. Professionisti della diffamazione. Vomitatori di calunnie grazie alle sovvenzioni, alle tasse dei cittadini.Fa caldo in questa Italia, in questo agosto. Un caldo insopportabile.Fuori da gironi ci sono i precari, i disoccupati, i pensionati a 500 euro al mese, i laureati senza un futuro. Ci sono gli onesti, gli umiliati, i cercatori di verità, i rompicoglioni, coloro che si informano attraverso la Rete e la stampa internazionale. Sono tanti e sono ancora pochi. Ma è una marea crescente. Quando gli informati saranno maggioranza, le pale dell'elicottero cominceranno a girare. Forse ci vorrà un cargo per trasportarli tutti, forse non basterà. Beati i fuggitivi, perché non subiranno la collera degli onesti. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure". (Beppe Grillo)
venerdì 14 agosto 2009
giovedì 13 agosto 2009
Impeachement del premier. Gli Usa non possono accettare un governo Berlusconi in Italia.
"Svegliati, America. La corruzione? Le escort? "E pensare che basterebbe far parlare i fatti. Nessuna crociata: basterebbe che l'America sapesse. Basterebbe che i giornali americani dessero regolarmente notizia di tutte le accuse che gli vengono mosse e state sicuri che il Congresso e il Presidente esiterebbero a mostrarsi vicini a Berlusconi. Anzi". Anzi? "Quell'amicizia sbandierata in Italia, che l'America oggi ignora, imbarazzerebbe il Congresso. Imbarazzerebbe il Presidente. Qualcuno comincerebbe a porsi delle domande. E sarebbero bei problemi".Roane Carey ne è convinto. "Questa storia è imbarazzante e disturbing, preoccupante, anche per noi americani". Carey è il managing editor di The Nation, il magazine di Katrina Vanden Heuvel che conta tra i suoi collaboratori Naomi Klein, Toni Morrison e Michael Moore, e che a questa "storia imbarazzante" ha dedicato, tra i primi negli Usa, inchieste e reportage. La scorsa settimana una corrispondenza di Frederika Randall sui "pillow talk" del premier (come gli anglosassoni definiscono le conversazioni intime di due partner sessuali) ha riacceso l'attenzione americana sul caso.L'America si è dunque svegliata? Il caso Berlusconi è in prima pagina da Londra a Berlino. La vicenda-escort imbarazza l'opinone pubblica di mezzo mondo. E qui? Per Silvio ieri c'era l'amico Bush e oggi l'amico Obama. "Distinguiamo. Chiaro che l'Italia è un alleato importante soprattutto per il supporto in Iraq e in Afghanistan. Finché non è un problema, Berlusconi è un alleato. Ma da qui a dire che è un amico...".Raccontata da Roma è così: anche dopo il G8 il film è quello. Possibile che Obama non sappia? "Ma non scherziamo. Obama sa: briefing giornalieri, consiglieri che lo informano. Obama sa. Ma può permettersi di ignorare per due motivi. Il primo: la pressione dell'opinione pubblica. Non c'è. L'America è distratta. La recessione si mangia tutto. Quel poco di esteri di cui si parla è sempre quello: l'Iraq, l'Iran. Per voi europei è diverso: un francese, un inglese, un tedesco sono interessati a quel che si coltiva nell'orto del vicino: potrebbe attecchire anche da lui".E il secondo motivo? "La mancanza di pressione e dialogo con la vostra opposizione. Non avete una sinistra forte e anche questo l'amministrazione Usa lo sa. Per Berlusconi nessuna minaccia politica vera. E per Obama, che pure è un presidente progressista, è un problema. Ma la vera questione resta la prima: la pressione dell'opinione pubblica e della stampa Usa".Perché ne è così convinto? "Il sistema politico italiano è in crisi. Attacchi alla libera stampa come succede solo in Iran e Nord Corea. Questa si chiama democrazia a rischio. Succede in Italia, Europa, Occidente. E non è una storia da raccontare?".Insomma Berlusconi è un problema della democrazia e come tale non è solo una storia italiana: riguarda tutti. "Ho provato a cercare un Berlusconi qui da noi. Non c'è. Michael Bloomberg? Sì, un imprenditore che si butta in politica. Un imprenditore dei media, pure. Ma seppure a New York siamo sempre a livello locale. E poi i casi non sono comparabili. In Italia c'è un signore che ha raccolto nelle sue mani il potere economico e il potere politico. Un potere senza confini, totalizzante. Lo usa per attaccare la stampa, per coprire le sue vicende private. No, qui sarebbe inconcepibile. Ripeto: nessuna crociata. Ma come può l'America continuare a tollerarlo lì da voi?". (La Repubblica)
mercoledì 12 agosto 2009
martedì 11 agosto 2009
Impeachement del premier. Sesso in cambio di favori.
"
Questa volta è troppo e lei ha finito per cedere. Da anni aveva tutto sopportato, nella sua prigione dorata nei dintorni di Milano. Le amanti quasi ufficiali, le fiesta con le ninfette, le scopate con le «veline», queste ragazze ponpon dello schermo televisivo pronte a soddisfare tutti i capricci del principe. Vi si era rassegnata, tentando di proteggere i suoi tre figli dai «malefizi» dell’Orco. L’anno scorso aveva storto il naso davanti alle nomine al governo di numerose starlette della TV berlusconiana, tutte presunte amanti del Cavaliere. Ai suoi intimi confessava di essere disperata nel vedere il suo Paese trasformato in una fiera di piaceri, nella quale la libidine del padrone che avanza negli anni si libera senza ritegno. Lei aveva criticato a denti stretti questo nepotismo sessuale spudoratamente ostentato. E quel suo abbindolatore di marito, trasformato in Caligola erotomane.
Povera Italia, terra di Dante e Michelangelo, diventata Berluscoland, abbandonata a un don Giovanni patetico, sempre freneticamente di corsa dietro alla sua eterna giovinezza, a colpi d’iniezioni pelviche, d’impianti tricologici, di operazioni di chirurgia estetica, di sedute di trucco. Con quell’eterno sorriso ultrabrite, come una maschera di Scaramouche. Un Michael Jackson paracadutato in un teatro della Commedia dell’arte. Silvio il donnaiolo, che attinge dai «book» delle ragazze del suo impero televisivo la carne fresca utile per i suoi baccanali, mentre tiene a bada il suo cuore attrezzato di pacemaker e il suo cancro alla prostata. «Il birichino», il monello, è il soprannome che gli danno gli italiani, a malapena scioccati dalle sue scappatelle.
Quel 26 aprile per Veronica Lario il padre dei suoi figli commette nondimeno lo sbaglio supremo. Mentre sua figlia Barbara, incinta di sette mesi, viene ricoverata d’urgenza, lui dimentica di farle visita e preferisce passare diverse ore al compleanno di una sbarazzina, a Casoria, alla periferia di Napoli. Non si tratta più di cattivo gusto o di cafoneria, è provocazione. La signorina, Noemi Letizia, festeggia i suoi 18 anni in un ristorante popolare. Motivo ufficiale della presenza di Berlusconi: lui ha un amore smodato per questa famiglia modesta, «tanto italiana». Il Primo ministro, che Noemi chiama «Papi», paparino, pretende di seguire l’adolescente fin da quando aveva 14 anni. Sua madre sogna di farne un’attrice. A occhi chiusi lo ha confidato a Silvio l’impresario, l’uomo che fa e disfa le carriere delle bamboline catodiche.
Ciò che il Primo ministro non dice è che il padre di Noemi, Elio, è un giocatore incallito e ha debiti con la Camorra, la mafia napoletana. Zio Silvio paga sull’unghia. Perché una simile generosità? La risposta si ottiene in una sola parola: Noemi. Ogni volta che Berlusconi ha un momento libero la invita in uno dei suoi palazzi, in Sardegna a Villa Certosa, o a Roma a Palazzo Grazioli. Quando il 28 aprile il quotidiano di sinistra «la Repubblica» rivela l’insolito compleanno, Veronica Berlusconi esplode. Annuncia la sua intenzione di divorziare, parla di «malattia» di suo marito (v. l’articolo di Marcelle Padovani su l’«Observateur» dell’11 giugno), chiede agli amici politici del marito di «curarlo», addita quelle famiglie che «offrono vergini al drago». Dissotterrando l’ascia di guerra coniugale, Veronica apre un vaso di Pandora pieno di sesso e menzogne. In confronto lo scandalo ClintonLewinsky non è che una scintilla fra collegiali. Da allora le rivelazioni si moltiplicano.
La battaglia ingaggiata da Veronica Lario non è soltanto quella di una moglie ferita. La fortuna di suo marito, uno degli uomini più ricchi della Penisola, è valutata sugli 810 miliardi di euro. Egli è fra l’altro proprietario, attraverso Mediaste, di tre reti televisive private.
