domenica 30 gennaio 2011

Napolitano, sciogli questo indecente Parlamento prima che sia troppo tardi

Non riesco a capire perché il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, continui a dire di abbassare i toni a tutti indistintamente, facendo un gran calderone senza distinzioni tra chi ci affligge e chi cerca una strada per il cambiamento, invece di sciogliere il Parlamento ed andare ad elezioni anticipate. Che cosa deve ancora fare questo premier e la sua coalizione per dimostrare che è inadatto come uomo pubblico e come uomo privato?

"La democrazia senza regole è come un vicolo buio dove ci si trova alla mercé dei delinquenti. Se però le regole, quindi le leggi, le fanno i delinquenti, tutto può avvenire alla luce del sole."...Tanti anni fa, in un'intervista, lo stravagante e folcloristico Muhammad Alì, (ineguagliabile campione di pugilato) dichiarò: "Se mi dovesse mai capitare d'incontrare, per caso, in un vicolo oscuro di New York, uno solo, a caso, dei fratelli Spinks (Leon o Michael), credo che, forti come sono, potrebbero anche uccidermi a pugni. Ma sul Ring,dove esistono "REGOLE" da rispettare è un'altra cosa, sul Ring il più forte sono io, sono io il campione, sono io il Re !". Nella stravagante ipotesi di Alì c'è una grande verità, la democrazia senza regole non è più tale, oppure potremmo dire che le regole (o le leggi) sono i pilastri della democrazia. Invece,purtroppo, mi viene alla mente un'altra finale considerazione: "Ecco,considerando l'attuale e precaria situazione italiana, possiamo affermare "tranquillamente" che il "cittadino italiano" si trova già in quel vicolo oscuro (e senza sbocco),ed ha difronte ormai tutti e due i fratelli Spinks......e senza regole!". (Maurizio Tesei-dal blog di Beppe Grillo)

"Braccato dai pubblici ministeri che lo inseguono in tre processi ed ora lo inchiodano a un imminente "rito immediato". Ricattato dalle veline-meteorine-coloradine che hanno animato le sue serate e ora battono cassa. Logorato da una maggioranza forzaleghista che non ha più numeri per galleggiare né idee per governare. Tenuto artificialmente in vita da un disperato drappello di "disponibili" che con poco senso del ridicolo si sono ribattezzati "responsabili". In queste condizioni precarie, che c'è di meglio dell'ennesimo, improbabile diversivo? È quello che ha appena inventato il presidente del Consiglio, con la proposta di un nuovo "piano bipartisan per la crescita" lanciato attraverso le colonne del Corriere della Sera. Qui non c'entra il pregiudizio ideologico: cioè l'irriducibilità dell'antiberlusconismo militante, o l'indisponibilità a riconoscere che il Cavaliere è l'uomo che tanta parte dell'opposizione parlamentare, sociale o mediatica "ama odiare" (come ripete ossessivamente Giuliano Ferrara). Qui c'entra il giudizio politico: cioè l'assoluta vacuità della proposta, e la sua oggettiva inidoneità ad affrontare e risolvere i problemi strutturali del Paese. Lasciamo da parte il tema dell'imposta patrimoniale, troppo complesso per essere liquidato con le solite fumisterie propagandistiche da padroncino brianzolo, "nobilitate" dalle lezioni della scuola di Chicago. Quello che il premier offre all'Italia e al centrosinistra, fuori contesto e fuori tempo massimo, è l'ennesimo simulacro di un patto scellerato. Dice Berlusconi: noi liberalizziamo l'economia, modificando l'articolo 41 della Costituzione e rendendo finalmente "consentito tutto ciò che non è vietato". In cambio, i ceti produttivi fanno emergere "la ricchezza privata nascosta". Lo chiama "scambio virtuoso": da una parte "maggiore libertà e incentivo fiscale all'investimento", dall'altra parte "aumento della base impositiva" oggi occultata. Dov'è la scelleratezza? In tutti e due i fattori dello scambio. Dal lato delle "libertà". Intanto questo governo di liberisti un tanto al chilo, da due anni e mezzo, ha fatto solo passi indietro sul tema delle liberalizzazioni, riducendo in brandelli la lenzuolata di Bersani della passata legislatura. E poi la riforma dell'articolo 41, ammesso che serva a qualcosa, è una riscrittura del dettato costituzionale. Esige un disegno di legge di revisione della Carta del '48, dunque una quadrupla lettura parlamentare e, in caso di approvazione senza il voto dei due terzi del Parlamento, un referendum confermativo. Tempi realistici di approvazione: non meno di un anno e mezzo. "Lungo periodo": di qui ad allora, come diceva Keynes, "saremo tutti morti". E ad ogni modo: da almeno sedici mesi il ministro Tremonti ha annunciato la riforma una decina di volte, un paio delle quali in consessi internazionali (come il G20 di Busan, in Corea del Sud). Se ci crede tanto, cosa aspetta a presentare il disegno di legge? Non è difficile: sono due righe di testo, forse anche meno. Perché non passa dalle parole ai fatti? Dal lato della fiscalità. Che senso ha proporre a chi evade l'ennesimno scambio? Proprio oggi la Guardia di Finanza fa sapere che nel 2010 sono stati scoperti 8.850 evasori totali, e che il lavoro d'indagine ha fatto emergere la cifra record di 50 miliardi di redditi non dichiarati. Di fronte a questo oceano di illegalità non c'è proprio nulla da "scambiare". Visto che le Fiamme Gialle lo hanno scoperto, c'è solo da prosciugarlo, facendo pagare caro chi finora non ha pagato. Ma questo, con tutta evidenza, è un bel problema per Berlusconi e per la sua sfibrata maggioranza. Si tratterebbe di prendere di petto la constituency politico-elettorale del Pdl, invece di continuare a lisciargli il pelo. Il Cavaliere non l'ha mai fatto. Meno che mai può farlo oggi, mentre imbocca il suo viale del Tramonto. Il suo modello non è Milton Friedman. È Cetto La Qualunque". (Massimo Giannini)

"Siate buoni! Lo dice un uomo anziano che fabbrica ciambelle col buco e ne diffonde il consumo e poi - non so perché - chiude con questa esortazione il suo messaggio pubblicitario. Ma le sue ciambelle sono fatte con ottima farina. Qui, nella ciambella Italia, è l'ottima farina che manca, la nostra è una farina piena di vermi e di impurità ed è la materia prima che fa difetto. Perciò l'esortazione ad esser buoni, che la più alta autorità dello Stato non cessa di lanciare alle forze politiche e alle istituzioni imbarbarite, cade in un vuoto dove s'incrociano grida, insulti, delegittimazioni e malcostume diffuso in tutti i livelli.Si accumulano indizi e prove di gravi reati, ma non è neppure questo l'aspetto che desta maggiore sgomento: i reati, veri o presunti, hanno i loro luoghi per essere accertati ed eventualmente puniti; ma è l'indecente spettacolo dei comportamenti viziosi e della paralisi istituzionale che ne consegue a gettare il Paese nello sgomento. L'articolo 54 della nostra Costituzione esorta ed anzi impone al titolare di quella istituzione di comportarsi con decoro, ma non era mai accaduto nella nostra storia di centocinquanta anni che l'onore e il decoro istituzionale fossero violati fino a tal punto. C'è un solo luogo pubblico, un solo Palazzo, che non è stato lambito da quest'ondata di disistima ed è il Quirinale, la presidenza della Repubblica.Si dice che il Capo dello Stato, al di là delle esortazioni, dell'esempio e dei pressanti consigli,
non abbia altri strumenti per intervenire e ci si domanda sconfortati: di quante divisioni dispone Giorgio Napolitano? E' un potere armato o disarmato? E' soltanto una voce che grida nel deserto e altro non può fare?In realtà il Presidente non è soltanto una voce e una presenza vigilante ma non operativa. A parte il potere di promulgare le leggi o di rinviarle al Parlamento, che non può essere reiterato, il Presidente dispone di altri due strumenti previsti dalla Costituzione. Il primo riguarda la formazione del governo, il secondo lo scioglimento anticipato delle Camere. Si tratta di strumenti estremamente incisivi, che vanno dunque usati con la massima ponderazione, ma che costituiscono una riserva preziosa quando le strutture istituzionali rischiano di decomporsi in un generale marasma. Questo rischio sta incombendo sulla nostra democrazia, sicché i due strumenti che abbiamo sopra indicati vanno esaminati con attenzione e se del caso utilizzati dal Capo dello Stato che ne ha la titolarità.* * *La formazione del governo. La Costituzione stabilisce che "il presidente della Repubblica, sentiti i presidenti delle Camere e i rappresentanti dei gruppi parlamentari, nomina il presidente del Consiglio e, su sua proposta, i ministri". L'articolo successivo prescrive che "il governo entro quindici giorni dal suo insediamento si presenta in Parlamento per ottenere la fiducia".Questa procedura è chiarissima né si presta ad equivoci. Il Capo dello Stato "nomina" il presidente del Consiglio e le opinioni espresse dai presidenti delle Camere e dei gruppi parlamentari non vincolano il Capo dello Stato ma contribuiscono a renderlo compiutamente informato sugli orientamenti del Parlamento.Su questa procedura costituzionale si è sovrapposta la prassi dell'incarico esplorativo. Sulla base di questa prassi il Capo dello Stato anziché nominare, incarica una personalità da lui scelta per accertare preliminarmente l'esistenza di una maggioranza parlamentare disposta a dare la fiducia all'incaricato. Se l'accertamento dà esito positivo, l'incaricato scioglie la riserva e il Capo dello Stato lo nomina; se l'accertamento è negativo al Capo dello Stato non resta altra soluzione che lo scioglimento delle Camere.Questa prassi tuttavia non è affatto vincolante poiché non prevista in Costituzione. Il governo Pella per esempio fu "nominato" da Luigi Einaudi senza l'accordo della Dc di cui Pella era peraltro autorevole membro. Quando si presentò alle Camere la fiducia comunque la ottenne senza averne avuto la certezza preliminare. Le cose andarono in modo non identico ma analogo quando Gronchi nominò Tambroni a capo del governo.Ci sono situazioni nelle quali la maggioranza esistente è soltanto formale e posticcia e può modificarsi di fronte all'iniziativa del Capo dello Stato il quale, se si rende conto di questa possibilità, può tenerne conto operando di conseguenza. Non si tratta di una forzatura interpretativa ma dello scrupoloso rispetto di quanto stabilisce la Costituzione.Noi pensiamo che la situazione attuale potrebbe esser risolta, nel caso in cui l'attuale governo fosse sfiduciato o decidesse di dimettersi, direttamente con la nomina d'un nuovo presidente del Consiglio e senza bisogno d'un incarico preliminare.* * *Il secondo strumento riguarda lo scioglimento delle Camere in anticipo con la loro naturale scadenza. Esso può essere deciso dal Capo dello Stato senza bisogno che il governo in carica glielo chieda. La Costituzione infatti non prevede questa richiesta.Naturalmente il Capo dello Stato deve avere una valida ragione per metter fine anticipatamente alla legislatura. Quando per esempio una Camera sia guidata da una maggioranza diversa da quella esistente nell'altra Camera, oppure quando il governo in carica non sia più in grado di governare; oppure per altre ragioni ancora, come accadde quando il Senato fu sciolto anticipatamente per due volte con l'obiettivo di far coincidere nella stessa data la scadenza delle due Camere, che all'epoca avevano una durata diversa.Il marasma attuale e le reciproche delegittimazioni che si lanciano le più alte cariche istituzionali potrebbe ampiamente giustificare uno scioglimento delle Camere ancorché in presenza di un governo non sfiduciato. Siamo arrivati al punto che il partito di maggioranza chiede le dimissioni del presidente della Camera, il quale a sua volta chiede le dimissioni del presidente del Consiglio; quest'ultimo insulta quasi quotidianamente la Corte costituzionale e - da quando ha ricevuto mandato di comparizione per essere interrogato per gravi reati - estende l'insulto alla Procura di Milano definendola (anche qui quotidianamente e pubblicamente) sovversiva ed eversiva e rifiutando di presentarsi al suo cospetto per essere interrogato. Come tutto ciò non bastasse, il partito finiano denuncia al Tribunale dei ministri il ministro degli Esteri per abuso d'ufficio, il Pd e l'Udc deplorano il presidente del Senato, i rappresentanti della Lega e del Pdl disertano le riunioni del Copasir (Comitato di controllo parlamentare dei servizi di sicurezza) che ha chiamato a deporre il presidente del Consiglio o in sua vece il sottosegretario Gianni Letta.Infine si fa strada una singolarissima prassi da parte di Berlusconi d'intervenire telefonicamente nelle trasmissioni televisive per insultare i conduttori e gli ospiti delle medesime, imitato dal direttore generale della Rai, Masi, che interrompe in diretta Annozero dando vita ad una rissa verbale con Santoro davanti a sette milioni di telespettatori.Se in queste condizioni Giorgio Napolitano decidesse di sciogliere il Parlamento e rimettere il giudizio su quanto avviene al popolo sovrano, credo che nessuno potrebbe formulare nei suoi confronti la menoma critica: farebbe il suo dovere rispettando in pieno la lettera e lo spirito della Carta costituzionale". (Eugenio Scalfari)

sabato 29 gennaio 2011

Vogliamo il nostro Egittto

Perché in Italia non siamo capaci di fare quello che è successo in Egitto e in Tunisia. Cioè, cacciare chi si è impossessato della nostra democrazia, della nostra libertà, delle stesse parole che le rappresentano. Si dirà che laggiù le cose stanno molto peggio che da noi e che la popolazione era alla fame. Ma perché dobbiamo arrivare a raschiare il fondo del barile per cacciare via chi sta portando l'Italia alla rovina e la sta ridicolizzando agli occhi del mondo. Anche da noi ci vuole una vera rivoluzione, che dia spazio ai giovani, che allontani per sempre la partitocrazia, che insegni e trasmetta valori, che dia un futuro a noi e nostri figli, che ci ridia una dignità ormai in mano a dei mestatori di professione. Scendiamo in piazza, alziamo le nostre barriccate, cacciamoli via Comune per Comune, finché non si respiri un'aria nuova degna della nostra storia e della nostra cultura.

"Perché in Italia non c'è la rivoluzione? O anche solo un suo timido accenno? E perché non c'è mai stata? I fuochi si stanno accendendo un po' ovunque, dall'Albania, alla Tunisia, all'Egitto. Vecchi dittatori hanno fatto le valige, come Ben Alì, o le stanno preparando, come il faraone Mubarak. L'Italia con il suo stivale immobile al centro del Mediterraneo sembra un castello pietrificato. Un coniglio ipnotizzato dal serpente. Una rana che viene lentamente bollita viva senza accorgersene. Le ragioni di tutto questo sono misteriose, appartengono al campo della metafisica, non più a quello della politica.La nostra stabilità (immobilità?) assomiglia a quella di chi, cadendo nelle sabbie mobili, chiude gli occhi ed evita il più piccolo movimento per rallentare la sua fine. Non grida aiuto, non cerca appigli, semplicemente affonda. I motivi per spiegare questo comportamento ci sono. Così numerosi da riempire un'enciclopedia: l'invecchiamento della popolazione (gran parte degli italiani dovrebbe scendere in piazza con le badanti), la massoneria, le mafie, l'informazione sotto controllo e pilotata (sia a destra che a sinistra), l'occupazione americana con le sue cento basi, il Vaticano, la mancanza assoluta di una classe dirigente... Queste e altre ragioni non sono però sufficienti per giustificare l'indifferenza degli italiani che, anche quando si scagliano contro il potere, evitano di varcare l'ultima linea, di prendersi dei rischi. Più cani da pagliaio che ascoltano il proprio abbaiare alla luna, e se compiacciono, che rivoluzionari. Cosa manca perché gli italiani prendano il loro destino nelle mani? Il popolo più cinico della Terra, abituato a tutto da millenni, che non crede veramente a nulla. La realtà ci dà fastidio, per questo la evitiamo. E domani, come sempre, è un altro giorno". (Dal blog di Beppe Grillo)

"Gli italiani, gli intellettuali, gli artisti, sono poco coraggiosi? Sì, lo sono sempre stati. Sono stati vent’anni sotto un governo fascista, ridicolo, con un pagliaccio che stava lassù... Ci ha mandato l’Impero, le falangi romane lungo Via dell’Impero; ha fatto le guerre coloniali, ci ha mandato in guerra... il grande imprenditore ha detto: «Lasciatemi governare, votatemi, perché io mi sono fatto da solo, sono un lavoratore, sono diventato miliardario, vi farò diventare tutti milionari». Ormai nessuno si dimette, tutti pronti a chinare il capo pur di mantenere il posto, di guadagnare. Pronti a sopraffarci, a intrallazzare. Non c’è nessuna dignità. E’ la generazione che è corrotta, malata, che va spazzata via. La speranza è una trappola inventata dai padroni, quelli che ti dicono "State buoni, zitti, pregate, che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà... sì, siete dei precari, ma fra 2-3 mesi vi assumiamo ancora, vi daremo un posto". Come finisce questo film? Non lo so, spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione. C’è stata in Inghilterra, in Francia, in Russia, in Germania, dappertutto meno che in Italia. Ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto... che è schiavo di tutti. Se vuole riscattarsi, il riscatto non è una cosa semplice. E’ doloroso, esige dei sacrifici. Se no, vada alla malora – che è dove sta andando, ormai da tre generazioni". (Mario Monicelli)

"Pochi giorni fa un’intervistatrice tv mi ha chiesto cosa credevo potesse pensare della politica italiana un alieno proveniente da un altro pianeta, un extraterrestre che improvvisamente si fosse trovato a Roma. Una bella domanda, anche se mi sono chiesto se lei vedeva anche me come una sorta di alieno. Forse come commentatore straniero sono davvero una specie di extraterrestre, ma vorrei rilanciare: di fronte alla politica italiana oggi siamo tutti alieni, rispetto ai politici siamo tutti creature di un altro pianeta, italiani o stranieri, giovani o vecchi, di destra o di sinistra. Perciò la mia risposta è che il nostro extraterrestre chiederebbe come mai in Italia c’è così tanta politica e così poco governo. Infatti, se l’Italia fosse l’unico Paese sulla Terra visitato dall’alieno, la creatura dovrebbe concludere che in questo gioco chiamato democrazia la politica e il governo devono essere variabili indipendenti, attività non connesse, e potrebbe dedurne che in Italia il vero governo deve essere altrove, probabilmente in qualche luogo segreto, perché nessuno dei politici sembra avere nulla a che fare con esso.
Ciò che i media internazionali rispecchiano oggi, in realtà, è l’idea, affine ma più limitata, che il grande successo di Silvio Berlusconi, in effetti la vera eredità dei suoi anni a Palazzo Chigi, sia aver finalmente sostituito come cliché favorito tra gli stranieri per l’Italia «La Dolce Vita» con la frase «Bunga Bunga». Tuttavia il danno, come ben comprende il nostro alieno, è molto più grave della semplice sostituzione di una bella immagine cinematografica con uno scollacciato esotismo.
Il danno può essere riassunto adattando la famosa frase detta da Henry Kissinger, quando l’allora segretario di Stato Usa chiese a chi avrebbe dovuto telefonare se avesse voluto parlare con l’Europa. Se si fosse riferito all’Italia di oggi, avrebbe detto che il numero lo conosce, ma nessuno risponde al telefono. Non ha senso, pensano i governi stranieri o le imprese, chiamare l’Italia, perché il governo, e forse ogni iniziativa, non esiste più. I politici, almeno tutti i politici nazionali, si sono lasciati alle spalle il mondo reale. «Povera Italia», come ha detto recentemente il mio ex datore di lavoro, The Economist. La rivista fu anche rimproverata nel 2001, quando descrivemmo Silvio Berlusconi come «inadatto a guidare l’Italia», ma non ci rendevamo conto che la parola cruciale non era solo «inadatto», ma anche «guidare». Né lui né nessun altro nella politica italiana mostra alcun interesse a guidare l’Italia.
Naturalmente gli italiani hanno percepito questo per qualche tempo. Milioni di voi hanno fatto de «La casta» di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo un grande bestseller nel 2007, un fenomeno che in qualsiasi altro Paese avrebbe implicato la presenza di una forza irresistibile per il cambiamento. Ma la politica è proseguita come prima. Solo, peggio.
Che dire dell’economia? Gli analisti hanno speso un sacco di tempo l’anno scorso chiedendosi in cosa l’Italia è diversa dalla Grecia, dall’Irlanda e dal Portogallo, dato che il suo debito pubblico è uno dei più grandi d’Europa in rapporto al Pil. La conclusione popolare, soprattutto con Giulio Tremonti, è che l’Italia è diversa perché non soffre di crisi del settore finanziario, ha un deficit di bilancio relativamente modesto ed è ancora in grado di onorare i debiti, nonostante un tasso di crescita lento. Quindi questa è una buona notizia.
È tempo di convincersi del contrario. Infatti, sebbene l’analisi sia corretta, la conclusione è errata: in realtà, questa è una cattiva notizia. Perché almeno i governi di Grecia, Irlanda e Portogallo stanno facendo qualcosa sotto la pressione della loro crisi: le riforme sono state tentate. Almeno in Irlanda c’è un’opposizione che sa chi è il suo leader e sa che vuole andare al governo alle elezioni anticipate che si terranno il mese prossimo.
Così come ad altri commentatori mi viene spesso chiesto come possa il presidente del Consiglio sopravvivere a scandali che avrebbero costretto alle dimissioni in pochi giorni qualunque altro leader europeo. La ragione non ha veramente nulla a che fare con il sesso o machismo che viene spesso citato, ancora meno con l’opinione pubblica.
La differenza decisiva tra l’Italia e ciò che sarebbe accaduto in Francia, Spagna o Gran Bretagna è che gli alleati di Berlusconi, all’interno del suo partito e della sua coalizione, non gli hanno ancora chiesto di dimettersi, cosa che altrove i loro omologhi avrebbero già fatto da tempo. Essi non vedono alcuna necessità di farlo e presumibilmente credono di poter ancora trarre beneficio dall’alleanza con lui. Né l’opposizione appare seriamente intenzionata nel tentativo di costringerlo ad andarsene, o di cercare di convincere i suoi alleati, nel Pdl o nella Lega, che i loro interessi potrebbero essere serviti meglio senza di lui. Lo spettacolo piuttosto strano della legge sul federalismo fiscale e relativi dibattiti mettono in luce questa mancanza di urgenza e di determinazione. Dopo tanti anni di discussioni su questo problema, con il disegno di legge principale approvato da quasi due anni e con le scadenze per le leggi di attuazione presumibilmente imminenti com’è possibile che ci sia così poca chiarezza su ciò che davvero significa federalismo fiscale? Non sono solo gli alieni a non riuscire a decifrare il vero significato di questo cambiamento apparentemente così importante.
La domanda che devo continuare a pormi alla luce di questa scena politica triste, paralizzata, del tutto autoreferenziale, è se mi sbagliavo lo scorso ottobre esprimendo speranza e ottimismo nel mio libro «Forza, Italia: come ripartire dopo Berlusconi». Certamente non abbiamo ancora raggiunto il «dopo», ma la mancanza di leadership, o anche del desiderio di averne una, è scoraggiante.
Così, torniamo al nostro alieno e supponiamo che così come è extraterrestre sia anche un economista esperto. Se l’alieno desse un’occhiata ai dati economici dell’Italia, vedrebbe una lista familiare di punti deboli: la crescita economica più lenta rispetto ad altri Paesi della zona euro allargata, la caduta dei redditi delle famiglie; la crescita a rilento della produttività, l’invecchiamento e la stagnazione della popolazione, l’alta disoccupazione giovanile, i disavanzi del commercio della bilancia dei pagamenti, nonostante tutte le dicerie sulle esportazioni italiane (che, contrariamente alla credenza popolare, sono solo al quinto posto nell’Unione europea, sommando beni e servizi, o al quarto solo per le merci).
Ma incontrerebbe anche imprenditori che lavorano giorno e notte per creare e inventare prodotti di alta qualità venduti in tutto il mondo; vedrebbe, dal referendum Fiat, una volontà emergente tra i sindacati moderati e i lavoratori per modernizzare le pratiche del lavoro; vedrebbe le idee, l’energia e la creatività dei giovani e potrebbe essere impressionato dalla forza delle cooperative e delle reti nel lavorare insieme per obiettivi comuni. Soprattutto, noterebbe, nelle sue conversazioni con gli economisti italiani umani, un consenso insolito (per l’economia) su ciò che deve essere fatto.
Il manifesto dell’alieno sarebbe chiaro, insieme forse con la sua strategia di investimento: concluderebbe, come amano dire gli investitori, che in Italia l’«opportunità al rialzo» di una crescita economica più rapida, lungo le linee tedesche, è grande se solo ci potesse essere un accordo per liberare le energie del Paese. L’agenda richiede il passaggio a un diritto del lavoro unitario ma più flessibile; il trasferimento di risorse pubbliche dall’odierno pantano di usi improduttivi a un nuovo sistema di assicurazione contro la disoccupazione; la liberalizzazione dei mercati per i servizi e per le merci così da consentire maggiore concorrenza e innovazione e, per tutti, la riduzione dei costi. E ancora di più, naturalmente, compresa una versione molto più ambiziosa della riforma Gelmini, per trasformare le università in istituzioni di livello mondiale costrette a concentrarsi sugli studenti e sui risultati. Sarebbe un ordine del giorno liberale, non poi così diverso da quello che i leader e gli altri Paesi della zona euro chiederebbero se l’Italia dovesse in effetti trovarsi in una crisi del debito sovrano. Ecco perché una tale crisi non sarebbe una cosa negativa, nel caso dell’Italia.
Un’agenda del genere avrebbe bisogno di una leadership politica. In realtà avrebbe bisogno di politici interessati alla politica e al governo del Paese. Per il momento non lo sono. Eppure, come Hosni Mubarak, che non è lo zio di Ruby, sta imparando in Egitto, non si può contare per sempre sullo status quo". (Bill Emmot)

“Heyya fawda!, E’ caos!”. Questo il titolo dell’ultimo lungometraggio del regista egiziano Youssef Chahine che descriveva, nel 2007, lo stato caotico e ingovernabile al quale è giunto l’Egitto la cui vita civile è da decenni ostaggio degli umori degli ufficiali e dei commissariati di polizia.

Una “mafia” dentro il regime, che nessuno è mai riuscito a governare. Il protagonista del film, Hatem, un ufficiale di polizia, appunto, impone le sue voglie a tutti con la minaccia continua della galera e della tortura. Persino l’amore Hatem vorrebbe imporre alla bella Nur, la sola a non aver paura del boss della polizia. Ma Hatem non sa cosa vuol dire essere rifiutato e pensa che violentandola otterrà quell’amore che nessuno gli aveva mai dato e che lui aveva sempre intimamente desiderato… Profetico il titolo, profetica la trama del film di Chahine, malgrado non creda che il regista scomparso si sarebbe mai immaginato che in Egitto esplodesse un caos di tutt’altro tipo.
Un solo slogan, scandito in tre tempi: “Il popolo / vuole / il rovesciamento del regime”. Sono queste le parole che per il terzo giorno consecutivo risuonano, più di ogni altra, in ogni angolo del più importante Paese mediorientale, ago della bilancia degli equilibri nella regione. Forse pizzicati nel loro orgoglio dalle rivolte di questo “piccolo”, relativamente periferico, paese nordafricano, che è la Tunisia - a cui non si può negare il merito di aver aperto una nuova pagina nella storia di questa regione - gli egiziani hanno deciso di sfogare la rabbia repressa e di rompere un silenzio che è durato perlomeno 30 anni, tanti quanti sono gli anni di governo che il presidente Mubarak avrebbe compiuto il 14 ottobre di quest’anno.

Quello che succede ora in Egitto è il regalo di compleanno che il popolo egiziano ha riservato al suo raìs ultraottantenne e malato e a un regime, altrettanto malato, che ha raggiunto livelli indescrivibili di corruzione e di malgoverno. Un regime che ha spaccato il paese tra pochi ricchissimi pescecani, ammanicati con le alte sfere, e un mare di poveri e bisognosi, a cui mancano i più elementari diritti a una vita che possa definirsi decente: né panem né circenses.

Nulla di nulla.

Un regime che ha svenduto il proprio territorio al miglior offerente (spesso straniero). Uno stato di polizia che non è riuscito a proteggere la sua popolazione, e in particolare inermi fedeli copti, da ben due attentati terroristici nell’arco di un solo anno (7 gennaio 2010/1 gennaio 2011). Un regime che ha fatto dei commissariati di polizia tribunali per processi sommari e centri di tortura legalizzati grazie alla Legge di Emergenza in vigore dal 1967 (fu sospesa solo per circa un anno nel 1980 e ripristinata da Mubarak dopo l’assassinio di Sadat), una legge che dà carta bianca al presidente di congelare la “normale” vita del Paese imponendo coprifuoco, arresti di massa per semplice sospetto (come accade anche oggi), invalidando o modificando sentenze di tribunali della Repubblica. La Legge di Emergenza ha sempre permesso la violazione dei più elementari diritti umani dei cittadini egiziani che rischiano maltrattamenti e torture nelle centrali di polizia, l’arresto immotivato, l’isolamento dal mondo per lunghi periodi. Fatti quotidiani, questi, conosciuti da tutti, e raccontati anche dalla letteratura e dal cinema egiziano (famosi in patria sono il romanzo di Nagib Mahfuz ‘Karnak’ e il film ‘Siamo quelli dell’autobus’ sulla falsificazione delle accuse da parte della polizia per scopi carrieristici).

Le manifestazioni: giovani e plurali

Nessuno, nemmeno gli egiziani più ottimisti, si sarebbero mai immaginati che un giorno la gente avrebbe detto basta a tutto questo e con tali devastanti proporzione.
Vengono in mente tante immagini: l’intifada palestinese, la rivoluzione rumena, la rivoluzione di velluto cecoslovacca, l’Iran. Ma credo che quello che colpisca sia l’unità che gli egiziani stanno dimostrando in queste manifestazioni. Da tempo immemore non si vedevano insieme musulmani e cristiani, fondamentalisti e laicisti, classe media e operai. E’ esattamente dalla rivoluzione del 1919 contro gli inglesi (sono passati quasi cent’anni!) che non si vedevano manifestazioni che accomunassero uomini e donne, studenti, impiegati, commercianti, contadini, operai. Ma soprattutto giovani.
Questa sarà ricordata come la rivoluzione dei giovani. Giovani di tutte le classi sociali. La grande maggioranza dei manifestanti è composta dai giovani della classe media che sono nati e cresciuti con la faccia e la voce di Mubarak in televisione. Per la gran parte disoccupati, oppure occupati con stipendi da fame,. disillusi, senza un orizzonte, in un Paese in mano a vecchi, sono stati i giovani a organizzare la prima manifestazione del 25 gennaio su Facebook. Questa sarà anche ricordata come la rivoluzione di Facebook che qualcuno ha già rinominato “Sawrabook”, il libro della rivoluzione.

E mentre i primi timidi gruppetti di giovani scendevano in piazza al Cairo (Le Monde parlava di 15000 manifestanti contro 30000 poliziotti in assetto antisommossa!), verso le 12 di martedì scorso, su Facebook veniva lanciata la Rete RASD, quello che potremmo definire “l’osservatorio della rivoluzione” (rasd in arabo significa, infatti, “monitoraggio”) che trasmetteva notizie fresche e in diretta dalla piazza, minuto dopo minuto, grazie all’uso della rete e dei cellulari.

Un tentativo ben riuscito di informazione libera e popolare dal momento che, a mano a mano che le manifestazioni si ingrandivano e si diffondevano in tutto il Paese, i giornalisti di RASD sono riusciti a dare conto di tutte le novità grazie a una rete ben congegnata di corrispondenti e informatori sparsa ovunque. Uno dopo l’altro, in assenza di importanti coperture mediatiche (Aljazeera era in ritardo e la televisione egiziana trasmetteva… film in bianco e nero!), al gruppo RASD si sono iscritti, in soli tre giorni di vita, quasi 400mila utenti Facebook da dentro e fuori l’Egitto.

Un grande successo di informazione dal basso che forse è stato oscurato dal blocco di internet imposto dal regime ieri e oggi. Il governo ha capito, troppo tardi, la pericolosità di Facebook e della rete in generale. Così è corso ai ripari e ha causato il primo black-out totale di internet. Non solo internet è stato oscurato ma anche tutti i servizi della rete di telefonia mobile sono stati. Quello a cui non era giunto l’Iran nei mesi scorsi, è stato realizzato dal regime “moderato” del Cairo. Ma questo non ha paralizzato le manifestazioni come ci si aspettava. Semmai le ha incoraggiate.

Da nord a sud, da est a ovest. Il caso di Suez.