Noemi nuova firstlady?
L’ultima settimana di maggio «la Repubblica», in caccia su questo dossier, esce con un’informazione che semina panico nella guarnigione vicina al presidente del Consiglio: nel novembre 2008, durante un ricevimento organizzato per diversi Grandi della moda, Silvio Berlusconi ha quasi designato Noemi come la nuova firstlady. I convitati, imbarazzati, hanno creduto a una facezia del «fanfarone». Una di più. Ma quando compare l’articolo di «la Repubblica», gli avvocati di «Papi», proprio loro, percepiscono immediatamente il pericolo. «Il Boss» rischia di essere accusato di atti penalmente perseguibili a danno di minorenne. Scandalo assoluto. Tanto più che due giorni dopo le rivelazioni del quotidiano il fidanzato di Noemi, un giovane operaio di 22 anni, fa sapere, vendicativo, che la sua «ex» ha passato le feste di Capodanno nella residenza sarda, Villa Certosa. Ancora minorenne, era accompagnata da una amichetta, Roberta, anch’ella minorenne, e da numerose ragazze dalla reputazione più che dubbia, alcune delle quali sono state scelte da Berlusconi per figurare sulle liste elettorali del partito Popolo della Libertà alle elezioni europee. D’urgenza Berlusconi fa ritirare le «ragazze» dalle liste. Le showgirl rientrano nell’ombra. Una di loro la prende molto male.
Si chiama Patrizia D’Addario. Una bionda voluttuosa di 42 anni. Escortgirl di lusso, è andata a letto con Berlusconi a Palazzo Grazioli, il suo domicilio personale a Roma. L’uomo che le ha presentato il capo del governo italiano è un imprenditore della Puglia, specializzato nella fabbricazione di protesi. Giampaolo Tarantini, playboy di 34 anni, ha incontrato il suo amico Silvio in occasione delle fiesta in Sardegna, due anni prima. Da allora lo rifornisce regolarmente di «accompagnatrici».
Tarantini è anche sotto inchiesta della magistratura di Bari per un affare di corruzione nell’ambiente della sanità. Sembra interessare i giudici per la sua presenza in numerose società con base in Lussemburgo, a Londra e a Mosca. Quando apprende la sua estromissione dalla lista delle europee, Patrizia D’Addario fa tuoni e fulmini. Ma colui che lei chiama «tesoro» non risponde più alle sue chiamate. Il fanfarone l’ha umiliata. La sua vendetta sarà terribile. Perché la navigata dell’amore a tariffa, molto cauta, ha registrato la sua notte con lui, fino ai minimi dettagli. Ha anche inciso su nastro magnetico tutte le loro conversazioni telefoniche. Edificanti.
Mattina del 5 novembre: «Patrizia: Come mi hai fatto male, all’inizio, un dolore incredibile! Silvio: Fermati, non è vero. Patrizia: Si, te lo giuro, un dolore incredibile all’inizio». Più tardi: «Patrizia: Un giovane avrebbe goduto in un secondo. Sai, sarebbe venuto... hanno troppa pressione... Silvio: Di scatenare l’orgasmo. Patrizia: Sai da quanto tempo non ho fatto l’amore con qualcuno come l’ho fatto quella notte? È normale? Silvio: Se posso permettermi, dovresti cercare di godere anche da sola. Dovresti toccarti più spesso...».
Rischio di ricatti
È questo il genere di delizie che l’ escortgirl messa alla porta ha consegnato alla stampa. Soli, «la Repubblica» e «l’Espresso» pubblicano il contenuto dei torridi rapporti fra l’uomo di Stato e la puttana. Su questa traccia essi moltiplicano le rivelazioni sui «baccanali» di Villa Certosa, dove si vedono ragazze molto giovani recitare le geisha davanti a signori d’età avanzata. «El País» pubblica a sua volta una serie di scatti nei quali si scopre l’ex Primo ministro ceco, Mirek Topolanek, in costume adamitico vicino a vestali dai seni nudi! Il paparazzo all’origine dello scandalo, Antonello Zappadu, ha informatori dall’aeroporto di Olbia fino agli impiegati di Villa Certosa. Questo professionista del teleobiettivo pretende di aver scattato più di 5.000 fotografie dei party di zio Silvio. Di che compromettere un esercito di ministri ma anche di VIP stranieri, tutti persuasi che la proprietà del presidente del Consiglio, sotto sorveglianza dei servizi segreti, considerata zona militare, fosse ben protetta. Oggi Zappadu assicura di avere messo tutti questi documenti al sicuro in una cassaforte in Colombia. «Essi non hanno alcun valore giuridico, assesta Nicolò Ghedini, l’avvocato del Cavaliere e deputato del PDL. Tutto ciò che riguarda la vita privata non può essere utilizzato in giudizio». Salvo il caso che queste fotografie servano a un’inchiesta penale. Scalogna per Berlusconi, è il caso di dirlo.
Effettivamente a Bari i magistrati che seguono l’affare Tarantini – l’imprenditore è sospettato di aver organizzato una vasta rete di corruzione di funzionari dell’amministrazione sanitaria, ma anche di uomini politici, fino ai più alti livelli dello Stato – mettono le mani su tutto ciò che riguarda le sue attività. Essi non possono non trascurare il suo ruolo di procacciatore di dame di compagnia e accumulano registrazioni, foto, testimonianze, tutte una più esplosiva dell’altra. In particolare sono in possesso di una fotografia presa a Villa Certosa nella quale si vedono due giovani ragazze mentre sniffano tracce di cocaina davanti a un ilare Berlusconi.
Oggi l’Uomo che è sfuggito a quasi una ventina di inchieste giudiziarie sente l’onda d’urto dei colpi e tenta di soffocare lo scandalo. La stampa, scritta e televisiva, è sottoposta a una omertà (mafiosa) incredibile in una democrazia moderna. Soltanto il settimanale «Famiglia cristiana» e il quotidiano cattolico «Avvenire» danno il cambio a «la Repubblica»: perché nelle parrocchie la collera ribolle, certi vescovi vicini al papa fanno sapere che il debosciato spinge un po’ troppo lontano la sua comunella col Diavolo. E se il Vaticano abbandonasse colui che ha considerato fino a oggi il suo alleato? È la sola vera paura di Berlusconi. «Nell’attesa, l’opinione pubblica italiana continua a non sapere nulla di questo affare, insorge Ezio Mauro, direttore di «la Repubblica». Alla televisione neppure una parola. Berlusconi controlla tutto, i media, il Parlamento, lo Stato. La sua faccenda con la D’Addario tuttavia è un segno di grande debolezza, perché sarebbe potuto essere vittima del ricatto di un gruppo o di un’organizzazione straniera. Quella donna è penetrata in casa sua e ha registrato senza che i servizi di sicurezza se ne accorgessero. Avrebbe potuto essere armata, anche...». Con parole velate la piccola isola di stampa indipendente che in Italia resiste ancora tenta di fare passare un messaggio: Berlusconi l’invincibile è diventato terribilmente vulnerabile. Potrebbe anche essere caduto nelle mani di una mafia venuta dall’Est. Il suo desiderio morboso per le pinup l’avrebbe trascinato nella rete di un’organizzazione dagli interessi torbidi.
Nelle redazioni romane circola in questo momento una registrazione che rischia di aumentare ulteriormente lo scandalo. Due delle ministre «bamboline» di Berlusconi, già candidate per Miss Italia, Mara Carfagna, ministro delle Pari Opportunità, e Mariastella Gelmini, ministro dell’Educazione nazionale, s’interrogano a vicenda per sapere come «soddisfare» al meglio il Primo ministro. Parlano delle punture che lui deve farsi fare prima di ogni rapporto. Se questo «audio» uscisse sulla stampa, malgrado la censura, sarebbe devastante per l’immagine del Cavaliere. Mara Carfagna, amante quasi ufficiale in questi ultimi anni, aveva querelato Sabina Guzzanti, attrice e presentatrice televisiva, per aver osato dichiarare: «Non si ha il diritto di nominare una donna ministro per le Pari Opportunità per la semplice ragione che vi ha fatto un pompino». Suo padre, Paolo Guzzanti, senatore berlusconiano, era stato punito dal «Boss» per non aver biasimato sua figlia: gli aveva tolto le guardie del corpo. «Ma se ho dovuto dare le dimissioni dal partito, precisa Guzzanti, è anche perché ero in disaccordo con la deriva pro Russia di Berlusconi nella questione georgiana. Avevo trovato anormale la sua posizione».