Gli ultimi due giorni hanno segnato la svolta di queste manifestazioni che, all’inizio, non facevano ben sperare. A quel timido gruppo di 15000 persone circoscritto alla capitale, si sono aggiunte ben presto altre decine di migliaia di manifestanti in tutti i maggiori quartieri del Cairo. Non solo. Suez e Alessandria, due delle più importanti città del Paese, si sono unite alle proteste mentre ieri si è segnato il climax dei primi tre giorni: Damietta, Damanhur, Mansura, Zagagig, Tanta, Kafr el Dwwar e altri piccoli villaggi nel Delta, nel nord del Paese; Rafah, El-Arish e altri villaggi del Sinai (estrema regione orientale del Paese); Marsa Matruh, Sallum e altri villagi all’estremo ovest del Paese; Kom Ombo, Luxor, Hurghada e altri villaggi del sud dell’Egitto; molte città satelliti nella gigantesca periferia cairota (Heliopolis, Madinet Nasr, Rehab ecc.); Suez, Ismailiyya e Port Sa‘id le tre grandi città del Canale. Tutte hanno visto continue e violente proteste popolari. Dopo tutte queste manifestazioni che hanno messo a ferro e a fuoco l’intero Egitto anche la tv pubblica si è dovuta rendere conto che qualcosa di nuovo succedeva nel Paese. Ha quindi deciso di interrompere la trasmissione dei film degli anni Cinquanta, in attesa di tempi migliori.
Suez merita una menzione particolare. Questa piccola e coraggiosa città, da sempre obiettivo primario di ogni nemico militare dell’Egitto, è stata testimone di un’incredibile sollevazione popolare che ha imposto, sin dalla fine del primo giorno, il coprifuoco in tutto lo spazio comunale. Ciononostante, nessuno ha rispettato il coprifuoco e i sueziani hanno letteralmente dato alle fiamme e distrutto tutto quello che poteva essere legato al regime e ai suoi scagnozzi: la sede del partito Nazionaldemocratico (partito di Mubarak), la sede del comune, le questure e le proprietà dei businessmen pescecani amici del regime. Nella battaglia di Suez, i cittadini hanno fronteggiato la polizia, si sono impossessati delle armi e dei lacrimogeni dei poliziotti e hanno iniziato… a lanciare loro i loro stessi lacrimogeni! E’ stata talmente incontenibile la rabbia popolare a Suez che la polizia è stata costretta a ritirarsi dalle strade. Per ora Suez è stato il paese con il numero più alto di vittime: 13. Varrà la pena ricordare che Suez è una città, per tradizione, partigiana. Durante le guerre egiziane contro Israele (soprattutto 1967 e 1973) è stata sempre l’ammortizzatore resistente del Paese. L’ultima resistenza popolare di Suez, la più famosa, quella del 1973, fu guidata dallo shaykh Hafez Salama che oggi, alla veneranda età di quasi novant’anni (classe 1925), era in mezzo ai suoi concittadini.

Kefaya, Basta!

Il dato veramente nuovo e al di sopra di tutte le aspettative è che questo sommovimento popolare è spontaneo e plurale. In un paese come l’Egitto paralizzato per decenni anche per il rischio di un possibile golpe islamico, guidato dai Fratelli Musulmani, vedere questa pluralità di diverse classi sociali e di orientamenti politici, tutti uniti da un solo obiettivo, rovesciare il regime, lascia tutti esterrefatti. Stavolta i Fratelli Musulmani, forse anche nel timore di un possibile fallimento della rivoluzione (e della conseguente vendetta ai loro danni che il regime di Mubarak avrebbe potuto attuare), sono rimasti, sin dalle prime ore, nelle file retrostanti, senza esporsi più di tanto. Per una volta, non guidano queste grandi manifestazioni contro Mubarak ma si mescolano tra la folla. Per una volta, le manifestazioni organizzate da gruppi extra-parlamentari diversi dai Fratelli Musulmani coinvolgono centinaia di migliaia di persone allo stremo delle loro forze.
Questa presa di coscienza può esser fatta risalire alla nascita di Kefaya (Basta), un movimento popolare che nacque l’8 agosto 2004 con lo slogan “La lil-tamdid, La lil-tawrith” (No ad un altro mandato, No ad una repubblica ereditaria) e che diceva basta alla tirannia, alla corruzione, alla disgregazione, al sottosviluppo, all’ipocrisia, alla perdita di memoria, al pessimismo, alle parole senza i fatti (dal manifesto di Kefaya).
Quel giovane movimento “giallo” (dal colore prescelto per il proprio logo adesivo) della società civile, il 13 dicembre 2004, davanti alla Corte Suprema, urlò “No al potere ereditario, no alla riconferma di Mubarak”, “No a Mubarak, al suo partito e a suo figlio”. Era la prima volta. Nonostante Kefaya fosse stata capace di smuovere le acque stagnanti della politica egiziana rompendo il più grande tabù nazionale – manifestare in piazza apertamente contro il Presidente – il movimento è sempre restato limitato ad una stretta cerchia di intellettuali e attivisti politici. D’altronde un popolo escluso ed alienato dalla vita politica per decenni, doveva riprendere il proprio ruolo poco per volta.
Kefaya è un movimento senza una sua propria ideologia perché ingloba dentro di sé molte ideologie e orientamenti politico-sociali spesso in netto contrasto tra loro ma tutte accomunate dall’opposizione al regime: islamisti e socialisti, religiosi e laici. Malgrado la mancanza di un’ideologia, gli scopi apparivano definiti. Le richieste e gli intenti di Kefaya sono stati annunciati ufficialmente in un documento intitolato Documento alla nazione reso pubblico il 21 dicembre 2004.

Vi si leggeva:

«I personaggi della politica, del pensiero, della cultura, del sindacalismo e della società civile, firmatari di questo documento, si sono accordati nel riunirsi, malgrado le divergenze politiche e ideologiche, per affrontare due questioni legate tra loro ognuna delle quali è causa e risultato dell’altra.

Prima questione: i pericoli e le enormi sfide che circondano la nostra Nazione rappresentate dall’invasione e dall’occupazione statunitense dell’Iraq, dalla continua violenza e aggressione sionista ai danni del popolo palestinese e dai progetti che mirano a ridisegnare la cartina della Nazione araba di cui ultimo il progetto del “Grande Medio Oriente”.

Tutto ciò minaccia la nostra identità nazionale. Per questo motivo si richiedono grandi sforzi per intavolare un confronto diretto a tutti i livelli - politico, culturale e civile - per salvaguardare gli arabi dal progetto sionamericano.

Seconda questione: la dittatura che ha colpito la nostra società è la causa principale nell’incapacità dell’Egitto di affrontare questi pericoli. Per questo motivo si necessita una riforma globale, politica e costituzionale, portata avanti dai cittadini e non imposta sotto qualsiasi denominazione.

Questa riforma deve toccare i seguenti punti:
1. la fine del monopolio del potere e apertura all’alternanza a partire dalla carica di presidente della repubblica;
2. la promozione della legge, l’indipendenza della magistratura, il rispetto per le sentenze, l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge;
3. la fine del monopolio delle risorse che ha diffuso la corruzione e l’ingiustizia sociale aumentando la disoccupazione e i prezzi;
4. il ripristino del ruolo regionale dell’Egitto perso dopo gli accordi di Camp David con Israele.
Uscire da questa crisi richiede l’inizio rapido della fine del monopolio che il PND ha del potere; la cancellazione dello stato d’emergenza e di tutte le leggi eccezionali antilibertarie; una modifica costituzionale immediata che permetta l’elezione diretta del popolo del Presidente della Repubblica e del suo vice per non più di due mandati, che limiti i poteri assoluti del presidente, che realizzi la divisione e la limitazione dei poteri, che permetta la libera creazione di partiti, quotidiani ed associazioni, che liberi i sindacati della tutela governativa; lo svolgimento di elezioni parlamentari pulite e vere sotto il controllo del Consiglio superiore della Magistratura e il Consiglio di Stato dallo spoglio dei voti sino alla proclamazione dei risultati.

Questa è l’unica via per costruire un Paese libero che creda alla democrazia e al progresso e realizzi lo stato sociale sperato per il nostro popolo, nel nostro amato Egitto.»

Kefaya, oltre ad essere un movimento privo d’ideologia, appariva anche come movimento acefalo: molti capi, molti portavoce, molti rappresentanti.
Kefaya fu la scintilla. Sul suo modello nacquero, infatti, numerosi sottomovimenti: “Giornalisti per il cambiamento”, “Non leggere [i giornali governativi] per il cambiamento”, “Letterati per il cambiamento”, “Operai per il cambiamento”, “Medici per il cambiamento”, “Contadini per il cambiamento”, “Giovani per il cambiamento”, “Bambini per il cambiamento” (organizzazione nata per la scarcerazione di genitori arrestati per motivi politici) ecc.

Kefaya è restato per molti anni un movimento di élite. A partecipare costantemente alle attività del partito (manifestazioni, sit-in, dimostrazioni, congressi) è stata una minoranza composta soprattutto da intellettuali, politici indipendenti, giornalisti, scrittori, sindacalisti, studenti universitari. Kefaya non è riuscita a trascinare la massa degli egiziani che restava a guardare le manifestazioni davanti alla tv o alla finestra per paura di contrastare apertamente il regime.
E ora?
Come Kefaya, anche queste sommosse sono plurali e come Kefaya, anche questa rivoluzione sembra acefala. Manca infatti una leadership forte che possa guidare le proteste nelle loro fasi finali decisive.
Chi si metterà a capo della rivoluzione dei giovani? A cosa potrà portare la coesistenza di un gran numero di partiti e ideologie spesso in competizione tra loro quando sarà il momento di prendere le decisioni? Alla rottura o all’allargamento del fronte? E inoltre: qual è l’alternativa politica concreta che il movimento propone, come intende gestire una transizione, con quali quadri e in quanto tempo?
Il premio nobel ed ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, Muhammad El-Baradei, a cui manca la necessaria popolarità in Egitto, è ritornato ieri (28.1.2011) dall’estero e ha proposto di mettersi a capo di un governo provvisorio che porti il Paese a nuove elezioni presidenziali. Ma è stato subito messo in stato di fermo (poi agli arresti domiciliari) non appena sceso in piazza a manifestare dopo la preghiera del venerdì. Ayman Nur, un altro oppositore che è stato a lungo in carcere, è stato ferito dalla polizia e non sembra che abbia né la popolarità necessaria né le velleità di prendere il potere. Chi si metterà a capo dei comitati che si formeranno? Chi guiderà il consiglio nazionale che si creerà se la rivoluzione avrà successo? Il rischio che gli islamisti montino le rivolte rimane. Ma l’auspicio, di molti egiziani e non solo, è che nessuna ideologia politica o religiosa, in particolare, monopolizzi questi movimenti e che tale genuino movimento popolare rimanga plurale, democratico e aperto a tutte le proposte di riforma. Pluralità dovrebbe essere la parola chiave del prossimo Egitto.

“Non vi ho capito”

Nell’ultimo discorso di Ben Ali, il presidente tunisino, prima di scappare sul jet privato diretto a Gidda ha fatto un discorso alla televisione pubblica nel quale ripeteva al popolo, istericamente, “vi ho capito, vi ho capito”. Mubarak, dopo tre lunghi giorni di manifestazioni e proteste in ogni angolo del Paese, ieri sera tardi è apparso finalmente alla televisione di Stato e non ha dato agli egiziani nemmeno la soddisfazione di sentirsi dire “vi ho capito, vi ho capito”. “Non ci ha capito”, è probabilmente questo quello che hanno pensato tutti gli egiziani che hanno avuto il coraggio di ascoltare un discorso televisivo patetico e stantìo, sentito e risentito centinaia di volte negli ultimi anni che non ha portato a nulla di concreto (per un attimo ho avuto la sensazione che fosse il replay di un vecchio discorso…). In questo discorso (l’ultimo?) Mubarak ha offerto il meno del meno del minimo sindacale: la destituzione del governo.
Su Facebook il gruppo del giornale di opposizione El Dustur, pochi secondi dopo la fine del discorso presidenziale, ha scritto: “Mi sa che Mubarak non ha proprio capito: il popolo vuole il rovesciamento del regime!” Mentre RASD ha pubblicato: “Ben Ali ha detto ‘vi ho capito’. Ci vorranno altri 30 anni perché Mubarak capisca anche noi?”. Ma la battuta più bella è forse quella che circolava su Twitter: “Una volta ho comprato una macchina da Mubarak. Non funzionava. Così lui mi ha proposto di cambiare la radio”.
Il discorso di Mubarak è irresponsabile e non farà che innescare nuove e più violenti proteste. Tanto più che arriva dopo ben due conferenze stampa sulla questione Egitto tenute da due simboli del potere statunitense molto prima di Mubarak: il ministro degli Ester, Hillary Clinton e il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs (poco dopo Mubarak, ha anche parlato Barack Obama). Ciò che mi pare di aver capito da questi discorsi statunitensi è che, per ora, gli Usa non scaricano ancora l’amico mediorientale ma lo spronano a compiere urgentemente riforme concrete. L’appoggio è immutato ma cambiano le condizioni. Mubarak nel suo discorso fa l’occhiolino a Washington ed è all’amministrazione americana, e non al suo popolo, che dice: “Vi ho capito”.
Quello che non ha fatto l’aumento del prezzo del pane, quello che non ha fatto l’inquinamento dell’acqua potabile, quello che non hanno fatto le stragi dei copti e dei palestinesi, ha fatto Facebook. Il popolo egiziano, guidato dalle giovani generazioni, è da tre giorni barricato in piazza in tutto l’Egitto e non mollerà (“kharbana kharabana” si dice in dialetto egiziano, della seria “o ora o mai più”) se non quando si sarà riappropriato del proprio Paese per riformarlo alla radice e proporlo come nuovo modello per tutti gli altri paesi arabi i cui leader già tremano sulle poltrone per il ripetersi dello scenario egiziano.

L’Egitto ha già dimostrato che i fenomeni in queste regioni si replicano per imitazione. Bisogna solo attendere: a chi toccherà dopo? Uno scenario, quello egiziano, che se riuscirà a produrre un vero cambiamento ridisegnerà anche tutti gli equilibri nella regione. Uno scenario che ora, dopo trent’anni di staticità, appare estremamente dinamico e in continua evoluzione. Le analisi politiche dovranno tutte fare i conti con questa realtà multiforme, liquida, ancora inafferrabile, dalle conseguenze ancora incalcolabili.

Qualunque sarà la fine di questa epopea, qualunque saranno le scelte che verranno prese, qualunque sarà il prossimo regime egiziano, di una cosa possiamo essere certi: saremo testimoni di giorni, settimane e mesi che la storia sta già registrando. Lunga vita all’Egitto!" (Marco Hamam-Limes)