La pista della cocaina
Sul filo delle rilevazioni, l’ipotesi di un’infiltrazione della mafia russa nel vertice dello Stato italiano prende consistenza. «Nelle feste di Villa Cerosa, Tarantini faceva venire barcate intere di ragazze dell’Est, russe e ucraine, sottolinea un poliziotto antimafia. Con loro c’è la droga, è sicuro. Si tratta delle medesime filiere...». A Bari, con la più grande discrezione, il procuratore Giuseppe Scelsi batte questa pista della cocaina. La sua equipe ha interrogato una ventina di ragazze, fra le quali una certa Sabina Beganovic, soprannominata «l’ape regina». Serve come procacciatrice a Giampaolo Tarantini ed è una delle cocchine di «Papi». Sabina si è fatta tatuare sulla caviglia «Silvio Berlusconi, l’incontro che ha cambiato la mia vita». Frequentatrice abituale di Villa Cerosa, ha visto sfilare ministri, giornalisti e uomini d’affari in quel bunker di lusso, con piscine, laghi, vulcano artificiale e anfiteatro greco, nel quale Berlusconi canta le sue romanze e impartisce corsi di geostrategia alle lolite in estasi. Lei conosce a memoria i rituali del luogo. Le consegne del silenzio imposto alle ragazze, i regali, sempre gli stessi, fatti dal sultano al suo harem, monili che lui pretende di aver disegnato personalmente, braccialetti a forma di tartarughina o di farfalla. Per le più carine si organizzano giri nelle boutique di lusso di Porto Rotondo, con acquisti limitati a un massimo di 5.000 euro.
L’«ape regina», che era a Villa Certosa contemporaneamente alla giovane Noemi Letizia, ha parlato molto con i magistrati. La ragazza venuta dall’est ha ricordato i viaggi di Tarantini a Mosca, dove è consulente di una società, Fisiokom, gigante delle forniture ospedaliere? I giudici giocano una partita difficile. Essi sanno di essere sorvegliati dalla coorte di avvocati di Berlusconi, l’uomo più potente e ricco d’Italia. Non devono commettere il benché minimo errore. Perché ormai lo scontro è inevitabile. Un giorno o l’altro si ritroveranno davanti colui che prende in giro la giustizia da più di quarant’anni.
In questa battaglia Berlusconi – che ha appena iniziato una «dieta» estiva e una «cura antistress» ha perso un atout prezioso: il suo amico e medico personale, Umberto Scapagnini. Questo specialista della longevità, che prediceva all’«Imperatore» centoventi anni di vita e pretendeva che avesse il metabolismo di un uomo di 35 ani, è appena stato vittima di un aneurisma e si trova in coma. Chi ormai veglierà sul regime alimentare di «Papi», a base di antiossidanti e di aminoacidi?". (Nouvel Observateur)
"Sono l'unica a dire la verità, per questo sono diventata come Giovanna d'Arco". Non ha timori di esagerare Patrizia D'Addario con il reporter del Daily Telegraph: "Avrei potuto ricattare Berlusconi, ma non l'ho fatto", dice la escort barese, insistendo che "lui era una persona gradevole. E quella notte non abbiamo dormito per niente". La signora riferisce che il suo libro sulla vicenda, intitolato "La mia vita", è ormai quasi pronto. Ma la novità più gradita è la riconciliazione con sua figlia lo scorso fine settimana: "Mi ha detto: mamma, ti voglio bene, sono fiera di te", racconta la D'Addario commossa. Anche il Times pubblica un'intervista con la escort: secondo il quotidiano di Rupert Murdoch, la signora sostiene di non essere stata l'unica a frequentare le residenze del premier. Scrive il Times, "ha descritto una cultura di sesso in cambio di favori che ha raggiunto i più alti livelli del governo, e in cui altre ospiti delle feste erano ricompensate con contratti tv e lavori in politica". "Tutte parlano di quant'era gentile Berlusconi", racconta la escort, "ma non dicono delle telefonate che mi facevano dopo, dicendo: bleah, era così schifoso, metteva le mani dappertutto, faceva vomitare". Secondo la D'Addario, il premier si vantava con lei di aver risolto lui i problemi fra Usa e Russia: "Diceva che grazie a lui c'era pace fra Putin e Bush. Lui può fare tutto, è un matador". Il canadese Globe and Mail riprende il discorso del corpo dei politici e sottolinea che "non c'è doppio standard più crudele di quello che c'è in politica, dove le donne per avere successo devono essere mature e possibilmente asessuate (vedi Margaret Thatcher e Angela Merkel). Per una donna, essere attraente è persino uno svantaggio. Invece gli uomini ottengono un punteggio extra se sono sciupafemmine, soprattutto nell'Europa continentale.
In Europa il politico più ricco e di maggior successo è Silvio Berlusconi, un magnate dei media di 72 anni con un insaziabile appetito per 'le veline', le donne con gambe lunghe e grande seno che si vedono in tutti gli show della tv italiana. E' così vigoroso che il suo medico personale lo ha descritto come 'tecnicamente quasi immortale'. Numerosi scandali sessuali hanno solo leggermente intaccato la sua popolarità. Ma ciò che più lo ha ferito non sono le rivelazioni sulla sua vita sessuale, ma l'accusa che ha pagato". Il Cavaliere trova un alleato nello spagnolo El Mundo, che giudica "immonda" la campagna di stampa. "Invidia e opportunismo spacciati per purintanesimo. Berlusconi non ha commesso alcun delitto nella sua vita privata, anche se l'infedeltà e la lussuria possono essere peccato per i benpensanti, gli ipocriti e i preti, ma non sono crimini". Secondo il giornale madrileno, "quello che fa Berlusconi, se lo fa, con le veline o con chiunque nella sua villa sarda è lo stesso che faceva Marco Antonio ad Alessandria, Tiberio a Capri, Nerone nella città che allora non era eterna, e tutti i cesari dove gli veniva la voglia". L'editorialista conclude (con un errore sui luoghi del potere romano): "Meglio avere un peccatore pagano al Quirinale che un santone giudeo-cristiano alla Moncloa". Sulla rivista argentina Interviù la copertina è una foto di Barbara Montereale a seno nudo e il titolo recita: "La nuova Berlusconi girl rivela tutto". E la ragazza insiste: dal premier ha avuto solo un bacio sulla fronte e una busta con 10 mila euro. L'ugandese Daily Monitor attacca Berlusconi, "non come primo ministro, ma come proprietario del Milan". Secondo il giornale africano, i rossoneri hanno sbagliato la campagna acquisti". (La Repubblica)
Questa volta è troppo e lei ha finito per cedere. Da anni aveva tutto sopportato, nella sua prigione dorata nei dintorni di Milano. Le amanti quasi ufficiali, le fiesta con le ninfette, le scopate con le «veline», queste ragazze ponpon dello schermo televisivo pronte a soddisfare tutti i capricci del principe. Vi si era rassegnata, tentando di proteggere i suoi tre figli dai «malefizi» dell’Orco. L’anno scorso aveva storto il naso davanti alle nomine al governo di numerose starlette della TV berlusconiana, tutte presunte amanti del Cavaliere. Ai suoi intimi confessava di essere disperata nel vedere il suo Paese trasformato in una fiera di piaceri, nella quale la libidine del padrone che avanza negli anni si libera senza ritegno. Lei aveva criticato a denti stretti questo nepotismo sessuale spudoratamente ostentato. E quel suo abbindolatore di marito, trasformato in Caligola erotomane.
Povera Italia, terra di Dante e Michelangelo, diventata Berluscoland, abbandonata a un don Giovanni patetico, sempre freneticamente di corsa dietro alla sua eterna giovinezza, a colpi d’iniezioni pelviche, d’impianti tricologici, di operazioni di chirurgia estetica, di sedute di trucco. Con quell’eterno sorriso ultrabrite, come una maschera di Scaramouche. Un Michael Jackson paracadutato in un teatro della Commedia dell’arte. Silvio il donnaiolo, che attinge dai «book» delle ragazze del suo impero televisivo la carne fresca utile per i suoi baccanali, mentre tiene a bada il suo cuore attrezzato di pacemaker e il suo cancro alla prostata. «Il birichino», il monello, è il soprannome che gli danno gli italiani, a malapena scioccati dalle sue scappatelle.
Quel 26 aprile per Veronica Lario il padre dei suoi figli commette nondimeno lo sbaglio supremo. Mentre sua figlia Barbara, incinta di sette mesi, viene ricoverata d’urgenza, lui dimentica di farle visita e preferisce passare diverse ore al compleanno di una sbarazzina, a Casoria, alla periferia di Napoli. Non si tratta più di cattivo gusto o di cafoneria, è provocazione. La signorina, Noemi Letizia, festeggia i suoi 18 anni in un ristorante popolare. Motivo ufficiale della presenza di Berlusconi: lui ha un amore smodato per questa famiglia modesta, «tanto italiana». Il Primo ministro, che Noemi chiama «Papi», paparino, pretende di seguire l’adolescente fin da quando aveva 14 anni. Sua madre sogna di farne un’attrice. A occhi chiusi lo ha confidato a Silvio l’impresario, l’uomo che fa e disfa le carriere delle bamboline catodiche.
Ciò che il Primo ministro non dice è che il padre di Noemi, Elio, è un giocatore incallito e ha debiti con la Camorra, la mafia napoletana. Zio Silvio paga sull’unghia. Perché una simile generosità? La risposta si ottiene in una sola parola: Noemi. Ogni volta che Berlusconi ha un momento libero la invita in uno dei suoi palazzi, in Sardegna a Villa Certosa, o a Roma a Palazzo Grazioli. Quando il 28 aprile il quotidiano di sinistra «la Repubblica» rivela l’insolito compleanno, Veronica Berlusconi esplode. Annuncia la sua intenzione di divorziare, parla di «malattia» di suo marito (v. l’articolo di Marcelle Padovani su l’«Observateur» dell’11 giugno), chiede agli amici politici del marito di «curarlo», addita quelle famiglie che «offrono vergini al drago». Dissotterrando l’ascia di guerra coniugale, Veronica apre un vaso di Pandora pieno di sesso e menzogne. In confronto lo scandalo ClintonLewinsky non è che una scintilla fra collegiali. Da allora le rivelazioni si moltiplicano.
La battaglia ingaggiata da Veronica Lario non è soltanto quella di una moglie ferita. La fortuna di suo marito, uno degli uomini più ricchi della Penisola, è valutata sugli 810 miliardi di euro. Egli è fra l’altro proprietario, attraverso Mediaste, di tre reti televisive private.
Noemi nuova firstlady?
L’ultima settimana di maggio «la Repubblica», in caccia su questo dossier, esce con un’informazione che semina panico nella guarnigione vicina al presidente del Consiglio: nel novembre 2008, durante un ricevimento organizzato per diversi Grandi della moda, Silvio Berlusconi ha quasi designato Noemi come la nuova firstlady. I convitati, imbarazzati, hanno creduto a una facezia del «fanfarone». Una di più. Ma quando compare l’articolo di «la Repubblica», gli avvocati di «Papi», proprio loro, percepiscono immediatamente il pericolo. «Il Boss» rischia di essere accusato di atti penalmente perseguibili a danno di minorenne. Scandalo assoluto. Tanto più che due giorni dopo le rivelazioni del quotidiano il fidanzato di Noemi, un giovane operaio di 22 anni, fa sapere, vendicativo, che la sua «ex» ha passato le feste di Capodanno nella residenza sarda, Villa Certosa. Ancora minorenne, era accompagnata da una amichetta, Roberta, anch’ella minorenne, e da numerose ragazze dalla reputazione più che dubbia, alcune delle quali sono state scelte da Berlusconi per figurare sulle liste elettorali del partito Popolo della Libertà alle elezioni europee. D’urgenza Berlusconi fa ritirare le «ragazze» dalle liste. Le showgirl rientrano nell’ombra. Una di loro la prende molto male.
Si chiama Patrizia D’Addario. Una bionda voluttuosa di 42 anni. Escortgirl di lusso, è andata a letto con Berlusconi a Palazzo Grazioli, il suo domicilio personale a Roma. L’uomo che le ha presentato il capo del governo italiano è un imprenditore della Puglia, specializzato nella fabbricazione di protesi. Giampaolo Tarantini, playboy di 34 anni, ha incontrato il suo amico Silvio in occasione delle fiesta in Sardegna, due anni prima. Da allora lo rifornisce regolarmente di «accompagnatrici».
Tarantini è anche sotto inchiesta della magistratura di Bari per un affare di corruzione nell’ambiente della sanità. Sembra interessare i giudici per la sua presenza in numerose società con base in Lussemburgo, a Londra e a Mosca. Quando apprende la sua estromissione dalla lista delle europee, Patrizia D’Addario fa tuoni e fulmini. Ma colui che lei chiama «tesoro» non risponde più alle sue chiamate. Il fanfarone l’ha umiliata. La sua vendetta sarà terribile. Perché la navigata dell’amore a tariffa, molto cauta, ha registrato la sua notte con lui, fino ai minimi dettagli. Ha anche inciso su nastro magnetico tutte le loro conversazioni telefoniche. Edificanti.
Mattina del 5 novembre: «Patrizia: Come mi hai fatto male, all’inizio, un dolore incredibile! Silvio: Fermati, non è vero. Patrizia: Si, te lo giuro, un dolore incredibile all’inizio». Più tardi: «Patrizia: Un giovane avrebbe goduto in un secondo. Sai, sarebbe venuto... hanno troppa pressione... Silvio: Di scatenare l’orgasmo. Patrizia: Sai da quanto tempo non ho fatto l’amore con qualcuno come l’ho fatto quella notte? È normale? Silvio: Se posso permettermi, dovresti cercare di godere anche da sola. Dovresti toccarti più spesso...».
Rischio di ricatti
È questo il genere di delizie che l’ escortgirl messa alla porta ha consegnato alla stampa. Soli, «la Repubblica» e «l’Espresso» pubblicano il contenuto dei torridi rapporti fra l’uomo di Stato e la puttana. Su questa traccia essi moltiplicano le rivelazioni sui «baccanali» di Villa Certosa, dove si vedono ragazze molto giovani recitare le geisha davanti a signori d’età avanzata. «El País» pubblica a sua volta una serie di scatti nei quali si scopre l’ex Primo ministro ceco, Mirek Topolanek, in costume adamitico vicino a vestali dai seni nudi! Il paparazzo all’origine dello scandalo, Antonello Zappadu, ha informatori dall’aeroporto di Olbia fino agli impiegati di Villa Certosa. Questo professionista del teleobiettivo pretende di aver scattato più di 5.000 fotografie dei party di zio Silvio. Di che compromettere un esercito di ministri ma anche di VIP stranieri, tutti persuasi che la proprietà del presidente del Consiglio, sotto sorveglianza dei servizi segreti, considerata zona militare, fosse ben protetta. Oggi Zappadu assicura di avere messo tutti questi documenti al sicuro in una cassaforte in Colombia. «Essi non hanno alcun valore giuridico, assesta Nicolò Ghedini, l’avvocato del Cavaliere e deputato del PDL. Tutto ciò che riguarda la vita privata non può essere utilizzato in giudizio». Salvo il caso che queste fotografie servano a un’inchiesta penale. Scalogna per Berlusconi, è il caso di dirlo.
Effettivamente a Bari i magistrati che seguono l’affare Tarantini – l’imprenditore è sospettato di aver organizzato una vasta rete di corruzione di funzionari dell’amministrazione sanitaria, ma anche di uomini politici, fino ai più alti livelli dello Stato – mettono le mani su tutto ciò che riguarda le sue attività. Essi non possono non trascurare il suo ruolo di procacciatore di dame di compagnia e accumulano registrazioni, foto, testimonianze, tutte una più esplosiva dell’altra. In particolare sono in possesso di una fotografia presa a Villa Certosa nella quale si vedono due giovani ragazze mentre sniffano tracce di cocaina davanti a un ilare Berlusconi.
Oggi l’Uomo che è sfuggito a quasi una ventina di inchieste giudiziarie sente l’onda d’urto dei colpi e tenta di soffocare lo scandalo. La stampa, scritta e televisiva, è sottoposta a una omertà (mafiosa) incredibile in una democrazia moderna. Soltanto il settimanale «Famiglia cristiana» e il quotidiano cattolico «Avvenire» danno il cambio a «la Repubblica»: perché nelle parrocchie la collera ribolle, certi vescovi vicini al papa fanno sapere che il debosciato spinge un po’ troppo lontano la sua comunella col Diavolo. E se il Vaticano abbandonasse colui che ha considerato fino a oggi il suo alleato? È la sola vera paura di Berlusconi. «Nell’attesa, l’opinione pubblica italiana continua a non sapere nulla di questo affare, insorge Ezio Mauro, direttore di «la Repubblica». Alla televisione neppure una parola. Berlusconi controlla tutto, i media, il Parlamento, lo Stato. La sua faccenda con la D’Addario tuttavia è un segno di grande debolezza, perché sarebbe potuto essere vittima del ricatto di un gruppo o di un’organizzazione straniera. Quella donna è penetrata in casa sua e ha registrato senza che i servizi di sicurezza se ne accorgessero. Avrebbe potuto essere armata, anche...». Con parole velate la piccola isola di stampa indipendente che in Italia resiste ancora tenta di fare passare un messaggio: Berlusconi l’invincibile è diventato terribilmente vulnerabile. Potrebbe anche essere caduto nelle mani di una mafia venuta dall’Est. Il suo desiderio morboso per le pinup l’avrebbe trascinato nella rete di un’organizzazione dagli interessi torbidi.