Cacciamoli via a calci nel sedere

"Il 13 febbraio sarò a Milano e parteciperò alla silenziosa manifestazione di fronte alla Procura convocata da Beppe Giulietti, Federico Orlando e Articolo 21 e poi rilanciata ieri da Barbara Spinelli, Michele Santoro e Marco Travaglio. Ci sarò e ci saremo noi tutti dell’Italia dei Valori perché pensiamo che non si possa più rimanere inerti di fronte alle manovre sempre più sfacciatamente golpiste dell’uomo che indegnamente ricopre la carica di Presidente del Consiglio e che ormai, pur di sfuggire alla giustizia, è pronto davvero a tutto.Se fossi solo io – che sono il responsabile di un partito dell’opposizione al governo e alle politiche di Silvio Berlusconi - a dire che non è più possibile e che è addirittura indignitoso e vergognoso che l’Italia democratica non faccia sentire la sua voce di fronte all’enormità di quello che sta succedendo, si può pensare che lo faccia per propaganda e per tirare acqua al mio mulino.
Ma se questa domanda se la fa tutto il mondo democratico, se addirittura un grande giornale come il New York Times fa un intero inserto speciale per chiedersi cosa sta succedendo all’Italia e agli italiani e perché sopportano quello che nessun paese democratico sopporterebbe, è segno che a pensare che la misura sia colma non sono più solo Antonio Di Pietro, l’Italia dei valori e l’opposizione. E’ tutto il mondo civile e democratico.Per il 13 febbraio, sempre a Milano, Silvio Berlusconi ha convocato una manifestazione nazionale in difesa di se stesso. Di lui tutto si può dire ma non che non sia furbo. Adesso che è stato colto con le mani nel sacco e che i suoi comportamenti indegni sono stati scoperti, lo sa benissimo che per difendersi dalla vergogna, dal discredito e dalle conseguenze penali delle sue azioni deve buttarla in politica. Cercherà di far credere agli italiani che in gioco non ci sia il suo tentativo di farla franca ancora una volta, come fa da vent’anni a questa parte, ma un complotto organizzato dai suoi nemici politici.
In tutto il mondo queste menzogne ridicole vengono prese per quello che sono: il disperato tentativo di un dittatorello al tramonto di salvarsi in qualunque modo. Ma in Italia Berlusconi ha il suo codazzo di servi pronti a ripetere ogni bugia, anche le più assurde, fregandosene della figura che fanno loro stessi. Ha le sue televisioni che lanciano i suoi videomessaggi, naturalmente senza alcun contraddittorio, i suoi comunicati e le sue “risoluzioni strategiche”. Controlla anche le televisioni che non sono sue ma nostre, che paghiamo noi cittadini, può dare ordini a un direttore generale della Rai che in un paese libero sarebbe già stato cacciato da un pezzo a pedate nel sedere.Quello che fa ridere e che indigna tutto il mondo, qui da noi in Italia può essere preso sul serio grazie ai mezzi di cui il satrapo dispone e grazie al servilismo che lo circonda. A questo serve la manifestazione contro i giudici che Berlusconi vuole organizzare, a questo servono le sceneggiate dei suoi deputati-maggiordomi in televisione, le sue pubbliche escandescenze, come nella oscena telefonata a Lerner, e i suoi comunicati televisivi. Tanto è sicuro che la piazza riuscirà a riempirla, anche perché male che vada può sempre affittare dei manifestanti, come si affitta ogni sera decine di ragazze compiacenti per illudersi di essere amato.
Purtroppo però non è solo un patetico gioco e di mezzo non rischia di andarci solo l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge ma la stessa democrazia italiana. Quello di Berlusconi è un attentato continuo e ormai metodico alla nostra Costituzione, della quale se vincerà non resterà più nulla.E succederà se gli italiani, se noi italiani democratici e liberi non cominciamo a farci sentire, non usciamo da questo sonno che stupisce il mondo. Per questo noi parteciperemo a tutte le manifestazioni che sono state e che saranno convocate in difesa della Costituzione, della libertà d’informazione e dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Questa eguaglianza, senza la quale il diritto se ne va a ramengo, non è minacciata solo dalle pretese di impunità dell'impunito di Arcore, ma anche dalla inettitudine e dal disinteresse per i cittadini del suo governo.
Ieri il pg della Cassazione Vitaliano Esposito, nella sua relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha denunciato la “situazione fallimentare” della giustizia e dei suoi tempi. Ha detto che ormai “non siamo nemmeno più in grado di pagare gli indennizzi dovuti per la violazione dei canoni di un giusto e celere processo”.Oggi gli ha risposto il ministro Alfano, e ha detto che invece “tutto va bene madama la marchesa”, che il governo ha fatto miracoli e che se qualcosa ancora non va perfettamente la colpa è degli altri, delle “resistenze corporative che ostacolano qualsiasi tentativo di riforma del sistema giudiziario”.
Per il Presidente del Consiglio e per i suoi ministri la colpa è sempre degli altri. Invece la colpa è solo loro, perché sono loro quelli che dovrebbero governare e non lo fanno. Sono loro quelli troppo occupati a pensare sì alla giustizia, però non a quella che interessa i cittadini, ma quella da cui deve difendersi Berlusconi. Ma quando, per colpa dell'insipienza del governo, la macchina della giustizia diventa lentissima e inefficiente non si può più parlare di uguaglianza di fronte alla legge: perché alcuni, i più ricchi e i più potenti, i privilegiati, possono nuotare anche in quelle acque, mentre chi non è ricco e potente ci affoga e deve rassegnarsi a non ottenere mai giustizia.
Per tutti questi motivi, saremo presenti a Milano il 13 febbraio insieme a Santoro, Travaglio e art. 21, e lo saremo ancora e prima, il 29 gennaio sempre a Milano per la manifestazione indetta dalle donne “Mobilitiamoci per ridare dignità all’italia”. E ancora il 5 febbraio a Milano, alla manifestazione di Libertà e Giustizia “Dimettiti. Per un’Italia libera e giusta”, e il 6 ad Arcore, a quella indetta dal Popolo viola, per chiedere le dimissioni di Berlusconi e di nuovo il 12 febbraio “Adesso Basta! Berlusconi dimettiti”, in tutta Italia.
Ci saremo sempre e ovunque perché è ora di rompere l’incantesimo grazie al quale Silvio Berlusconi tiene in ostaggio questo paese, e non lo si può più fare restandosene chiusi in casa.Ci saremo anche perché non vogliamo che la rabbia che cresce in questo paese tra le vittime di una crisi che il governo fa pagare solo ai poveracci, ai lavoratori, ai precari e ai giovani esploda nelle piazze. E sappiamo che questo rischio c’è. Può essere scongiurato solo da una mobilitazione pacifica, democratica e non violenta. E al tempo stesso ferma, coraggiosa e decisa, talmente forte da riportare libertà e dignità in Italia.Insomma partecipiamo e mobilitiamo l’indignazione collettiva per evitare la rivolta violenta che oramai è alle porte, se non ci diamo una mossa a liberare il paese dal nostro piccolo meschino dittatorello di Arcore". (Antonio Di Pietro)

venerdì 28 gennaio 2011

Quando un essere umano diventa un culo

"Io vivo in un bel posto, un piccolo paese vicino Torino. Per arrivarci si percorrono i vecchi viali costruiti dai Savoia per raggiungere la palazzina di caccia di Stupinigi, una piccola Schönbrunn, forse più bella ed equilibrata. Intorno ci sono boschi mal tenuti, cascine e campi coltivati. E tantissime puttane. Estate e inverno, giorno e notte sono sempre lì, e adesso siamo a -5. Sono sempre le stesse, ce ne è una che ha degli occhiali incredibili, da miope persa, e cammina avanti e indietro con la sua super mini e la testa spinta in avanti, proprio come faccio io che sono miope perso come lei. Mi fa simpatia. Un paio di giorni fa ne è arrivata una nuova. L’ho notata da lontano perché si agitava come una pazza, questo sembrava. Poi, da vicino, ho visto che saltava la corda, come fanno le bambine e i pugili. E sembrava che cantasse una filastrocca; almeno muoveva le labbra come se cantasse. Non credevo ai miei occhi. L’ho guardata bene, sembrava una bambina. Con la divisa d’ordinanza, si capisce: mini, stivali e giubbottino corto. Ma una ragazzetta. Mi ha preso non so se più rabbia o più tristezza. E mi è venuto in mente il mantra di B&C: “Non ci sono denunce. Non ci sono parti offese. Non ci sono vittime. Come si fa a parlare di reati? È una persecuzione”.
Sono degli ignoranti, quantomeno di diritto: i reati si perseguono anche se la parte offesa non li denuncia. Per questo c’è l’art. 330 del codice di procedura: “Polizia o pubblico ministero prendono, anche di propria iniziativa, notizia dei reati”. Non è un caso che lo vogliano abrogare, almeno per la parte che riguarda il pm. Ma, che siano ignoranti, è ovvio e non importante.
È la loro amoralità agghiacciante che mi rende furibondo. Nemmeno tanto perché sono così: è la loro natura, è come prendersela con gli scorpioni perché sono scorpioni.
È perché si sono impadroniti del paese. E fanno passare la loro natura di scorpioni come un modello giusto e soprattutto vincente. E tanti sciagurati ci credono e diventano scorpioni a loro volta. Vampiri che creano altri vampiri, come nei film; solo che qui è vero.
Torniamo alle puttane bambine e no. Cosa è che ne farebbe delle vittime? Forse il fatto che se ne rendano conto? O magari, per essere vittima, ti devi ribellare? E se invece sono contente? Se si annichiliscono come esseri umani, se vivono una vita da bestie (si capisce, alcune da bestie di lusso), scodinzolando per cibo e oggetti preziosi (ma se tutti hanno il Rolex che ti frega di portarlo?), se insomma si fanno schiave da sole, per questo non sono vittime? Della loro stessa stupidità, amoralità, ma vittime? E non sono anche le vittime di chi approfitta di loro?
La ragazzina che salta la corda e Ruby non sono diverse, hanno solo trovato padroni diversi. La prima: uno che non ha denaro e la sfrutta. La seconda: uno che il danaro ce l’ha e se la compra. A pensarci bene, Ruby ha un padrone peggiore. Uno che l’ha convinta che lei non è mente, cuore, anima; che, alla fine, non è nemmeno un essere umano. Ruby “è” un culo. Il “suo” culo. Ruby è felice di “essere” un culo. Non ci sono vittime?". (Bruno Tinti)

mercoledì 26 gennaio 2011

Il buon samaritano


















PROLOGO

Volavo nel nulla, senza regole, out of control, fuori da ogni sicurezza. Non c'erano domeniche, feste, né Natale e Capodannno. Guidavo bene una vecchia auto, senza patente, senza libretto di circolazione, senza assicurazione e messa due volte sotto sequestro, poi confiscata definitivamente e lasciata perire in un'autorimessa di Focene.
Mi alzavo alle quattro di notte perché all'aeroporto internazionale della capitale c'erano meno controlli (quello considerato a livello internazionale uno di quelli, occidentali, peggiore di tutti per perdita bagagli, servizi, scala mobili rotte, ascensori malfunzionanti, troppi lavoratori e poco efficienti, sicurezza e via dicendo). Prima, da neofita abusivo, andavo a tutto le ore, ma non sapevo che c'era una 'squadra' di imbecilli che poteva bloccarti l'attività e l'auto e che presto ne avrei fatto le spese.
Alle cinque del mattino, se non venivano improvvisamente cancellati, arrivavano i voli da Sana'a, nello Yemen, dove le persone uscivano dopo ore di estenuanti controlli antiterrorismo; poi arrivavano gli africani e non, dall'Etiopia di Addis Abeba (di solito il primo volo della mattina e l'ultimo della sera, preso dalla maggior parte delle persone che veniva dall'Africa dopo il fallimento della spocchiosa Air Afrique) e dalla Nigeria, via Accra, con l'Ethiopian Airlines e l'Alitalia. E ora anche dal nuovo volo da Nairobi, in Kenia, come mi aveva informato un dipendente Onu proveniente dalla Tanzania. Mi sembrava di avere tutto il mondo nelle mie mani e di trovarmi al centro della Terra.
La conoscenza del francese, dell'inglese, del russo e dello spagnolo, e i miei precedenti viaggi in giro per il mondo, anche grazie al correre dietro a un guru peregrino, mi mettevano subito in comunicazione con chi utilizzava la mia auto malandata, una Fiat Regata station wagon del '99,  riciclata in taxi abusivo. I miei viaggi, fra i primi quelli nei campi di lavoro in Francia a fare lo stracciarolo per gli ex carcerati dell'Abbé Pierre, ora ritrovavano quei luoghi e e quelle genti a pochi passi da casa mia.
Per ognuna delle persone che trasportavo si poteva scrivere un libro, si aprivano scenari nuovi e modi di vivere diversi. Ma loro, ignari, pensavano che ero semplicemente un tassista abusivo, come i noleggiatori con conducente che sempre più spesso mi guardavano in cagnesco e non capivamo che cavolo ci facessi lì, nel 'loro' territorio. Così come succedeva con i finanzieri e la sicurezza aeroportuale.
Non avrebbero mai immaginato gli ignari clienti che un giorno mi avrebbero ritrovato all'uscio della loro casa, nel loro Paese, increduli o scioccati, a secondo di come si erano mostrati ai miei occhi di conducente abusivo. Eppoi dovevo giustificare a me stesso e al mondo intero che sì la mia era una caduta sociale, che mi arrabbattavo come il peggiore degli immigrati clandestini, però ne stavo facendo un libro e degli articoli e, quindi, ero sempre qualcuno di socialmente rilevante.
Che poi, questo alternarsi di alti e bassi sociali, dai peggiori lavoretti (attacca manifesti, portatore di pubblicità e pagine gialle, vendemmiatore, ambulante, venditore di souvenir e cianfrusaglie e tanti altri ancora) fino a trovarmi al tavolo con grando giornalisti, personaggi importanti e ancora e ancora. Alti e bassi che avevano accompagnato tutta la mia vita e che spesso non mi permettevano di reagire in maniera continua alla vita, per scendere in campo per guadagnarmi la pagnotta, perché ogni volta mi ritrovavo a secco e dovevo ricominciare tutto da capo, ed era difficile.
Eppoi il mio primo lavoretto regolare trovato per caso con un annuncio sul 'Messaggero', dove sarei pochi annni dopo proprio andato a fare il giornalista in via del Tritone, dopo il liceo scientifico al 'Cavour' di Roma e un abbozzo di università a Giurisprudenza alla 'Sapienza', era stato proprio all'aeroporto di Fiumicino, alla Jas, Jet Air Service, di Isola Sacra. Uno spedizioniere milanese dove ero impiegato a fare lettere di viaggio per accompagnare i pallets che venivano fatti in magazzino, soprattutto con la Qantas, linea aerea australiana, e la Thai di Bangkok. Ci andavo tutti i giorni da Squarciarelli, una frazione di Grottaferrata vicino Roma, quando ci vedevamo (ed alcuni li vedo e sento ancora) con un gruppo di ragazzi di lì ed avevo inanellato una serie di fidanzatine mai andate a buon fine: Sesella, la ex di Roberto Raparelli che non si era più ripreso e sposato, che aveva fatto impazzire anche me per uno strano carattere capriccioso e autoreferenziale; Lia, l'amica di Mayla; la dolce Federica, lasciato dal suo fidanzato di sempre, poi dopo me ripresa da un mio collega dell'agenzia immobiliare 'Raggi e Di Nunzio', la più prestigiosa dei Castelli Romani. Ci vedevamo tutti alla tintoria di Katia Felicioni in via Quattrucci, la stessa via dove abitavo io al Casale 'Taucci', dove la mamma Egle, che aveva perduto il marito da poco, insieme all'altra figlia Stefania, ci faceva a un po' tutti da mamma. Ora continuavo a sentirmi con Lia, la fidanzatina di Franco, che si era risposata con un ragazzo di Ciampino ed aveva tre figli.
Dalla Jas di Fiumicino mi ero dimesso un anno dopo, in cambio di un milione di lire di buonuscita e i pianti di mia madre, perché non ce la facevo più a lavorare tutti i giorni ripetendo sempre le stesse cose. Ed, inoltre, invidiavo il proprietario che se ne andava in giro per il mondo in aereo a fare contratti per i pacchi da spedire, mentre il suo luogotenente sul posto se la spassava a ridere e a scherzare con l'impiegato Thai. Io che avevo fatto il girovago un po' dappertutto non potevo adattarmi a stare in uno squallido ufficietto sopra il magazzino all'interno di un capannone anonimo.
Mi ricordo che ci vedevamo con il mio amico Nando (che ora faceva finta di non conoscermi), che il padre Cenci, dell'omonimo e famoso negozio di abbigliamento vicino a Montecitorio (iniziato dal nonno sarto), e piangevamo la nostra disgrazia di aver lavorato dopo aver passato l'adolescenza tra viaggi e concerti rock, con i soldi suoi però. Da allora, a parte il lavoro di giornalista che fu l'unico che presi sul serio verso i 26 anni quando ero incerto su come muovermi nella vita, non avevo più lavorato veramente fino ad oggi.
Ma per me, contemplatore, quando pensavo che vagavo su un pianeta in mezzo allo spazio, con miliardi di altri esseri umani che si accoloravano per tante cose, quasi sempre inutili, e che vivevamo il miracolo della vita, alla fine tutto mi sembrava senza importanza, tranne l'aver potuto sapere il perché e per chi, per me e i miei figli almeno. Proprio per questa mia ricerca spasmodica di un perché a questa esistenza che non mi permetteva di vivere nell'ignoranza, avevo passato diversi anni della mia vita dietro ad un guru miliardario, Prem Pal Rawat, meglio conosciuto come Maharaji.









Ma nonostante queste profonde elucubrazioni rimaneva il problema di dover trovare da mangiare giorno per giorno, soprattutto per i miei tre ragazzi avuti dalla mia moglie ivoriana Christine, delle mie piccole esigenze legate alla mia storia personale e a quella del mio Paese, ora in mano a dei balordi, delle mie piccole soddisfazioni, delle partite di calcio e dei miei affanni quotidiani.










Jesse era stato il primo a salire sulla mia 'Fiat Tempra Bianca', che assomigliava ad un taxi di altri tempi e cigolava da tutte le parti, regalatami con il mero passaggio di proprietà da un ex collega deseparecido che ci risparmiava la rottamazione, che ora si adattava ad un lavoretto sottopagato in un quindicinale per chi cercava un impiego dal titolo ridicolo di 'Lavoro Facile'.
Solo a questo mio primo cliente sirio-americano avevo rivelato che in realtà ero un giornalista professionista disoccupato, mostrandogli addirittura la tessera dell'Ordine, anche se ci aveva creduto poco o preferiva che io fossi solo un tassista abusivo.