Nelle redazioni romane circola in questo momento una registrazione che rischia di aumentare ulteriormente lo scandalo. Due delle ministre «bamboline» di Berlusconi, già candidate per Miss Italia, Mara Carfagna, ministro delle Pari Opportunità, e Mariastella Gelmini, ministro dell’Educazione nazionale, s’interrogano a vicenda per sapere come «soddisfare» al meglio il Primo ministro. Parlano delle punture che lui deve farsi fare prima di ogni rapporto. Se questo «audio» uscisse sulla stampa, malgrado la censura, sarebbe devastante per l’immagine del Cavaliere. Mara Carfagna, amante quasi ufficiale in questi ultimi anni, aveva querelato Sabina Guzzanti, attrice e presentatrice televisiva, per aver osato dichiarare: «Non si ha il diritto di nominare una donna ministro per le Pari Opportunità per la semplice ragione che vi ha fatto un pompino». Suo padre, Paolo Guzzanti, senatore berlusconiano, era stato punito dal «Boss» per non aver biasimato sua figlia: gli aveva tolto le guardie del corpo. «Ma se ho dovuto dare le dimissioni dal partito, precisa Guzzanti, è anche perché ero in disaccordo con la deriva pro Russia di Berlusconi nella questione georgiana. Avevo trovato anormale la sua posizione».
La pista della cocaina
Sul filo delle rilevazioni, l’ipotesi di un’infiltrazione della mafia russa nel vertice dello Stato italiano prende consistenza. «Nelle feste di Villa Cerosa, Tarantini faceva venire barcate intere di ragazze dell’Est, russe e ucraine, sottolinea un poliziotto antimafia. Con loro c’è la droga, è sicuro. Si tratta delle medesime filiere...». A Bari, con la più grande discrezione, il procuratore Giuseppe Scelsi batte questa pista della cocaina. La sua equipe ha interrogato una ventina di ragazze, fra le quali una certa Sabina Beganovic, soprannominata «l’ape regina». Serve come procacciatrice a Giampaolo Tarantini ed è una delle cocchine di «Papi». Sabina si è fatta tatuare sulla caviglia «Silvio Berlusconi, l’incontro che ha cambiato la mia vita». Frequentatrice abituale di Villa Cerosa, ha visto sfilare ministri, giornalisti e uomini d’affari in quel bunker di lusso, con piscine, laghi, vulcano artificiale e anfiteatro greco, nel quale Berlusconi canta le sue romanze e impartisce corsi di geostrategia alle lolite in estasi. Lei conosce a memoria i rituali del luogo. Le consegne del silenzio imposto alle ragazze, i regali, sempre gli stessi, fatti dal sultano al suo harem, monili che lui pretende di aver disegnato personalmente, braccialetti a forma di tartarughina o di farfalla. Per le più carine si organizzano giri nelle boutique di lusso di Porto Rotondo, con acquisti limitati a un massimo di 5.000 euro.
L’«ape regina», che era a Villa Certosa contemporaneamente alla giovane Noemi Letizia, ha parlato molto con i magistrati. La ragazza venuta dall’est ha ricordato i viaggi di Tarantini a Mosca, dove è consulente di una società, Fisiokom, gigante delle forniture ospedaliere? I giudici giocano una partita difficile. Essi sanno di essere sorvegliati dalla coorte di avvocati di Berlusconi, l’uomo più potente e ricco d’Italia. Non devono commettere il benché minimo errore. Perché ormai lo scontro è inevitabile. Un giorno o l’altro si ritroveranno davanti colui che prende in giro la giustizia da più di quarant’anni.
In questa battaglia Berlusconi – che ha appena iniziato una «dieta» estiva e una «cura antistress» ha perso un atout prezioso: il suo amico e medico personale, Umberto Scapagnini. Questo specialista della longevità, che prediceva all’«Imperatore» centoventi anni di vita e pretendeva che avesse il metabolismo di un uomo di 35 ani, è appena stato vittima di un aneurisma e si trova in coma. Chi ormai veglierà sul regime alimentare di «Papi», a base di antiossidanti e di aminoacidi?". (Nouvel Observateur)
"Sono l'unica a dire la verità, per questo sono diventata come Giovanna d'Arco". Non ha timori di esagerare Patrizia D'Addario con il reporter del Daily Telegraph: "Avrei potuto ricattare Berlusconi, ma non l'ho fatto", dice la escort barese, insistendo che "lui era una persona gradevole. E quella notte non abbiamo dormito per niente". La signora riferisce che il suo libro sulla vicenda, intitolato "La mia vita", è ormai quasi pronto. Ma la novità più gradita è la riconciliazione con sua figlia lo scorso fine settimana: "Mi ha detto: mamma, ti voglio bene, sono fiera di te", racconta la D'Addario commossa. Anche il Times pubblica un'intervista con la escort: secondo il quotidiano di Rupert Murdoch, la signora sostiene di non essere stata l'unica a frequentare le residenze del premier. Scrive il Times, "ha descritto una cultura di sesso in cambio di favori che ha raggiunto i più alti livelli del governo, e in cui altre ospiti delle feste erano ricompensate con contratti tv e lavori in politica". "Tutte parlano di quant'era gentile Berlusconi", racconta la escort, "ma non dicono delle telefonate che mi facevano dopo, dicendo: bleah, era così schifoso, metteva le mani dappertutto, faceva vomitare". Secondo la D'Addario, il premier si vantava con lei di aver risolto lui i problemi fra Usa e Russia: "Diceva che grazie a lui c'era pace fra Putin e Bush. Lui può fare tutto, è un matador". Il canadese Globe and Mail riprende il discorso del corpo dei politici e sottolinea che "non c'è doppio standard più crudele di quello che c'è in politica, dove le donne per avere successo devono essere mature e possibilmente asessuate (vedi Margaret Thatcher e Angela Merkel). Per una donna, essere attraente è persino uno svantaggio. Invece gli uomini ottengono un punteggio extra se sono sciupafemmine, soprattutto nell'Europa continentale.
In Europa il politico più ricco e di maggior successo è Silvio Berlusconi, un magnate dei media di 72 anni con un insaziabile appetito per 'le veline', le donne con gambe lunghe e grande seno che si vedono in tutti gli show della tv italiana. E' così vigoroso che il suo medico personale lo ha descritto come 'tecnicamente quasi immortale'. Numerosi scandali sessuali hanno solo leggermente intaccato la sua popolarità. Ma ciò che più lo ha ferito non sono le rivelazioni sulla sua vita sessuale, ma l'accusa che ha pagato". Il Cavaliere trova un alleato nello spagnolo El Mundo, che giudica "immonda" la campagna di stampa. "Invidia e opportunismo spacciati per purintanesimo. Berlusconi non ha commesso alcun delitto nella sua vita privata, anche se l'infedeltà e la lussuria possono essere peccato per i benpensanti, gli ipocriti e i preti, ma non sono crimini". Secondo il giornale madrileno, "quello che fa Berlusconi, se lo fa, con le veline o con chiunque nella sua villa sarda è lo stesso che faceva Marco Antonio ad Alessandria, Tiberio a Capri, Nerone nella città che allora non era eterna, e tutti i cesari dove gli veniva la voglia". L'editorialista conclude (con un errore sui luoghi del potere romano): "Meglio avere un peccatore pagano al Quirinale che un santone giudeo-cristiano alla Moncloa". Sulla rivista argentina Interviù la copertina è una foto di Barbara Montereale a seno nudo e il titolo recita: "La nuova Berlusconi girl rivela tutto". E la ragazza insiste: dal premier ha avuto solo un bacio sulla fronte e una busta con 10 mila euro. L'ugandese Daily Monitor attacca Berlusconi, "non come primo ministro, ma come proprietario del Milan". Secondo il giornale africano, i rossoneri hanno sbagliato la campagna acquisti". (La Repubblica)
E ora via le croci da scuole e tribunali.
"I docenti di religione cattolica non possono partecipare "a pieno titolo" agli scrutini ed il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito scolastico: a stabilirlo è il Tar del lazio, che con la sentenza n. 7076 ha accolto i ricorsi presentati, a partire dal 2007, da alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, che chiedevano l'annullamento delle ordinanze ministeriali firmate dall'ex ministro Giuseppe Fioroni e adottate durante gli esami di Stato del 2007 e 2008. Contraria alla sentenza la parlamentare del Pd, Paola Binetti: "Così si creano insegnati di serie A e serie B; la religione non è un optional". L'inclusione della religione nella rosa delle materie da cui scaturiscono i giudizi degli allievi è ritenuta illegittima. Per i giudici amministrativi "l'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato italiano non assicura la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni o per chi dichiara di non professare alcuna religione, in Etica morale pubblica". Nella sentenza, emessa il 18 luglio e resa nota in questi giorni, i giudici fanno menzione anche del principio della laicità dello stato, enunciato dalla corte costituzionale (sentenza n.203/89), ritenuto garanzia dello stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale: "sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente - sottolinea il Tar- essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico".
Quindi, ha precisato ancora la sentenza, "lo Stato, dopo aver sancito il postulato costituzionale dell'assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto, non può conferire ad una determinata confessione una posizione dominante". Vengono così accolte in pieno le richieste formulate dalle diverse associazioni coordinate dalla consulta romana per la laicità delle istituzioni e dall'associazione "Per la scuola della Repubblica" (che giudicano la "sentenza illuminante"). Ad esse il Tar ha riconosciuto la richiesta di salvaguardia dei valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale che "sono tutelati - secondo i giudici regionali - direttamente dalla costituzione e che quindi come tali non possono restare estranei all'alveo della tutela del giudice amministrativo". (La Repubblica)
Quindi, ha precisato ancora la sentenza, "lo Stato, dopo aver sancito il postulato costituzionale dell'assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto, non può conferire ad una determinata confessione una posizione dominante". Vengono così accolte in pieno le richieste formulate dalle diverse associazioni coordinate dalla consulta romana per la laicità delle istituzioni e dall'associazione "Per la scuola della Repubblica" (che giudicano la "sentenza illuminante"). Ad esse il Tar ha riconosciuto la richiesta di salvaguardia dei valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale che "sono tutelati - secondo i giudici regionali - direttamente dalla costituzione e che quindi come tali non possono restare estranei all'alveo della tutela del giudice amministrativo". (La Repubblica)
lunedì 10 agosto 2009
Impeachement del premier. Contro gli italiani.
"Che cosa preoccupa il Cavaliere, che cosa turba i suoi sogni, oltre alle vicende di donne, di escort, o è meglio chiamarle prostitute, che stanno movimentando la nostra primavera e la nostra estate? Probabilmente una delle ragioni della preoccupazione è il riaprirsi delle indagini sui mandanti occulti delle stragi e l’emergere di quella famosa lettera, anzi delle tre ormai famose lettere: famose per noi, che ne abbiamo parlato qui a Passaparola, famose per pochissimi di quelli che hanno visto i telegiornali, visto che non hanno mai sentito raccontare la verità neanche su molti dei grandi giornali, a parte qualcuno, quindi sicuramente c’è questo: le famose lettere di Provenzano al Cavaliere. Ma c’è anche un paio di novità che spuntano a Milano e che sono molto poco conosciute: che io sappia ne ha parlato soltanto Luigi Ferrarella una volta su Il Correre della Sera e ne hanno parlato Paolo Biondani e Vittorio Malagutti su L’Espresso. Una è l’indagine Mediatrade e l’altra è l’indagine sulla Harner Bank di Lugano. Ve le spiego, cercando di farmi capire rapidamente, perché queste sono indagini che non sono coperte dal Lodo Alfano, sapete che il Lodo Alfano copre soltanto i processi e quindi le indagini anche alle alte cariche si possono ancora fare, sei processi a Berlusconi sono bloccati: è bloccato il processo Mills per Berlusconi e è bloccato il processo sulla compravendita dei diritti Mediaset, dove il Cavaliere è imputato di falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita, invece le indagini si possono fare. Ebbene, stanno arrivando a conclusione, per la scadenza dei termini a indagare, le indagini su Mediatrade: che cosa è Mediatrade? E’ una società controllata dal gruppo Berlusconi che, dal 1999, ha il compito di acquistare i diritti per la trasmissione dei programmi televisivi e cinematografici sulle reti Fininvest, diritti che vengono comprati soprattutto negli Stati Uniti, presso le Major di Hollywood , prima questi diritti li comprava per conto del gruppo una società maltese, la Ims e adesso, dal 99 in poi, li compra Mediatrade. Conseguentemente l’indagine Mediatrade è un filone separato che nasce dall’inchiesta sulla compravendita dei diritti televisivi. Abbiamo già spiegato altre volte come avveniva, secondo l’accusa, questa compravendita: se a comprare i film dalle case di produzione americane e i telefilm, le fiction e tutto il resto è direttamente la società Fininvest prima e Mediaset poi, si stabilisce il prezzo e è finita lì. Invece, secondo l’accusa, Fininvest e poi Mediaset che cosa facevano? Facevano comprare i film da società off shore nei paradisi fiscali, che erano controllate, ma solo occultamente, dal gruppo e quindi non risultavano del gruppo e allora i film, a ogni passaggio di proprietà, aumentavano di valore: un aumento fittizio che andava a creare una gigantesca provvista di fondi neri, che poi si fermava sulle varie società che, a catena, si passavano questi film. La prima comprava a dieci, la seconda a quindici, la terza a venti, la quarta a trenta, la quinta a quaranta e alla fine, quando arrivava al destinatario finale, l’utilizzatore finale lo potremmo sempre chiamare, valeva molto di più di quello che valeva in realtà e tutto il resto si era fermato sotto forma di fondi neri, in barba al fisco, in barba alla trasparenza dei bilanci per andare a alimentare questo grande polmone di fondi neri, di cui Berlusconi è considerato l’utilizzatore finale davvero, perché è imputato per appropriazione indebita, ossia per aver derubato le casse delle sue società, che sono per giunta in parte quotate in borsa, oltre a non averci pagato le tasse e aver falsificato i bilanci, sempre nell’ipotesi d’accusa.
Ebbene, di quest’indagine c’è uno stralcio, c’è un filone parallelo che riguarda appunto Mediatrade: Berlusconi sa di essere indagato fin dal 2007, quando i magistrati gli notificarono un avviso di proroga delle indagini, lui è sospettato, è iscritto nel registro degli indagati per concorso in appropriazione indebita, insieme a altri. Ossia un’altra volta è accusato di avere attinto a piene mani dalle casse delle sue società e questi sono fatti molto recenti, sono fatti che si riverberano sui bilanci del gruppo molto recenti, quindi sono difficili da fare cadere in prescrizione: prepariamoci a qualche altra legge ad personam . In questo fascicolo si dice che ci sono in ballo 100 milioni di Euro, una bella sommetta: inizialmente sembrava che quei soldi se li fosse fregati il produttore egizio /americano Frank Agrama, che è un vecchio amico di Berlusconi, che è un produttore di film, che è un suo sodale e pareva essersi fregato questi soldi e averli depositati sui conti di una società di Hong Kong, insomma che avesse fatto la cresta dalle casse dal biscione. In realtà, secondo l’accusa della Procura di Milano, quelli non erano soldi rubati da Agrama: erano soldi che Agrama aveva messo da parte anche per conto di Berlusconi, ossia Agrama sarebbe niente altro che un socio occulto di Berlusconi che ha messo da parte un altro bel po’ di fondi neri e da qui l’accusa ai due di appropriazione indebita. Inizialmente Berlusconi, insieme a Confalonieri e a altri sette imputati, era stato rinviato a giudizio - scrive Ferrarella su Il Corriere della Sera - con l’accusa di aver mascherato la formazione di ingenti fondi neri dirottati dalle casse della Fininvest e della Mediaset verso i conti esteri gestiti dai suoi fiduciari, che erano appunto quelle provviste di nero che nascevano dalla catena di Sant’Antonio delle varie società che si passavano l’una con l’altra i film e quindi di aver gonfiato i prezzi di quei film. Nel 2008 è passata la legge Alfano e quel processo lì è stato congelato in attesa che la consulta si pronunci, sperando che non avvengano altre cenette intime tra i giudici della consulta e l’utilizzatore finale del Lodo Alfano. Molte delle accuse, nel frattempo, in quel processo sono state falcidiate dalla prescrizione e, in parte, anche grazie alla legga ex Cirielli, che ha anticipato i termini della prescrizione, perché all’inizio, nel processo Mediaset, Berlusconi e i suoi coimputati erano accusati di appropriazione indebita per 276 milioni di dollari e frodi fiscali per un valore di 120 miliardi di lire, fino al 1999. Dopodiché, nella contestazione suppletiva, il magistrato, Pubblico Ministero De Pasquale, ha allungato il falso in bilancio fino al 2001, cioè ancora fuori dalla prescrizione, facendo arrivare delle carte proprio da quel processo stralcio, il processo Mediatrade, che è questa società controllata che, materialmente, ha il compito, per conto di Mediaset, di acquistare i film dalle Majors , o i diritti per trasmettere i film dalle majors . Questo è il fascicolo che preoccupa Berlusconi, sia perché i fatti sono molto recenti e quindi non saranno facili da mandare in prescrizione così rapidamente, sia perché in questo processo siamo nuovamente nel pieno dei fondi neri, dei paradisi fiscali che lui poi, nei vertici internazionali insieme al suo sodale Tremonti, dice di voler combattere per un ritorno all’etica nella finanza. Bene, Il Corriere parla di conti esteri nei paradisi fiscali dai nomi pittoreschi: c’è il conto Trattino, il conto Teleologico, il conto Litoraneo, il conto Sorzio, il conto Clock, il conto Pace etc. etc.. Questo è un processo che sta arrivando alla conclusione nella fase delle indagini e pare che la Procura, appunto, voglia depositare gli atti in attesa - così di solito avviene - di chiedere il rinvio a giudizio del Presidente del Consiglio, quindi questo sarebbe un altro processo che andrebbe a aggiungersi ai due congelati a Milano, senza dimenticare che ce ne è pure uno congelato a Roma: quello per la compravendita dei Senatori nel caso Saccà, che il G.I.P., interpretando il Lodo Alfano in maniera estensiva e considerando coperta anche la fase delle indagini dal Lodo Alfano, ha sospeso in fase di indagine, sempre in attesa che la Corte Costituzionale ci dica se il Lodo è legittimo oppure no.