Così avevo imparato a nascondere la mia personalità da camaleonte e ora dicevo che l'autista lo facevo come secondo lavoro e che il primo era quello di affittare casa. Era più credibile, anche perché come tassista apparivo alquanto strano e ben informato. L'idea mi era venuta dopo due anni di fame, guardando i taxi locali vicino casa mia, ai Castelli Romani.
Non ne potevo più di mangiare riso comprato dai dipendenti del Bangladesh al mercato di piazza Vittorio, dove a volte andavo a fare la spesa multietnica di platano, gombo e ignam, e di dire ai mie bambini che ormai non potevo comprargli più nulla, nemmeno il necessario. Nè di passare di casa in casa, sempre sotto sfratto, perché non riuscivo a pagare l'affitto, tanto che l'ufficiale giudiziario e il giudice quando mi rivedevano sorridevano un po' sotto i baffi, come per dire: 'Ancora lei?'. Un po' come quel controllore che sulla tratta ferroviaria tra Colonna e Roma, sui treni da Cassino e Frosinone nel 2000-2002, quando mi ero buttato in un agriturismo, dei 'Pallavicina', vecchi fascisti pariolini sulla via Casilina-Laghetto, che mi trovava sempre senza biglietto ed alzava le braccia impotente.
L'unico appartamento che ero riuscito a comprare in un paesino vicino Roma, con i soldi della previdenza dei giornalisti, me l'avevano venduto all'asta perché non riuscivo a pagare le rate. Conoscevo amici e parenti importanti che non volevano nemmeno sentir parlar di me dopo sette anni passati nell'Africa Occidentale, a Grand Bassam in Costa d'Avorio, ritornato all'ovile con la coda tra le gambe e senza un soldo, con una moglie africana e tre bambini mulatti da mantenere.
Quando mi presentai a Fiumicino non avevo un centesimo in tasca, il mio figlio maggiore di quattro anni aveva la peggiore forma di malaria e più di 40 gradi di febbre da qualche giorno, il secondo uno streptococco che gli stava falcidiando le gambe e il terzo aveva appena due mesi dopo esser nato sulla sabbia di una spiaggia dell'Oceano Atlantico.
Mio padre mi aveva abbandonato sin dalla nascita, idem mia madre. Ero stato concepito da una relazione occasionale di un giorno dove mia madre era rimasta incinta una seconda volta. Mia padre, ingegnere a Napoli, si era risposato ed avevo tre fratellastri che non ho mai conosciuto. Ero nato al 'Gaslini' di Genova, dove ero stato abbandonato e non riconosciuto al Comune, un figlio di n.n., insomma. All'età di un anno mia madre ebbe dei rimorsi e si mostrò per mettermi a balia da una famiglia di contadini nelle campagne di San Giovanni Valdarno, vicino Arezzo. Gli anni più belli della mia vita, interrotti a cinque anni dai soliti rimorsi tardivi della madre naturale che, gelosa del mio affetto per mamma Maria e papà Giovanni, mi prelevò per mettermi in diversi collegi per orfani, fino all'età di sedici anni.
E ora, ricca a 73 anni dopo aver sposato un benestante spezzino subito deceduto, era sparita, disdegnando me, la moglie africana e i suoi tre nipotini meticci. Di quei quattro anni nella campagna aretina mi ricordo ancora che ci pulivamo il sedere con le foglie di fico, che non avevamo l'acqua calda, che mangiavamo gli animali dell'aia e della caccia, la coltivazione dei giaggioli per farci i profumi, la corsa al rimedio miracoloso quando mi ammalai, la befana che usciva dal camino e la grande stufa. Quanto avrei preferito rimanere là.
Quando, nel giugno del 2000, tornai dalla Costa d'Avorio, mi venne a prendere mio cugino Andrea Romano, che allora era uno dei bracci destri di Massimo D'Alema, allora primo ministro in carica e direttore della sua fondazione 'Italiani Europei', che riuscì ad attaccare la Belgrado del genocida Milosevic. Mio cugino, per aiutarmi diceva lui, mi propose di fare lo spazzino ecologico al Comune di Roma, tramite raccomandazione di un consigliere di sinistra del Campidoglio. Non sapevo che poi ci sarebbero andati a lavorare fior fiore di laureati precari e senza lavoro.










Lui, il mio cugino, lo avevo tenuto nelle braccia quando era nato ed ora mi trattava quasi come un reietto. D'altronde aveva anche allontanato la madre che lo amava perché, secondo lui, aveva comportamenti non consoni al suo status sociale. Ma lui era divenuto qualcuno grazie al matrimonio con l'attuale moglie, pronipote di Cavour, con entrature importanti. Lui era solo figlio di un marinaio e di un'infermiera, laureato sì in Storia alla 'Normale' di Pisa, anche grazie a mia madre, ma sempre un signor nessuno. Era passato poi alla saggistica di Einaudi, scriveva editoriali su quotidiani importanti come 'La Stampa' e 'Il Sole 24 ore', ogni tanto appariva in tv a dire cose ovvie come esperto di Blair e della sinistra italiana, e ora dirigeva la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo, 'Italia Futura'. A me mi aveva aiutato in un momento di difficoltà trovandomi un posto di spazzino... .
Eppure ad Abidjan avevo avuto una società srl, due ristoranti e villa con guardiani. Ma il mia mancata esperienza per il commercio e il colpo di stato nella capitale ivoriana mi misero ko. Sette anni di una vita nuova, di cui i primi due come mai li avevo vissuti, con un capitale da investire, in una società srl e due ristoranti, facendo quello che volevo veramente fare perché ne avevo le possibilità. Ma poi avevo perso tutto per miei sbagli e la situazione locale. Tanti ricordi, una moglie, tre figli maschi, un'esperienza tutta da raccontare. Di fronte a me veniva a villeggiare una francese, Madame Barth, che mi vendette i condizionatori d'aria, e i suoi figli venivano a trovarla da tutte le parti del mondo. Era quella la famiglia che volevo, 'on the word', ma uniti.
Così ho perso tutte le certezze di un comune cristiano e da allora sono costretto a spingere una carretta che sembra continuamente in mezzo ad un mare in tempesta. Accumulo stress e chili di troppo, tanto che ormai la mia silhouette sta sopra i 140 chili, anche perché avevo smesso di fumare nel 1996 e mia moglie cucinava bene. Dal tracollo africano, in realtà, non mi ero più ripreso: ho iniziato a vivacchiare con vari espedienti e, se non stavo attento, prima o poi finivo anche dietro le sbarre di una cella, perché per sopravvivere ero costretto, per ingenuità e necessità, a piccoli espedienti che poi si rivelavano illegali. Finora m'ero salvato ma dovevo seguire i miei avvocati.
Ero comunque un giornalista professionista, perddio, avevo fatto la gavetta del cronista in periferia ed ero cresciuto in un grande quotidiano come 'Il Messaggero', iniziando dalla 'Parola al Popolo' dell'avvocato Romolo Reboa, ed avevo inventato insieme al Turriani del 'Messaggero' i primi giornali nella metropolitana di Roma nascente, e collaborato con settimanali come 'Gente Viaggi' e 'L'Espresso'. Anche se poi quello che avrei voluto fare non lo avevo mai fatto, cioè l'inviato speciale per gli esteri. Anche perché ritenevo di non avere una buona scrittura e non ero mai stato raccomandato da nessuno. Nell'ultimo lavoretto nell'editoria che avevo trovato, grazie ad un mio collega che aveva rinunciato a fare del buon giornalismo, mi ero adattato in uno squallido quindicinale per carpire soldi a chi cercava lavoro, e poi a vivere di espedienti e a fare i salti mortali per mettere in tavola colazione, pranzo e cena. Poi ero passato come caposervizio ad un quindicinale del Nord-Est, il 'Tiburno', in mano ad una coppia di truffaldini che faceva del fallimento delle sue srl la loro sopravvivenza. Il giudice aveva sentenziato che mi dovevano 220.000 euro che non avrei mai visto grazie al gioco delle scatole cinesi.
Mi sarei ritirato volentieri a vivere nell'isola di Gorgona, dove risiedevo ed avevo una casetta dei trisnonni del Demanio a cui ero affezionato, ma la presenza di un carcere, la mancanza di economie locali e la scuola dei bambini, che lì non c'era, me l'impedivano, obbligandomi ad inventarmi qualcosa per non ritrovarmi sotto un ponte, dopo che a 40 anni avevo rinunciato ad un sicuro posto da redattore al 'Messaggero' di Roma, proprio nel 1994, quando qualcuno da me inviso da sempre divenne premier della nostra amata Repubblica.
Oggi, nel 2011, alla luce di quello che quest'uomo e la sua cricca sta mostrando, ci avevo visto più che bene. L'Italia si era consegnata ad un satrapo miliardario, che si comportava come un puttaniere da quattro soldi, che rappresentava bene però una buona parte degli italioti, italiani più idioti. Con questa cricca anche le parole non avevano più significato: papi, liberta, forza italia..., per queste persone erano solo parole vuote tanto per attirare qualcuno:in che squallore era sprofondata l'Italia. Ma questa gente non si accorgeva che ormai c'erano due italie, quelle che loro volevano controllare con le loro tv e i loro media, e quella di internet che non era rappresentata. Ed avevo visto bene ora che, a distanza di 17 anni guardavo ad un'Italia che stava colando a picco, in mano a gente senza scrupoli che dileggiava tutta la mia storia. Nel 1994, infatti, avevo deciso di prendere qualche soldo e di rifarmi una vita in Africa, tanto ero single e non avevo particolari legami in patria. Chi l'avrebbe mai detto che mi sarei ritrovato con moglie e tre figli a tirare una carretta pesantissima, che poi era l'unica cosa che avevo avuto in questa vita senza affetti e alla quale ero poi attaccatissimo.
Così, mi svegliavo anche alle 3.15 del mattino e alle 4.30, dopo anni di ozio e di passività al lavoro, ero agli arrivi internazionali dei primi voli della mattina, quando c'erano meno controlli: Addis Abeba, Et 702, alle 04.45; Kuala Lumpur, Mh 014 alle 05.30; Bangkok,Tg 944 alle 05.55; Doha, Qr 081 delle 06.10; Sao Paulo, Az 675 delle 07.05; Singapore, Sq 366 delle 07.10; Hong Kong, Cx 293 delle 07.10 e via atterrando. In alcune di queste città ci avevo viaggiato, in altre no, ma di molte ne conoscevo le realtà. Una volta avuto il contatto con il cartello 'Visit Rome', poi sostituito con una presenza discreta defilata che faceva il giro dell'aerostazione laddove c'era un possibile cliente, per me era facile comunicare ed entrare in contatto con qualsiasi persona del globo. Non per niente metà della mia vita era passata tra Africa, mezza Europa e il resto del mondo.
La Terra, pensai, sarebbe passata abusivamente tra le mie mani, visto che non la riuscivo ad averla legalmente che un lavoro decente che si addicesse alla mia preparazione e alla mia esperienza di vita. Avevo fatto un po' di tutto, dall'attacchini di manifesti, al vendemmiatore, dall'impiegato al giornalista, dall'abusivo all'ambulante, dal venditrore di collanine alla società di import-export. dal pony express allo scaricatore di vagone ferroviari, dall'imbianchino al vivaista. Per ognuno di questi lavori avrei potuto scrivere una storia, con i loro ambienti, i loro personaggi, la loro verità.
Ma ora la realtà l'avrei descritta con gli occhi di questo pianeta di chi atterrava a Fiumicino e Ciampino: da Addis Abeba, Kuala Lumpur, Bangkok, Doha, Sao Paulo, Singapore, Amman, Hong Kong, Buenos Aires, Damascus, Toronto, Algiers, Cairo, Atlanta, Boston, Tirana, Barcelona, Washington, Newark, Tunis, Moscow, Tripoli, Istanbul, New York, Teheran, Miami, Chicago, Caracas, Tel Aviv, Sofia, Zurich, Philadelfia, Colombo, Budapest, Vienna, Frankfurt, Charlotte, Madrid, Kiev, Geneva, Seville, Oslo, Stockolm, Bucharest, Bergen, Amsterdam, Athens, Paris, Marseille, Thessalonik, fino a Brussels.
Un pianeta intero dove le differenze non le facevano le nazionalità, la pelle, le credenze o le religioni, ma le singole persone, da qualsiasi parte del mondo provenissero o vivessero, uguali e diverse in tutte le latitudini. Ma anche dove l'idiozia di chi abbandonava luoghi sicuri per mete sconosciute, e soprattuto poi di chi li aspettava e vagava nell'aeroporto, ora apparivano nella loro chiarezza. Spesso gli esseri umani mi sembravano così limitati in quel mondo creato nel cemento e nella sua deformazione fissata.
Ma non avrei mai immaginato che un aeroporto internazionale come quello di Fiumicino fosse pieno di barboni, abusivi e autisti legalizzati aggressivi, dalle facce ebeti e vuote, fatte di corse di andata e ritorno, tutto sotto gli occhi di una sicurezza che non si accorgeva di niente (o faceva finta...), soprattutto di come gli stranieri si muovevano, nonostante il loro modo esasperato di controllarli, cinesi in testa. Le prime facce che una persona straniera incontrava erano gli aggressivi noleggiatori con conducente che, sembrava legalmente perché avevano un tesserino attaccato al collo, avvicinavano - stile bambini alle piramidi egiziane - i viaggiatori stanchi di interminabili ore di volo, per prendere clienti prima che arrivassero agli altri sboccacciati tassisti. Risa e urla sguaiate di tassisti e noleggiatori spesso, poi, riempivano l'androne dell'aeroporto come se fosse il salotto di casa loro, tra gli sguardi assonati ed attoniti dei viaggiatori, lo sconcerto di chi veniva a ricevere un parente od un amico e la benevolenza delle centinaia di persone che dovevano vigilare su di un aeroporto internazionale. Alla lunga, però, questi autisti facevano tenerezza, se non pena, mentre li guardavi stupito della loro ingenuità lavorativa e sociale. E comunque si arrangiavano con uno striminzito inglese teso a convincere a prendere i loro shuttle.
Stupiva anche che i desk degli uffici informazioni aprivano alle 9 del mattino, quando i voli arrivano dalle 5. Se smarrivi un bagaglio non c'era nessuna indicazione dove andare. Spesso i viaggiatori vagavano con uno sguardo ebete, arrivando a chiedere informazioni agli inservienti della cafeteria con prezzi da hotel 'Hilton' perché avevano una divisa... . Quante volte avevo fornito io loro, io abusivo, delle vere e semplici informazioni. Anche se a Fiumicino, alla fin fine, comandavano i viaggiatori ed è così che doveva essere - ma non dalle 24 alle 5 del mattino dove chi arrivava era in un limbo insieme ai barboni e all'unico caffé aperto 24 ore su 24 - mentre a Ciampino comandavano i lavoratori dell'aeroporto e delle compagnie aeree, tutti presi dal loro lavoro fisso, le loro ferie ed un contratto a tempo indeterminato che, chissà perché, gli impediva di lavorare bene, al servizio degli utenti e non di loro stessi. Mi colpiva anche il fatto che nessuno dei miei interlocutori che imbarcavo ascoltava veramente quello che gli suggerivi o consigliavi. Sembravano fissati in dei loro personali cliché dati dalle guide o da chissà che cosa. Credevano di sapere e non sapevano.
Mi rivenivano in mente i miei viaggi e come anch'io mi fossi nel passato comportato così. Loro ora mi apparivano stupidi così come io lo ero stato un tempo senza saperlo: infatti una delle categorie più idite al mondo ho sempre ritenuto fosse quella del turista, cioè di un essere umano che crede di vedere ma non guarda, crede di sapere ma è un perfetto ignorante, che non si cala nella realtà che va a visitare con umiltà, ma l'avvicina con stupidi cliché nati dalla limitata esperienza di altri. Ma tra i viaggiatori ho trovato anche delle persone misere, che viaggiavano con poche risorse e che spesso erano di condizione umile. Insomma, a volte, dei veri e propri morti di fame, in cerca di non so cosa e che non di rado non avevano nemmeno i soldi per pagarsi il taxi. Ma una cosa era certa: le famiglie di tutto il mondo che avevo l'occasione di ospitare sulla mia auto e di conoscere erano stupende, proprio per la loro realtà di famiglia, uguali nella loro diversità in tutto il mondo, una vera ricchezza per l'umanità. Vedevo nell'essere umano qualunque la voglia delle stesse cose, dell'avere, della comodità, dell'indifferenza.
Era anche per questo che continuavo a ripetere ai miei tre figli: "Io non sono italiano, sono e mi sento un cittadino del mondo.
Ogni tanto dal terminal 3 degli arrivi internazionali sbucava qualche volto noto che io facevo finta di non vedere: l'ex calciatore Panucci, ora commentatore a Sky, Claudio Baglioni, Bonolis, qualche mia collega giornalista, come il Giammaria inviato dellla Rai, e il Bonaventura corrispondente da Beirut, qualche politicante, i tifosi di un Inter vincitrice della Coppa mondiale ad Abu Dabhi e compagnia cantando. E tanti che magari non conoscevo ma che visti da vicino sembrano molto più insignificanti che sullo schermo tv dove ormai, ne ero certo, lavoravano le persone più stupide, tanto che la tv non le vedevo quasi più da tempo e avrei dato un calcio in culo a qualsiasi ispettore rai che si fosse presentato alla mia porta per pretendere un qualsiasi canone per ingrassare quei truffaldini che vi lavoravano e si ingrassavano a nostre spese. Ma poi a me importava solo di trovare qualche soldo per mangiare e di quella gente non avevo una grande considerazione. Anzi.
Un altro aspetto che mi faceva impazzire ed era incomprensibile era l'uscita dei passeggeri dall'unico varco dagli arrivi internazionali, al terminal 3, prima 'C'. Che cosa faceva andare le persone sconvolte da un viaggio aereo a destra piuttosto che a sinistra dall'unica porta di uscita. Sembravano greggi guidati da un montone invisibile ed impazzito. Certo era che quando uscivi da quella porta, da solo, con le tue valigie che non uscivamo mai sul nastro, tutti ti guardavano aspettando qualcosa da te: il tuo amore, il tuo affetto, la tua attenzione, i tuoi documenti e i tuoi soldi. Solo contro tutti in una terra di nessuno dove ti poteva succedere di tutto. Allora capivo perché la maggior parte della gente si muoveva solo con viaggi organizzati. Il viaggiatore così faceva domande idiote e riceveva risposte stupide, guidate da imponderabili certezze del nulla. Bastava indossare una divisa qualsiasi, anche quella dell'ultimo operaio di trolley che venivano lasciati un po' dappertutto, tanto che appena scendevi dovevi fornirti di un euro per averne uno, che il viaggiatore stanco di ore di volo ti dava tutta la sua fiducia. Guai ad avvicinare un viaggiatore senza un tesserino, una divisa o altro, anche se eri Jack Lo Squartatore, ti seguivano dappertutto. Ma se eri una brava persona, vestita normale, e cercavi un dialogo ti scansavano come un appestato. Misteri della stupidità umana. Ma c'era anche tanta gente che, per un motivo o l'altro, usciva dall'aereo ed era in difficoltà. O aveva finito i soldi, o era scappata da qualche situazione difficile, o era riuscita o non era riuscita a trafficare qualcosa, o aveva avuto dei problemi alla frontiera, o aveva smarrito i bagagli, o era vittima di situazioni eccezionali o particolari, o solamente non riusciva a capire come funzionavano dei telefoni fatti ad arte per non capire come funzionassero, o che cercavano di utilizzare internet in quelle macchinette infernali mangiasoldi dell'aeroporto, o che avessero dimenticato o perso il numero o la prenotazione dell'albergo, o che non vedessero scritto il loro nome sui fogli esibiti dalle patetiche figure degli autisti degli alberghi che li venivano a cercare, o che dovevano ripagare una corsa già pagata, o che cascavano nelle grinfie di un desk che ti faceva pagare 3 euro una fotocopia o chissà cos'altro ancora.
Era lì che il tassista abusivo, dalla figura illegale che apparentemente era da come veniva dipinta dalle forze dell'ordine che non si sfrozavano di capire che forse quella persona cercava solo di guadagnare qualcosa senza far del male a nessuno, diventava un amico, una risorsa alla quale aggrapparsi per uscire fuori da una situazione difficoltosa. Il tassista un po' ne approfittava per il suo piccolo tornaconto ma, se era una persona buone e generosa come me, come lo dimostrano tanti dei fatti raccontati qui di seguito, diventava immediatamente il loro salvatore in una terra di nessuno. Infatti ora c'ero io, il buon samaritano, l'angelo custode per chi viaggiava e veniva a conoscere Roma. Così ero finalmente diventato adulto, a 55 anni, ed avevo capito cosa significasse portare il mangiare a casa. Ma ancora non aevvo raschiato il fondo del barile ai tempi del 'bunga bunga'. Qui vedevi tante persone e non vedevi nessuno. Poi c'era chi a Pasqua la passava con la famiglia italiana dentro Mc Donald's... .