C’è invece l’altra inchiesta: un’altra inchiesta che, per il momento, almeno da quello che si sa non coinvolge Berlusconi personalmente, ma coinvolge la banca di riferimento di Berlusconi, della sua famiglia e dei suoi cari. La banca si chiama Harner, è nata come Finanziaria a metà degli anni 90 e poi è diventata una banca a tutti gli effetti, sta, come sede centrale, a Lugano e l’11 giugno scorso è stata perquisita dalla Guardia di Finanza, in seguito a un’indagine della Procura di Milano che è nata proprio dalla denuncia di alcuni ispettori della Banca d’Italia e l’indagine parla di riciclaggio di denaro sporco o sospetto. Ci sono molte ombre sulla filiale italiana milanese di questa Harner Bank, si parla di giochi di sponda milionari con, tanto per cambiare, paradisi fiscali: questo scrivono Malagutti e Biondani su L’Espresso. Gli ispettori della Banca d’Italia hanno sostenuto che, dai loro rilievi, non è possibile, in questo momento, risalire, individuare il reale beneficiario di queste triangolazioni con i conti esteri e le società off shore. Da 15 anni la Harner è la banca di fiducia di Berlusconi, lì avvengono operazioni fiduciarie, lì avvengono operazioni per investimenti, è la cassaforte che amministra una parte del patrimonio del nostro Presidente del Consiglio e della sua famiglia. Tant’è che il conto di gestione intestato a Silvio è il numero uno nella filiale italiana della Harner, è il cliente privilegiato e poi ci sono anche i conti dei suoi amici più stretti: per esempio, lì ha i suoi conti il fondatore della Mediolanum Ennio Doris, lì ha i suoi conti la famiglia Previti, lì ha i suoi conti Salvatore Sciascia, l’ex addetto ai servizi fiscali della Fininvest, poi condannato per corruzione della Guardia di Finanza e quindi promosso immediatamente in Parlamento e lì hanno parcheggiato un bel po’ di soldi tre Finanziarie tra quelle che controllano la Fininvest, che sono la Holding italiana 2, 8 e 5 e sono amministrate tutte e tre dai figli di primo letto Marina e Piersilvio. Naturalmente questa banca viene scelta perché garantisce la riservatezza assoluta, garantisce fondi di investimento alle Bahamas e in società lussemburghesi, ottimi rapporti con paradisi fiscali, di recente ha addirittura inaugurato, la Harner Bank, un ufficietto a Dubai, che è l’ultimo grido dell’off shore nel mondo. Sapete che l’off shore si sta spostando dal centro America ai paesi arabi proprio perché nel centro America da parte dei vertici internazionali, si è detto che i paesi devono chiudere le casseforti estere e quindi, invece di chiuderle, semplicemente le trasferiscono in posti più lontani, più esotici, più lontani dalle telecamere. Uno dei fondatori di questa banca si chiama Paolo Del Bue, il quale è coimputato, insieme a Berlusconi e agli altri, nel processo sui fondi e sui film di Mediaset, è stato uno dei protagonisti della vicenda Mills, l’avvocato Mills è l’avvocato che aveva creato le società estere off shore del gruppo Fininvest, Del Bue è uno dei soci fondatori della Harner Bank. Ebbene, questa banca ha avuto diverse traversie, perché dopo alcune pressioni delle autorità di vigilanza Svizzere aveva nominato un nuovo Presidente di garanzia, un revisore dei conti, un certo Adriano Vassalli, poi nel 2008 sono successe altre cose: c’è stata l’ispezione della Banca d’Italia nella filiale italiana, dove si sono scoperte queste sospette operazioni di riciclaggio, è partita l’indagine alla Procura di Milano per riciclaggio e, nel frattempo, anche la Procura di Palermo si è interessata al direttore e altro socio fondatore della Harner, che si chiama Nicola Bravetti, che è stato arrestato dai magistrati antimafia di Palermo con l’accusa di aver intestato fittiziamente dei beni, aiutando così un imprenditore siciliano, un certo Francesco Zummo, a fare sparire delle somme notevoli, 13 milioni di Euro, alle Bahamas. Zummo era stato condannato in primo grado per associazione mafiosa, poi è stato assolto in appello dall’accusa di riciclaggio e insomma è accusato di essere un bel personaggino dai giri giusti in questa finanza torbida; è stato arrestato il direttore della filiale italiana della Harner, questo Nicola Bravetti, appunto, per avergli dato una mano a fare sparire un po’ di soldi e questa filiale italiana è proprio quella che ha, come cliente numero uno, Silvio Berlusconi e a seguire tutti i suoi cari e una parte della sua numerosa famiglia. I Pubblici Ministeri di Palermo sono riusciti addirittura a ottenere una risposta alle rogatorie dalle Bahamas, cosa che di solito non accade mai e quindi a fare sequestrare quei 13 milioni che Zummo, secondo l’accusa, avrebbe fatto sparire ai Caraibi con l’aiuto del direttore della filiale italiana della Harner Bank e adesso sta esaminando l’enorme documentazione che, dalle Bahamas, è arrivata a Palermo, a carico del banchiere e del suo sodale. La banca ha detto di non avere niente da nascondere e che Zummo, essendo stato assolto in appello dall’accusa di riciclaggio dopo una condanna in primo grado di cinque anni, questo fa cadere tutta l’accusa anche nei confronti di quello che l’ha aiutato, ma in realtà invece i magistrati rispondono che l’intestazione fittizia di beni è vietata indipendentemente dalle vicende penali del beneficiario di questa intestazione di beni. Insomma, abbiamo addirittura il nuovo governatore Draghi, il governatore della Banca d’Italia Draghi, che aveva designato al vertice della Harner Alessandro Maggiorelli, il quale adesso è finito anche lui sotto inchiesta per favoreggiamento in queste storie e in altre storie di riciclaggio, sempre da parte della Procura di Milano. Quindi una banca che ha i suoi vertici sotto osservazione di due Procure della Repubblica, Milano e Palermo, per storie di presunto riciclaggio, un cliente è Silvio Berlusconi, che evidentemente ha cominciato a dare - chissà come mai! - segni di nervosismo. Ne sapremo di più alla ripresa dell’attività giudiziaria ma, anche da questi fronti, possiamo capire per quale motivo il Cavaliere è così agitato". (Marco Travaglio)
Ebbene, di quest’indagine c’è uno stralcio, c’è un filone parallelo che riguarda appunto Mediatrade: Berlusconi sa di essere indagato fin dal 2007, quando i magistrati gli notificarono un avviso di proroga delle indagini, lui è sospettato, è iscritto nel registro degli indagati per concorso in appropriazione indebita, insieme a altri. Ossia un’altra volta è accusato di avere attinto a piene mani dalle casse delle sue società e questi sono fatti molto recenti, sono fatti che si riverberano sui bilanci del gruppo molto recenti, quindi sono difficili da fare cadere in prescrizione: prepariamoci a qualche altra legge ad personam . In questo fascicolo si dice che ci sono in ballo 100 milioni di Euro, una bella sommetta: inizialmente sembrava che quei soldi se li fosse fregati il produttore egizio /americano Frank Agrama, che è un vecchio amico di Berlusconi, che è un produttore di film, che è un suo sodale e pareva essersi fregato questi soldi e averli depositati sui conti di una società di Hong Kong, insomma che avesse fatto la cresta dalle casse dal biscione. In realtà, secondo l’accusa della Procura di Milano, quelli non erano soldi rubati da Agrama: erano soldi che Agrama aveva messo da parte anche per conto di Berlusconi, ossia Agrama sarebbe niente altro che un socio occulto di Berlusconi che ha messo da parte un altro bel po’ di fondi neri e da qui l’accusa ai due di appropriazione indebita. Inizialmente Berlusconi, insieme a Confalonieri e a altri sette imputati, era stato rinviato a giudizio - scrive Ferrarella su Il Corriere della Sera - con l’accusa di aver mascherato la formazione di ingenti fondi neri dirottati dalle casse della Fininvest e della Mediaset verso i conti esteri gestiti dai suoi fiduciari, che erano appunto quelle provviste di nero che nascevano dalla catena di Sant’Antonio delle varie società che si passavano l’una con l’altra i film e quindi di aver gonfiato i prezzi di quei film. Nel 2008 è passata la legge Alfano e quel processo lì è stato congelato in attesa che la consulta si pronunci, sperando che non avvengano altre cenette intime tra i giudici della consulta e l’utilizzatore finale del Lodo Alfano. Molte delle accuse, nel frattempo, in quel processo sono state falcidiate dalla prescrizione e, in parte, anche grazie alla legga ex Cirielli, che ha anticipato i termini della prescrizione, perché all’inizio, nel processo Mediaset, Berlusconi e i suoi coimputati erano accusati di appropriazione indebita per 276 milioni di dollari e frodi fiscali per un valore di 120 miliardi di lire, fino al 1999. Dopodiché, nella contestazione suppletiva, il magistrato, Pubblico Ministero De Pasquale, ha allungato il falso in bilancio fino al 2001, cioè ancora fuori dalla prescrizione, facendo arrivare delle carte proprio da quel processo stralcio, il processo Mediatrade, che è questa società controllata che, materialmente, ha il compito, per conto di Mediaset, di acquistare i film dalle Majors , o i diritti per trasmettere i film dalle majors . Questo è il fascicolo che preoccupa Berlusconi, sia perché i fatti sono molto recenti e quindi non saranno facili da mandare in prescrizione così rapidamente, sia perché in questo processo siamo nuovamente nel pieno dei fondi neri, dei paradisi fiscali che lui poi, nei vertici internazionali insieme al suo sodale Tremonti, dice di voler combattere per un ritorno all’etica nella finanza. Bene, Il Corriere parla di conti esteri nei paradisi fiscali dai nomi pittoreschi: c’è il conto Trattino, il conto Teleologico, il conto Litoraneo, il conto Sorzio, il conto Clock, il conto Pace etc. etc.. Questo è un processo che sta arrivando alla conclusione nella fase delle indagini e pare che la Procura, appunto, voglia depositare gli atti in attesa - così di solito avviene - di chiedere il rinvio a giudizio del Presidente del Consiglio, quindi questo sarebbe un altro processo che andrebbe a aggiungersi ai due congelati a Milano, senza dimenticare che ce ne è pure uno congelato a Roma: quello per la compravendita dei Senatori nel caso Saccà, che il G.I.P., interpretando il Lodo Alfano in maniera estensiva e considerando coperta anche la fase delle indagini dal Lodo Alfano, ha sospeso in fase di indagine, sempre in attesa che la Corte Costituzionale ci dica se il Lodo è legittimo oppure no.