IL MONDO NELLE MIE MANI

Jesse e le sette valigie

Jesse arrivò con un volo Ryan Air da Frankfurt Hain, con moglie e figlio piccolo. Ma lavorava ad Abu Dabhi con la multinazionale tedesca dell'acciaio 'Tyssen Group', nel settore petroli, e vendeva prodotti anche all'Eni italiana. Dei sette operai morti a Torino non ne sapeva niente. Era cresciuto a New York ed era bravo nel vendere i prodotti della più grande multinazionale tedesca e del mondo dell'acciaio e di chissà che altro ancora. Il giorno dopo arrivarono a Roma per una rimpatriata generale anche il padre, pensionato insegnante d'arabo nella Grande Mela, e la madre. Altri zii venivano dalla Germania. In tutto erano in sette, tutti di origine siriana. Dopo una settimana passata nella capitale, al ritorno rimase a terra con tutti i bagagli perché erano arrivato in ritardo al check in. Quella mattina Jesse, che a Roma non aveva nessun amico tranne l'improvvisato me, mi chiamò disperato: "Non so cosa fare, aiutami". Ebbi il tempo di raccontargli che non ero un vero tassista, ma che mi adattavo a farlo perché non sapevo come trovare dei soldi. Non credo mi credette. Pensava alle sue valigie ingombranti e pesanti e si rammaricava del fatto che aveva dovuto mandare via soli i suoi familiari. Nell'andare avanti indietro da Ciampino a Termini facemmo anche la conoscenza della famosa 'squadra', ma ebbi il tempo di dire a Jesse di dire loro, quando ci fermarono sull'Appia Nuova stile 'Serpico', che eravamo amici e se ne andarono con la coda tra le gambe. Lo feci partire nella notte con il treno per Monaco di Baviera, con sette valigie. Mi richiamò qualche giorno dopo affinché gli prendessi i genitori da Ciampino a Fiumicino. Lo feci e non lo sentii più.

Dubai. Alla Tyssen Group petroli non lo conosceva nessuno. London, San Diego, Bari Apparve in mezzo alla pioggia verso la sera, minuta e bionda, in volo charter da Londra. Era americana, forse ventenne, incontrava la madre, imprenditrice del ghiaccio a San Diego, all'Aldovrandi Hotel della capitale, dopo quattro mesi passati in Gran Bretagna da sola. Era molto eccitata di rivedere la mamma e quando arrivammo all'hotel gli saltò al collo. Mi liquidarono con 50 euro e non li vidi mai più. London. Al College non l'ho trovata.

Eritrea food

Lavorava al World Food Program della Fao a Khartoum, ma era a Roma al Parco dei Medici delle Due Torri, alla Magliana. Eritrea, cinquantenne, sapeva il fatto suo e si innervosì quando sbagliai la strada con lo stesso Parco dei Medici, ma dello Sheraton. Sbarcò con un volo proveniente dal Sudan via Turchia. "Sono stanchissima - disse - e devo riposarmi. Il mio ufficio si vede dall'autostrada". Prese il mio numero ma non mi richiamò.

Khartoum. Alle prese con i problemi del Darfur.

Bergamo Orio, immigrants of Ghana and Etiopia

I due etiopi, uomo e donna, e il ghanese, lavoravano all'aeroporto Orio di Bergamo, da dove provenivano, ed erano sbarcati presto a Ciampino. Andavano alle rispettive ambasciate per ottenere i documenti per il permesso di soggiorno. Erano rassegnati e stanchi dall'ignoranza italiana. "Voglio tornarmene a Koumasi - disse il ghanese - dopo quindici anni qui per me non c'è più lavoro e vivere in una città padana come Bergamo è un inferno. Laggiù, a casa mia, hanno scoperto il petrolio e ci sarà qualcosa da fare. Ho moglie e figli e qui non ci voglio più stare".

Orio. Sottopagati ed ingiuriati.


Usa, 25 years married

Vivevano nel New Jersey e avevano sette figli, tre femmine e quattro maschi. Venivano in Italia a festeggiare i loro 25 anni di matrimonio. Li portai all'hotel 'Due Torri', in una traversa di via della Scrofa, sotto una pioggia battente ed un traffico allucinante. Presero il mio numero ma non mi richiamarono.

New Jersey. Continuano il loro felice matrimonio in una villetta immersa nel verde.


Usa, dalla diga di Portland a via Nazionale

"Sono cresciuto in Italia ma sono anche americano e lavoro a Portland. Controllo le dighe ai confini con il Canada". Afroamericano, aveva un fare dolce e doveva raggiungere l'hotel 'Quirinale' in via Nazionale, per unirsi al suo gruppo che sarebbe partito alle 9 per il Vaticano. Gli dissi che arrivare dall'aeroporto di Fiumicino al centro in mezz'ora sarebbe stato difficile. Invece arrivammo in tempo e ne era felice. Mi raccontò del suo lavoro e di come l'acqua ti insegni sempre qualcosa.

Portland. Lavorava veramente ad una delle dighe più grandi del mondo.


I ricchi brasiliani

"Noi questa presidente donna non la vogliamo". Erano sei brasilini del Sud ed avevano i soldi. Andavano nei ristoranti per turisti da spennare. 'Il Toscano', in via Germanico, è il meglio ristorante di Roma, e Castroni il miglior caffè". Chissà chi glielo aveva fatto credere.

Sud Brasile. Miseri ricconi del terzo mondo. Questo avevo trovato nelel loro vite.


Trapani lawer

Venivano da Trapani ma erano di Marsala. Si affacciarono dal check out alle 7.30 del mattino. Il loro ragazzo, Mirko, aveva preso un appartamento in affitto con altri quattro ragazzi amici sicialiani al Tiburtino per studiare legge e loro lo andavano a trovare. Nella borsa avevano pesce e cibarie siciliane. Avrebbero dormito in un Bed & Breakfast sotto la tangenziale di via dei Fiorentini. Mi richiamarono per riaccompagliarli a Ciampino tre giorni dopo. Il loro figlio stava bene ma avevano avuto un battibecco con il proprietario della casa che non aveva cambiato l'armadio nella camera di Mirko. Tre settimane dopo mi richiamarono ancora da Marsala per chiedermi di andare a prendere Mirko che veniva qualche giorno a casa. Di me si fidavano ed avevo un buon prezzo. Lo andai a prendere al Tiburtino alle 6 meno 10 del mattino e lo portai a Ciampino, ma fuori dall'entrata dell'aeroporto perché non potevo più entrare: la macchina era sotto sequestro ed a me data in custodia, ma non doveva circolare, eppoi non avevo né la patente né il libretto di circolazione. Domenica 21 mi chiamano da Marsale: mio figlio torna domani mattina alle 7.30 da Trapani. Bene, ci vado io. Appuntamento fuori dall'aeroporto. Ma il figlio se ne va con i suoi amici lasciandomi con un palmo di naso e facendomi perdere la giornata. "Sono mortificato. Quando torno a Roma giuro che le pagherò la corsa", si giustificò al telefono il papà. Non li ho più sentiti.

Marsala. Una mediocre famiglia siciliana, apprensiva e speronzosa di crescita sociale. Questo trovai a Marsala.


Trapani-Ciampino-Fiumicino-Lamezia Da Trapani doveva andare a Lamezia Terme. Via terra ci avrebbe messo una giornata, poche ore in aereo. Infatti il giovane volava Trapani-Ciampino-Fiumicino-Lamezia.

Trapani. Era benestante e simpatico. Rimase molto sorpreso nel vedermi, come tutti gli altri d'altronde.


Stoccolma-Eritrea

Ginecologo svedese sposato con un'eritrea, sbarcò a Ciampino cone le due splendide figlie ventenni meticce. Una famiglia stupenda e solare, come la mia d'altronde. Dormivano in un pensionato di suore a via delle Milizie. Qualche giorno dopo li riaccompagnai. Una famiglia stupenda. Parlammo della situazione in Eritrea, di quella italiana e dell'integrazione razziale in Svezia e in Italia.

Stoccolma. Era davvero uno stimato ginecologo quando lo incontrai nel suo studio di Stoccolma.


I quattro marocchini

Tre arabi ed un berbero, amici per la pelle. Dal Marocco erano partiti per visitare l'Italia, via Parigi. Uno era un manager per la vendita di bottiglie di gaz, un altro imprenditore panettiere nella capitale francese, il terzo un insegnante universitario e il quarto un direttore di società. Alloggiavano all'hote 'Veneto' in via Piemonte. "Hanno tentato l'arnaque in un night club, ma ci siamo salvati in tempo". Non gli raccontai della mia fidanzatina marocchina, Meriem Elaissi, come invece feci a Fiumicino con un altro marocchino in partenza da Fiumicino. Non gli raccontai del mio viaggio a Casablanca e alle città imperiali nel 1980, né degli odori e colori del mercato di Fes, della mamma berbera di Meriem che mi portò ad ammirare un supermercato, nè del padre che non volle vedermi perché non avevo chiesto la mano della figlia e non ero musulmano, del mio viaggio nelle osai di Marrakesh dove giravano il film su Gesù con William Dafoe e di cui scrissi un reportage sul 'Messaggero', né che dopo questo viaggio ci lasciammo per motivi di tradizione e perché non ci vedevamo quasi più. L'avevo incontrata a Roma 'Dallo Stregone', la birreria-ristorante che avevamo messo su con i compagni del liceo 'Cavour' di Roma gestita da Salvatore Figuccia, al Casilino, dove davo una mano ai tavoli. Era un'amica di Enza, la sorella della compianta Giuliana, fidanzata dell'oste Salvatore morta suicida nella loro casa di via Appia 91 dopo pochi mesi di matrimonio, e studiava italiano al 'Dante Alighieri' per fare la guida con la 'Francorosso' in Marocco. Stemmo insieme un anno, con difficoltà per le mie continue scarse capacità economiche. Non seppi trattenerla e lei poi non la vidi più. Le ultime notizie che ho di lei è che si era sposata con un francese e viveva a Bordeaux.

Casablanca. Ne andai a trovare uno, il manager di bottiglie di gaz, che mi accolse calorosamente.


L'olandese volante

Da Ciampino a Capannelle sfruttando il povero giornalista disoccupato. Solo 15 euro per incontrare la moglie alla conferenza per i fertilizzanti. Degli olandesi avevo un concetto migliore.

Amsterdam. Non credeva ai suoi occhi quando mi vide e pensò che volessi importunarlo in qualche modo.


Lo stoccafisso di Mammola

Erano in sei e venivano da Lyon. C'erano andati per un gemellaggio fra il loro Comune calabrese e un altro vicino Lione. Erano di Mammola, provincia di Reggio Calabria, dove c'era lo stoccafisso e la pasta con il buco. Ma il buco me lo dettero loro. Accettai la corsa Ciampino-Fiumicino a 30 euro per due viaggi. Ma al secondo tour, gli altri, compreso il sindaco di Mammola, non c'erano più. Chissà allora, mi chiesi, come amministravano il loro municipio.

Mammola. Al Comune volevano nascondersi sotto un tappeto, ma non lo fecero.


Da Parigi con amore

"Ma la macchina non cascherà in panne?", mi chiese candido il francese compito, con figlia di 5 mesi e moglie parigina, che abitava l'appartamento della ditta in via S.Basilio. Non so se provassi tenerezza o mi sembrassero ridicoli nei loro timori di primi della classe. Non gli ricordai di certo i miei primi campi di lavoro 'Emmaus' con l'Abbé Pierre, a Lons Le Saunier, Nimes e Quillan, né del mio grande amore Christine Bergeron sui Pirenei, nè delle vendemmie a Beziers, dei sette anni con mia madre a Parigi-Saint Cloud e le manifestazioni sul Larzac.

Parigi. Fuggirono via quando mi videro.

Il notaio e il maestro elementare gay dall'Argentina

Li riportai all'hotel 'Navona', ma era una pensione in via dei Sediari proprio accanto a piazza Navona, perché il volo per Parigi era stato cancellato. Erano un notaio sessantenne e un belloccio cinquantacinquenne, maestro elementare dall'Argentina. Sembravano gay ma non lo ostentavano.

Buenos Aires. Vivevano insieme in un bell'appartamento del centro di Baires.


Tre generazioni belghe a Trastevere

Da Anterwepen, via Eindovhen, nonna, madre e figlia, se ne andarono a Trastevere in Vicolo del Cedro 1. Capirono di aver presoil taxi sbagliato solo dopo che il tour operator le chiamò. Ma ormai era troppo tardi e sicuramente il mio servizio era stato migliore e meno costoso. Facemmo l'Appia Antica con i vetri appannati e la pioggia battente. L'hotel si trovava in un piccolo vicolo di trastevere, una traversina della famosa via della Scala, ormai un suk per turisti senza l'anima del mio amico Stefano rosso che l'aveva immortalata in una canzone famosa, l'unica del suo repertorio: ...via della Scala è sempre là...". E invece non c'era più.

Anterwepen. Non si ricordavano affatto di me.


Dal paesino alla capitale

"Siamo venuti sempre per disgrazie, adesso veniamo per tre giorni in vacanza all' hotel 'Gladiatore', proprio sul Colosseo. Abitiamo in un paesino vicino Lecco e abbiamo preso l'aereo a Orio di Bergamo". Trenta euro per una coppia di cinquantenni semplici.

Lecco. Incontrai una classica famiglia padana, am non troppo.


Due piccole arabe dal Kuwait

Forse erano figlie degli sceicchi del petrolio, ridevano sempre e amavano fare shopping. Avevano vent'anni e andavano all'hotel 'Inghilterra', dietro piazza di Spagna e su via Bocca di Leone, a ridosso di via Condotti. Volevano vedere il Vaticano con me ma non mi richiamarono.

Kuwait City. Effettivamente erano figlie di uno sceicco locale ed avvicinarle fu quasi impossibile, a meno che non divenissi musulmano.


LA SQUADRA

La doccia fredda arrivò intorno alle 19, agli arrivi charter di Ciampino. Una coppia di anziani inglesi andava a trovare il figlio, impiegato in una società petrolifera a Roma e sposato con un'italiana, a Trastevere. Quaranta euro assicurati, credevo io. Carichiamo i due bagagli sulla Fiat 'Tempra station wagon' quando, dal nulla, si presentano tre uomini in borghese con un tesserino della polizia municipale di via Ostiense a Roma. Era la famosa ' squadra', quella che stanava gli abusivi, terrore di tutti quelli che non si comportavano con i dovuti permessi nell'area degli aereoporti. Un po' Serpico, un po' Alberto Sordi, era la seconda volta che avevo a che fare con la squadra, ma non ne avevo capito la pericolosità, almeno per me. All’aeroporto di Fiumicino e Ciampino, da qualche anno si da la caccia ai tassisti abusivi coi “segugi” del Git (Gruppo Investigativo Traffico). La squadra del Git della Polizia Municipale di Roma è formata da vigili in borghese che operano prevalentemente (ma non solo) all’interno dell’aeroporto di Fiumicino e questa specificità permette loro di conoscere i punti “caldi” e addirittura le facce dei recidivi. La prima volta stavo con Jesse e feci appena in tempo a dirgli di dire loro che era mio amico e non un cliente, e la feci franca lungo la via Appia Nuova, appena fuori l'aeroporto. Questa volta il vento in poppa della mia attività mi aveva reso meno guardingo, e quel venerdì me lo ricorderò per un pezzo perché diede uno stop a quello che mi ero inventato per svangare la giornata. Un bel contraccolpo. Uno dei tre uomini della squadra venne verso di me mentre rimettevo lo specchietto laterale sinistro: "Patente e libretto", mi chiese. Gli altri due avevano abbordato i due old man and woman inglesi e gli avevano estorto una dichiarazione in cui dicevano che erano seduti in quella macchima perché io mi ero proposto come taxi, per 40 euro dall'aeroporto alla casa del figlio petroliere a Trastevere, che naturalmente non vidi mai. Non sembravano allarmati, anzi dettero man forte ai vigili in borghese. Poi se ne andarono tranquilli verso i taxi regolari mentro io, che mi vergognavo come un verme, restavo in balìa della famigerata squadra.
"Lo sa che non si può 'battere' taxi in aeroporto, adescare clienti e portare persone a pagamento senza licenza?" mi apostrofò uno di loro. Risposi che non lo sapevo e che era la prima volta che lo facevo, per arrotondare i pochi soldi del mese, e che non sapevo cosa intendesse per ' battere'. "Ci hanno segnalato la sua presenza qui dicendo che invitava a prendere il taxi dentro l'aeroporto. Che lavoro fa?", chiese ancora. Ero tentato di dirgli che ero un giornalista e mostrargli il tesserino, e che stavo scrivendo un libro, ma poi rinunciai e dissi che facevo quello che stavo facendo. "Dobbiamo ritirargli libretto, patente e sequestrare la macchina, però se si mostra conciliante la macchina gliela lasciamo a lei, ma non la può usare. Fra una settimana vada in Prefettura e dica che era la prima volta, così gli ridanno il tutto, ma prima ci telefoni in ufficio". Gli dissi che così mi mettevano in difficoltà e che avrei preferito una multa, anche salata, purché mi lasciassero la possibilità di utilizzare la macchina con i documenti necessari. Ma non ci fu niente da fare. "Mi stavano facendo un favore a non sequestrarmi l'auto ed era meglio che accettassi quello che decidevano loro", aggiunsero. Eppoi, così giustificarono la loro fermezza nel distruggere economicamente una persona in difficoltà, ormai erano venuti in tre, non potevano lasciarmi andare con un semplice ammonimento, perché il loro lavoro non sarebbe stato motivato. Era tentato di dirgli che loro lo stipendio a fine mese così lo avrebbero preso ma a me impedivano di guadagnarmi il poco pane quotidiano. Ma stetti zitto, ero troppo frastornato e non volevo peggiorare la mia situazione. Misero un'ora per farmi un verbale in cui firmavo che praticamente facevo il tassista abusivo e 'battevo' in aeroporto, ma misero che lo facevo fuori dall'aeroporto per non aggravare la mia situazione... . Mi spiegarono che non avevo commesso un reato penale ed avrei avuto solo una sanzione amministrativa che avrebbe deciso il prefetto alla motorizzazione di via Ostiense. Poi, come un ebreo quando si scriveva sui loro negozi 'sei un ebreo' al tempo di Hitler, mi misero due fogli cartonati, davanti e dietro il vetro della macchina, con su scrcitto "macchina sotto sequestro". Me ne partiì così, come un appestato, probabilmente tra le risa dei 'regolari' dell'aeroporto, anche se dopo pochi metri mi fermai e levai le scritte.
Non avrei potuto più lavorare 'on taxi' se non avessi recuperato i miei documenti. Troppo rischioso provarci ancora in quelle condizioni. Cosa avrei dato da mangiare alla mia famiglia? I vigili questo problema non se lo erano nemmeno posto. Il mercoledì successivo andai in via Ostiense 131 L, dal governo territoriale di Roma del prefetto (boh?!?), ma mi dissero solo allora, dopo 45 km e due ore di traffico insieme a mia moglie, che la richiesta di riavere tutti i documenti si poteva fare solo il lunedì e il venerdì mattina, dalla 8.30 alle 12, ma del dissequestro della macchina e delle modalità il castello di kafka non dava delucidazioni. Riavere patente, libretto e dissequestro della macchina sembrava un incubo, passando da ufficio ad ufficio, da una parte all'altra di Roma, dall'Ostiense della Prefettura di Roma, il Governo, al Giudice di pace di via Teulada, senza concludere nulla ed avere nessuna certezza. Al Governo di Roma, al secondo piano scala B, in locali disadorni e sul pianorettolo come in nessun Paese africano visitato avevo visto. Ci si mischiava con chi doveva legalizzare la loro permanenza in Italia. Patenti da ritirare perché ubriachi, drogati ed altri si mischiavano con etnie di tutto il mondo. Alla fine spedii una raccomandata al Governo del prefetto e non seppi più nulla.
Ormai andavo in giro sensa patente, senza libretto di circolazione, senza assicurazione e con la macchina sotto sequestro. Pregavo Iddio che non mi succedesse un incidente e mettevo sempre la cintura. Ma adesso andare in giro diventava un'impresa rischiosa. La seconda doccia fredda mi arrivò il giorno di Santo Stefano a Fiumicino. Pensai che questa volta mi avrebbero arrestato e preso l'auto. Un'altra squadra mi beccò mentre imbarcavo uno spagnolo di Barcellona con famiglia che doveva andare in un albergo a Via Pinciana, vicino Villa Borghese. Non avevo nessun documento, l'assicurazione scaduta e la macchina sotto sequestro. Questa volta tentai la via del giornalista che faceva un'inchiesta in incognito. Salvai la macchina con un'infinità di bugie e la benevolenza dei tre vigili della squadra, questa volta una donna e due uomini, che mi avevano beccato perché avevo abbassato le precauzioni dovute. Nello stesso momento mi avvicinò anche un sudamericano che voleva andare a Pomezia per 50 euro. Persi 90 euro e me ne tornai a casa con la coda tra le gambe. Mia moglie aveva preparato gli spaghetti con il nero di sepppia, mentre i miei figli avevano finito tutti i soldi facendoci a noi genitori dei regali. Dopo qualche giorno decisi comunque che avrei continuato ad andare a Fiumicino, magari con maggiori cautele nel nascondere la macchina ed avere un contatto con i possibili clienti. Altrimenti non si mangiava, Altro neanche a parlarne. Non ero riuscito nemmeno a comprare il 'wi ii' per Natale ai miei figli. I noleggiatori continuavano ad avvertire la squadra perché non accettavano concorrenza e l'arte di defilarsi al primo accenno dell'arrivo dei controllori in borghese era pari di tanti film del meglio Totò. Ma la squadra non mi avrebbe fermato e che non avevo mai pagato una multa in vita mia o il canone tv, anche se a casa, all'isola di Gorgona, mi arrivavano una caterva di verbali. Così, avrei continuato finché potevo, finchè la macchina non fosse caduta a pezzi o me l'avessero sequestrata loro. Il 26 gennaio 2011, sicuramente su segnalazione di qualche spione ncc, mentre la mia auto era parcheggiata tranquillamente all'aeroporto, me l'hanno definitivamente sequestrata perché non avrebbe potuto muoversi da casa, beccandomi anche una denuncia penale per aver rotto i sigilli del sequestro giudiziario a me affidato. Dovrò trovarmi un'altra auto e un avvocato.
"Questo è un aeroporto da terzo mondo, ma stiamo lavorando per migliorarlo", mi disse l'aspirante Serpico prima di portarmi via l'auto senza il minimo rimorso. Quel giorno una famiglia non aveva più da mangiare. Queste persone, applicando alla lettera una legge antiabusivismo esagerata che poteva limitarsi ad un'ammenda, per poter giustificare il loro stipendio, praticamente gettavano improvvisamente nella miseria chi era costretto a fare l'abusivo per campare, proiettandolo nel tunnel dell'illegalità e di una spirale burocratica perversa ed infernale.









Poi ho scoperto che queste squadre in borghese esistevano anche per combattere gli ambulanti abusivi...ambulanti abusivi???Ma qui eravamo in pieno regime e non si poteva più fare niente di spontaneo, nemmeno a Porta Portese, il grande mercatino romano della domenica mattina, dove potevano vendere solo i censiti fissi, snaturando quello che era la caratteristica di questo market, la spontaneità e l'immediatezza dei venditori. Insomma un povero cristo che voleva fare due soldi per campare era perseguitato come un delinquente, mentre stranieri e zingari venivano trattati dai vigili alla stregua di cani da cacciare. Ormai eravamo vicino alla caccia agli ebrei della seconda guerra mondiale...


ALL'ERTA


Omo, dalla Nigeria a Roma

Omo mi apparve con i suoi 125 chili da un volo internazionale, alle 5 del mattino, Lagos-Accra-Roma. Da 22 anni in Italia, cresciuto da vent'anni come 'vu' cumpra' e ora ingegnere del suono, con appartamento popolare comprato a Tor Bella Monaca e 5 figli, parlava un perfetto italiano. Prima di andare volle un prezzo africano a 30 euro e cercò di aiutare una signora nigeriana che veniva a trovare il figlio che aveva un ristorante a Siena. Mi avrebbe richiamato per altre corse. Infatti, quasi sei mesi dopo mi richiama sul cellulare perché lo vada a prendere all'aeroporto. Mi dice che ora ho una bella macchina e mi dà 35 euro. Poi mi presenta un suo amico per fare delle corse con lui. Si ricorda della mia esperienza in Costa d'Avorio che gli avevo raccontato. "ora che hanno preso Gbagbo come un pollo, va meglio", dice.

Lagos. Lo incontrai al porto di Lagos mentre comprava merce da rivendere in Italia. Poi a Benin City, da dove era originario e aveva passato quattro mesi. Dopo la rielezione del presidente nigeriano Jonathan, si era buttato in politica e nel business. "Questo Jonathan è bravo - mi dice - e anche fortunato. Ha ottenuto l'ottanta per cento dei voti e lo hanno scelto un po' tutti. Ha iniziato nella regione del Niger, dove c'è il petrolio, come vive governatore, e senza essere eletto poi è diventato governatore. Poi è stato vice-presidente della Nigeria e quando il presidente è morto è diventato presidente senza essere eletto. Ora però lo hanno votato e sarà un buon presidente. Il nostro Paese è ricco e dobbiamo imparare ad organizzarsi per il bene di tutti.


Dal Congo al Vaticano

Uscirono assonnati dopo 16 ore di volo Ethipian Airlines, volo Kinshasa, Addis Abeba, Roma. Venivano dal Congo e andavano in Vaticano. Un monsignor nero, una ricca signora africana e due giovinotti che cercavano un passaggio a basso prezzo verso tre hotel o pensioni diversi. Il mio francese africanizzato mi aiutò e li imbarcai. Andavano tutti in udienza dal Papa Ratzinger, alle 9.30 di un sabato speciale, per la celebrazione di un cardinale africano. Il monsignor scese ad una pensione ecclesiastica in via Traspontina, accanto al Vaticano, proprio dove io da piccolo andavo quarant'anni prima al cinema d'essai con i miei compagni orfani (ma io non lo ero, erano i miei genitori che mi ci avevano abbandonati ed erano ben vivi, uno a Napoli e l'altro chissà dove) del collegio 'S. Maria in Aquiro', in piazza Capranica, il 'Traspontina' apppunto, in quelle domeniche dove le partite si ascoltavano alla radio nelle domeniche deserte all'Azzurro' di Celentano. La signora alloggiava al 'Grand Hotel Palatino', in via Cavour, proprio dietro l'omonina fermata della metropolitana B ed accanto ad una delle tante abitazioi dove mi traspostava la mia folle madre a 16 anni, in via dei Serpenti. Gli altri due scesero in via Tuscolana 792, all'hotel 'Strand', dentro uno dei tanti palazzoni del Tuscolano. Mi pagarono e mi chiesero il numero di telefono. All'indomani arrivava un'altra ragazza e volevano che l'andassi a prendere all'aeroporto. Mi dissero che ora nel Congo Kinshasa c'erano i cinesi, il figlio di Kabila faceva le strade e gli occidentali predatori avevano stufato perché erano all'origine di tutti i loro mali. Io gli raccontai di quando vivevo a Kinshasa, dova la mia pazza mamma insegnava al 'College Sacre Coeur' e io, a 12 anni, andavo a scuola dai gesuiti con Pongo, i figli dei ministri e qualche pachistano. Avevo un cane che si chiamava De Gaulle e una villa sul boulevard dove sfilavo per Mobutu. Mi ascoltavano increduli. Poi mi chiesero di Berlusconi e io gliene dissi di cotte e di crude. Loro ridevano a crepapelle. Poi ci fu il ritorno di Veronique Kaniki, parente del cardinale Monsongo dell'Africa Centrale, che dal peso non si tiene in piedi e mi fa passare una mattinata da incubo alla partenze internazionale e quella di un altro monsignore nero dal vicolo di Borgo Pio all'aereo alle 4 del mattino, passando dalla Tiburtina da Père Blaise.

Kinshasa. I parenti del cardinale mi ricevettero come un amico, curiosi della mia venuta.


Emilio e Noemi, visit tour da Baires al Vaticano

Da sei anni sposati, l'elettricista sessantenne Emilio, 125 chili di peso, con la moglie Noemi, hanno solo tre ore prima di ripartire alla volta dell'Egitto con l'Alitalia, proveniente da Baires, in Argentina. Da tre ore non riesco a prendere nessuno, ci sono troppi ncc a Fiumicino, troppi autisti, taxi, controlli, squadre e via dicendo, Poi arrivano loro: lui alto e grosso, lei piccolina e con i capelli tinti di nero. La mia scritta bluff dice 'Visit Rome'. Loro vogliono fare un giro veloce. Ci accordiamo per 80 euro. In un'ora e mezzo rimangono estasiati dal colosseo, i fori imperiali, il vaticano, la fontana di Trevi, Castesantangelo, Trastevere e il circo Massimo. Li riporto alle partenze: mi ringraziano contenti. Quasi quasi preferirebbero restare a roma che andare a vedere le Piramidi per una settimana. Mi chiedono il numero di telefono e promettono che torneranno. Qualche giorno dopo mi telefono le tre grazie per andare a Firenze e Pisa. Il numero glielo aveva dato Emilio.

Mendoza. Emilio mi salta al collo felice ed incredulo nel vedermi.


Da Caracas a Firenze

Salvatore vive a Caracas dall'età di 15 anni ed ora sta bene con le sue ruspe e scavatrici. Viene a vedere la figlia a Firenze e poi la famiglia ad Avellino. Ci andiamo in auto.

Caracas. Trova Salvatore triste e solo. Gli affari non vanno più bene come una volta ora che c'è il presidente nazionalista indio Chavez.


GLI ABUSIVI

Thailandesi, mulatti, africani e altri, così non si distinguono e sembra che cercano amici... . Invece fanno o tassisti abusivi all'aeroporto internazionale senza che nessuno se ne accorga.


GLI NCC

Una razza a parte che fa il bello e il cattivo tempo all'interno dell'aeroporto.