C’è invece l’altra inchiesta: un’altra inchiesta che, per il momento, almeno da quello che si sa non coinvolge Berlusconi personalmente, ma coinvolge la banca di riferimento di Berlusconi, della sua famiglia e dei suoi cari. La banca si chiama Harner, è nata come Finanziaria a metà degli anni 90 e poi è diventata una banca a tutti gli effetti, sta, come sede centrale, a Lugano e l’11 giugno scorso è stata perquisita dalla Guardia di Finanza, in seguito a un’indagine della Procura di Milano che è nata proprio dalla denuncia di alcuni ispettori della Banca d’Italia e l’indagine parla di riciclaggio di denaro sporco o sospetto. Ci sono molte ombre sulla filiale italiana milanese di questa Harner Bank, si parla di giochi di sponda milionari con, tanto per cambiare, paradisi fiscali: questo scrivono Malagutti e Biondani su L’Espresso. Gli ispettori della Banca d’Italia hanno sostenuto che, dai loro rilievi, non è possibile, in questo momento, risalire, individuare il reale beneficiario di queste triangolazioni con i conti esteri e le società off shore. Da 15 anni la Harner è la banca di fiducia di Berlusconi, lì avvengono operazioni fiduciarie, lì avvengono operazioni per investimenti, è la cassaforte che amministra una parte del patrimonio del nostro Presidente del Consiglio e della sua famiglia. Tant’è che il conto di gestione intestato a Silvio è il numero uno nella filiale italiana della Harner, è il cliente privilegiato e poi ci sono anche i conti dei suoi amici più stretti: per esempio, lì ha i suoi conti il fondatore della Mediolanum Ennio Doris, lì ha i suoi conti la famiglia Previti, lì ha i suoi conti Salvatore Sciascia, l’ex addetto ai servizi fiscali della Fininvest, poi condannato per corruzione della Guardia di Finanza e quindi promosso immediatamente in Parlamento e lì hanno parcheggiato un bel po’ di soldi tre Finanziarie tra quelle che controllano la Fininvest, che sono la Holding italiana 2, 8 e 5 e sono amministrate tutte e tre dai figli di primo letto Marina e Piersilvio. Naturalmente questa banca viene scelta perché garantisce la riservatezza assoluta, garantisce fondi di investimento alle Bahamas e in società lussemburghesi, ottimi rapporti con paradisi fiscali, di recente ha addirittura inaugurato, la Harner Bank, un ufficietto a Dubai, che è l’ultimo grido dell’off shore nel mondo. Sapete che l’off shore si sta spostando dal centro America ai paesi arabi proprio perché nel centro America da parte dei vertici internazionali, si è detto che i paesi devono chiudere le casseforti estere e quindi, invece di chiuderle, semplicemente le trasferiscono in posti più lontani, più esotici, più lontani dalle telecamere. Uno dei fondatori di questa banca si chiama Paolo Del Bue, il quale è coimputato, insieme a Berlusconi e agli altri, nel processo sui fondi e sui film di Mediaset, è stato uno dei protagonisti della vicenda Mills, l’avvocato Mills è l’avvocato che aveva creato le società estere off shore del gruppo Fininvest, Del Bue è uno dei soci fondatori della Harner Bank. Ebbene, questa banca ha avuto diverse traversie, perché dopo alcune pressioni delle autorità di vigilanza Svizzere aveva nominato un nuovo Presidente di garanzia, un revisore dei conti, un certo Adriano Vassalli, poi nel 2008 sono successe altre cose: c’è stata l’ispezione della Banca d’Italia nella filiale italiana, dove si sono scoperte queste sospette operazioni di riciclaggio, è partita l’indagine alla Procura di Milano per riciclaggio e, nel frattempo, anche la Procura di Palermo si è interessata al direttore e altro socio fondatore della Harner, che si chiama Nicola Bravetti, che è stato arrestato dai magistrati antimafia di Palermo con l’accusa di aver intestato fittiziamente dei beni, aiutando così un imprenditore siciliano, un certo Francesco Zummo, a fare sparire delle somme notevoli, 13 milioni di Euro, alle Bahamas. Zummo era stato condannato in primo grado per associazione mafiosa, poi è stato assolto in appello dall’accusa di riciclaggio e insomma è accusato di essere un bel personaggino dai giri giusti in questa finanza torbida; è stato arrestato il direttore della filiale italiana della Harner, questo Nicola Bravetti, appunto, per avergli dato una mano a fare sparire un po’ di soldi e questa filiale italiana è proprio quella che ha, come cliente numero uno, Silvio Berlusconi e a seguire tutti i suoi cari e una parte della sua numerosa famiglia. I Pubblici Ministeri di Palermo sono riusciti addirittura a ottenere una risposta alle rogatorie dalle Bahamas, cosa che di solito non accade mai e quindi a fare sequestrare quei 13 milioni che Zummo, secondo l’accusa, avrebbe fatto sparire ai Caraibi con l’aiuto del direttore della filiale italiana della Harner Bank e adesso sta esaminando l’enorme documentazione che, dalle Bahamas, è arrivata a Palermo, a carico del banchiere e del suo sodale. La banca ha detto di non avere niente da nascondere e che Zummo, essendo stato assolto in appello dall’accusa di riciclaggio dopo una condanna in primo grado di cinque anni, questo fa cadere tutta l’accusa anche nei confronti di quello che l’ha aiutato, ma in realtà invece i magistrati rispondono che l’intestazione fittizia di beni è vietata indipendentemente dalle vicende penali del beneficiario di questa intestazione di beni. Insomma, abbiamo addirittura il nuovo governatore Draghi, il governatore della Banca d’Italia Draghi, che aveva designato al vertice della Harner Alessandro Maggiorelli, il quale adesso è finito anche lui sotto inchiesta per favoreggiamento in queste storie e in altre storie di riciclaggio, sempre da parte della Procura di Milano. Quindi una banca che ha i suoi vertici sotto osservazione di due Procure della Repubblica, Milano e Palermo, per storie di presunto riciclaggio, un cliente è Silvio Berlusconi, che evidentemente ha cominciato a dare - chissà come mai! - segni di nervosismo. Ne sapremo di più alla ripresa dell’attività giudiziaria ma, anche da questi fronti, possiamo capire per quale motivo il Cavaliere è così agitato". (Marco Travaglio)
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