I BARBONI E LE PUTTANE

All'aeroporto di Fiumicino ce ne sono diversi, li conoscono tutti e li tollerano. L'ultima era un signore vestito dignitosamente che mi faceva una gran pena. A Ciampino, invece, c'è un'anziana prostituta che tutti i tassisti dell'aeroporto prendono in giro. Sì, perché lei la colazione e la toiletta la fa direttamente all'aerostazione; poi inizia a battere insime ad un attempato trans alla sinistra dell'inizio di via di Fioranello, la stradina che porta all'Ardeatina sotto al raccordo e spesso mi evita ora di fila, proprio all'incrocio con l'antica Appia. Non riesco a capire chi possa fermarsi a tanto squallore.


I SERVIZI

Caffetteria tutta uguale e senz'anima. Informazioni insufficienti e con orari non utili ai viaggiatori. Sicurezza fai da te. Dipendenti raccomandati senz'anima.


LUNGO LA VIA


Sette marotoneti etiopi

Magri come chiodi, i 7 marotoneti etiopi erano arrivati a Roma la mattina invece della sera ed aspettavano da tre ore qualcuno che li venisse a prenderee per la loro competrizione italiana. Dovevano andare in un albergo a Firenze. Gli offrii il mio telefonino, così come ad un anziano italiano da Washington e una nigeriana per Città di Castello. Li vennero a prendere a mezzogiorno, ma io ero già via.

Addis Abeba. Finalmente avevo conosciuto l'aeroporto della capitale etiope, a 2500 metri di alttitudine, che formava i più veloci corridori del mondo. Loro non si ricordavano più di me allo stadio dove si allenavano a piedi nudi.


Da Tel Aviv all' hotel Mozart, in via dei Greci

In 4 con shalom, mariti e mogli per con il volo da Israele per andare a vedere Roma all'hotel 'Mozart'.

Tel Aviv. Si stropicciarono gli occhi perché non credevano a quello che vedevano.


Dalla Giamaica, passando da Accra, a Roma, il manager della Fao

E' quasi il primo che alle 6 e qualcosa esce dal secondoo volo della mattina, dell'Alitalia, proveniente da Accra in Ghana, fino al Colosseo all'hotel 'Lancelot'.

Jamaica. Ormai aveva lasciato per un altro Paese e ne approfittai per farmi una vacanza a Tropici.


Da Bucarest al Residence delle Muse, a Parioli

Una coppia attempata ma non troppo per tre giorni da Bucarest alle Muse.

Bucarest. Non vollero nemmeno vedermi.


Due armeni americani in crociera nel Mediterraneo

Sui 50 anni, ben tenuti, da Los Angeles Buerbank a Fiumicino, via Ginevra, all'hotel 'Luzzati' nell'omonima via a San Giovanni, per partire l'indomani da Civitavecchia con una crociera Costa per il Mediterraneo per due settimane. Costruttore in crisi dopo la crisi dei mutui americani, tre figli maschi dai 24 ai 14 anni, nati in Usa da genitori armeni, che se ne erano andati in vacanza magari per ritrovarsi e lasciando la loro casa in loro balìa e chissà come l'avrebbero ritrovata... .. Si parla del genocidio turco, della crisi, delle visite al Colosseo e alla fontana di Trevi. Il giorno dopo li accompagno a Civitavecchia per la crociera nel Mediterraneo. Piove a dirotto. Appuntamento il 9 dicembre alle 8 per riprenderli e portarli vicino al Vaticano. Arrivo al porto ed è una caccia al turista straniero che scende dalla Costa Crociere con degli shuttle bus. Dopo vari giretti per capire dove attenderli, alle 9.20 li intravedo in un parcheggio vicino alla ferrovia. Non potevo lasciarmi sfuggire altri 80 euro. Sono contenti di rivedermi. Ripartiamo per Roma per l'hotel delle Muse, in via Savonarola, tra piazzale degli Eroi e piazzale Clodio. Vedranno il Vaticano e visiteranno piazza Navona con le bancarelle natalizie del dicembre 2010, come da me suggerito. Gli dò anche qualche dritta disinteressata per mangiare: da 'Armando' al Pantheon per il pranzo, dove andavo con mia madre a credito la sera di 40 anni fa quando abitavamo in Vicolo dei Chiodaroli a Campo di Fiori, e dal 'Leoncino' la sera per la pizza, nell'omonima via dietro a via del Corso. "Roma è la città più bella che abbiamo visitato. Che sporcizia in Egitto e che caos nelle strade... . Forse se non farò più case troverò un altro business, per esempio un centro per lavaggio macchina. In California tira molto..." . Domani li accompagnerò in aeroporto alle 7 per il ritorno negli Usa. Due splendide e semplici persone. Quando li lasciai all'aeroporto per tornare negli Usa si voltarono per salutarmi, sapevano che in Italia avevano trovato un amico e, se anche non c'eravamo scambiati gli indirizzi, io sarei rimasto nei loro ricordi. Non dimenticherò il loro sguardo e il loro saluto d'addio. D'altronde ero solo un semplice tassista abusivo e mi avevano lasciato 20 euro di mancia. Poi scoprii che ormai è il Mediterraneo, almeno prima delle rivoluzioni in tutto il Maghereb, il terreno di sfida delle grandi compagnie armatoriali che in questi Paesi stanno sbarcando in forze per dividersi un enorme mercato. Per il 2011 si prevedono circa 11 milioni di passeggeri nella crocieristica. Il porto maggiormente frequentato è propio quello di Civitavecchia, perchè vicino Roma e collegato con un'autostrada, seguito da Venezia, Napoli e Livorno.

Buerbank. Quando mi videro alla loro porta mi accolsero a braccia aperte.


Vittorio, dai camper di Spinaceto alle Seycelles

Lo prendo la mattina alle 6.30 a Fiumicino, provenienza Mahe, dalle isolette delle Seycelles. Dopo le facce instupidite dei vacanzieri inutili, appare lui, sui cinquanta, valigie normali. "Vado a Spinaceto, ma mi devono aprire il cancello e ho il telefono scarico", mi confessa. Glielo presto tanto sul numero fisso non pago niente e poi mi serve come esca per avere un primo contatto con un eventuale cliente che si sentirà in debito con me (l'ho visto fare a quelli del noleggio con conducente). Poi contrattiamo la corsa a 35 euro, perché Spinaceto è vicino. "Mi chiamo Vittorio, se viene alle Seycelles mi conoscono tutti. Prima lavoravo in albergo, poi ha chiuso. Ma ho trovato un'altra buona occupazione. Sono 15 anni che lavoro lì e sento che in Italia non va tanto bene". Gli dico della mia esperienza africana e che sono un giornalista. Mi guarda stupito ed incredulo. La lascio in un deposito di nuovi camper dove ci sono anche dei bungalows. Gli apre un anziano guardiano, Ezio. Ci lasciamo con un 'in bocca al lupo' reciproco. Poi aggiunge: "Ma non puoi viaggiare con un solo tergicristallo, almeno quello cambialo...".

Mahe. Lui diceva che lo conoscevano tutti ma in realtà fu difficile trovarlo in una delle isolette più sperdute delle Seycelles.


Le tre Grazie, da Baires e Roma, via Rasella, a Firenze e Pisa in 12 ore

Mi chiamarono dicendo che gli aveva dato il numero Emilio, l'elettrauto di Baires che fece in due ore tutta Roma. Le soprannonimo quasi subito le tre Grazie (Graziella, Sandra e ...., avvocato, ragioniere e negoziante di Baires). Tre zitellone simpatiche che in dodici ore mi porteranno a Firenze e Pisa sotto una pioggia battente, un solo tergicristallo e senza riscaldamento, con 5 gradi di temperatura. La sera le lasciai dalla mia pizzeria favorita di un tempo, in vie del Leoncino, dietro via del Corso. Il giorno dopo, quando le riaccompagnai all'aeroporto, mi dissero che gli erano piaciuti tanto i 'calzoni' della pizzeria 'Leoncino2, quello in cui andavo a vent'anni con i miei ex amici del 'De Lerode' di piazza di Spagna e gli artigiani del centro storico che si giocavano tutto a carte. Io gli avevo suggerito anche 'i fagioli all'uccelletto'. Non gli descrissi le mia settimana a Baires, le 'asade' al ristorante più chic della capitale argentina, la 'Tierra de l'amor' al Nord con i premies, la solita prostituta di turno, questa volta di Mendoza.

Baires. Ci vedemmo ad un caffé del centro e poi andammo insieme a mangiare una 'asada'.


Sara e Roy, da Newark a piazza della Rovere

Sara e Roy erano due giovani newyorchesi, la prima studentessa in medicina e l'altro in business aziendale. Andavano da amici a piazza della Rovere, accanto a Trastevere. All'inizio erano molto titubanti, soprattutto dopo aver visto la mia macchina sgangassata. "Ci sono molti meccanici qui?", mi chiese Roy. "Perché hai paura della mia auto?", gli risposi scherzando. "No, si schermì. Poi iniziò a parlare della situazione negli Stati Uniti e dei mutui concessi a tutti, anche a chi non offriva nessuna garanzia alle banche che poi erano fallite. In America non va, non è più come prima. Non c'è lavoro e soldi. E qui come va?", chiesero candidi. "Siamo in mano alla mafia, i giovani emancipati non hanno rappresentanza e se continua così solo una rivoluzione potrà cambiare le cose", gli risposi. Mi lasciarono che eravamo un po' amici e mi dissero che avrebbero dato il mio numero di telefono ai loro amcii americani che fossero venuti in visita a Roma.

Newark. Mi portarono per i localini del centro stupiti di vedermi a casa loro.


Da Tel Aviv con la modella e il diamante

Yoel Ashbel arrivò dalla Thailandia in attesa della sua bella modella da Tel Aviv che avrebbe passato tre giorni con lui all'hotel 'Accademia'. Lo aspettai sei ore per poi accompagnarli all'albergo vicino alla fontana di Trevi e poi a fumare il narghilé in un pub in piazza Re di Roma. Poi andava a vedere la partita della Lazio, Appuntamento lunedì mattina alle sette. Era il manager della 'Diamond Forever', tra Londra, Bangkok, Mosca e Toronto. "Ti dò un consiglio se vuoi fare i soldi - mi suggerì - metti su un bel posto per buon narghilé". Gli spiegai che da noi non si fumava e che pensavamo che si consumasse droga. Quando lo riaccompagnai a Fiumicino mi diede una mancia di 2 euro e mezzo. Un vero tirchio giudeo, pensai.

Israele. Quasi quasi gli pigliava un coccolone.


Giovanni, pasticciere a Perth da San Benedetto del Tronto

Giovanni aveva lasciato le Marche dieci anni fa per trasferirsi a Perth, in Australia, a fare il pasticciere. Laggiù aveva conosciuto una figlia di italiani e si era fidanzato. Nel quartiere di Calandela produceva babà, diplomatici e sfogliatelle. Andava dai parenti a San Benedetto del Tronto per passare le feste di Natale. Non si era pentito della sua scelta. Lo accompagnai a Castro Pretorio ai pullman per le Marche per 35 euro.

Perth. Erano veramente buoni i suoi cannoli nella pasticceria sulle colline di Perth.

Dal Brasile in Ungheria

Sembravano sbucati da un campo rom. Invece venivano dal Brasile, padre, figlio e figlia, per andare dai loro parenti ungheresi, da Sao Paulo a Budapest. Fernando senior, di 70 anni, amante delle api e del miele, pensionato come elettricista di società ed ex compagno di fabbrica del sindacalista Lula, ex presidente del Brasile che lo aveva tradito nelle aspettative, mi riempì le orecchie con le sue grida stridule appena capì che lo capivo; poi c'era il figlio avvocato, Fernando junior, e la sorella infermiera, Rosalina, che cercava uno stetoscopio italiano. 'Visit Rome' con me per 80 euro e partirono contenti per l'Ungheria.

Brasile. Pensavano fossi un fantasma e non capirono cosa stesse succedendo.


Dalla macedone Salonicco, via Casablanca

Venivano da Casablanca con una signora italiana che poi me li affidò, Jim e Sofia, ma erano greci e lavoravano nella macedone Salonicco, di un milione di persone, come ingegneri per studiare l'utilizzo dell'acqua nelle industrie. Mi spiegarono che la Macedonia era un'area a Nord della Grecia divisa in tre parti: la prima e la più grande proprio quella greca dove loro vivevano, la seconda parte in Bulgaria e la terza si era proclamata indipendente con la capitale Skopi. Questa tripartizione creava tensione. Fecero il tour inaspettato a 80 euro e se ne tornarono in Grecia felici, contenti e senza un euro.

Salonicco. In terra greca, li dovevo trovare tra un milione di persone con le poche informazioni che avevo.


I quattro russi e la borsa sparita

In un dicembre uggioso sbarcarono dal volo per Mosca in quattro, tre uomini e una donna. Andavano all'Hotel 'De Russie' in via del Babuino, quello di Rocco Forte, e sembravano ricchi. Venivano da Mosca e mi chiesero se avevo una grossa macchina. Mentii dicendo di sì. Erano cinque ore che stavo in piedi e non ce la facevo più. Mi erano scappate diverse possibilità, tra cui un'anziana venezuelana che voleva andare a Salerno per 250 euro.Gli dissi di aspettarmi davanti all'uscita della caffeteria che sarei rivenuto in cinque minuti. Quando arrivai e li chiamai, il più giovane storse la bocca e disse che voleva un taxi più grande. Me ne andai senza fare discussioni. Dopo una mezz'oretta tornarono dicendo che gli avevano rubato una borsa con soldi e documenti, proprio mentre mi stavano aspettando, e mi chiesero se io ne sapevo qualcosa, che almeno gli facessi riavere il passaporto. Dissi di no stizzito e me ne andai via per il timore di qualche guaio.

Mosca. Dovevano essere dei mezzi mafiosi perché nessuno sapeva dirmi esattamente cosa facessero nella capitale moscovita.


L'anziana di Spinaceto e la crociera ad Abu Dhabi



















"Là è tutto moderno ma ora sono stanca di girare. Sto tanto bene nella mia casetta popolare con giardino a Spinaceto", mi disse l'anziana signora fumatrice alla cinque del mattino alla caffetteria di Fiumicino, prima che la accompagnassi al sua quartiere dove era proprietaria di un bell'appartamentino a piano.

Spinaceto.


Due preti dal Burundi al Gianicolo

"Andiamo al Collegio S.Pietro, al Gianicolo. Da noi siamo il 90 per cento cattolici e non ci sono più animisti. Voi italiani pensate di capire tutto e capite solo l'Italia e l'italiano. Quanto siete ignoranti". Li accompagnai al Collegio S. Pietro, vicino alla Porta di San Pancrazio al Gianicolo, un posto stupendo. "Noi della Chiesa sappiamo mantenere i posti ed è per questo che abbiamo molte proprietà", si giustificarono quando mi lamentai dei troppi soldi della Chiesa cattolica. Venivano entrambi dal Burundi, uno studiava e l'altro era viceparroco in un chiesetta a Genova.

Burundi. Venivano da un piccolo villaggio burundese.


Dalla Russia con amore

In due viaggi, prima tre ragazze e poi una madre e una figlia, li portai a Roma centro. "Putin almeno è giovane, anche se non ci rendevamo conto di quanta sicurezza vivessimo prima nello stato sociale", mi dissero le tre giovani" che alloggiavano in un lussuoso albergo di via Nazionale. "In Russia ora sta bene chi ha i soldi e noi ce l'abbiamo", completarono le seconde, prima di sbarcare all'hotel 'Cicerone', ansiose di fare shopping nelle vie del centro romano addobbato a Natale.

Russia. Al college erano considerate delle brave studentesse. Mentre la famigliola viveva divisa e la ragazzina russa aveva gli stessi pruriti delle nostre teen ager.


Malesia Family

Da Kuala Lumpur a Venezia. Una famiglia malese: lui ingegnere di aerei, la moglie casalinga vestita tradizionale e il figlio cicciottello che studiava contabilità. Li accompagno all'hotel delle Rose in via Vicenza 55, accanto alla stazione Termini. Volevano prendere il treno dall'aeroporto, come gli era stato indicato dall'agenzia di viaggio, ma gli spiegai che per tre persone avrebbero speso la stessa cifra che se fossero venuti con me in auto, senza però dover portare le valigie a destra e sinistra. La moglie esausta da 10 ore di viaggio annuiva, il figlio cicciottello pure. Mi richiamò anche per il ritorno. Poi mi salutò come un amico con 5 euro di mancia. Non gli raccontai della mia permanenza di due giorni nella capitali malese, negli hotel intercontinentali delle torri di Kuala Lumpur, dove moderno e antico si mischiavano nel traffico e nello sfrecciare dei taxi variopinti, dei massaggi in una camera di lusso con finale erotico a pagamento, del maestro che passava da aeroporto ad aeroporto che io ammiravo, di un assaggio di una vita di lusso che non avevo conquistato, della non conoscenza del loro popolo e della tanta umidità che ti si appiccicava addosso.

Kuala Lumpur. Fu felice ed incredulo nel vedermi. Mi invitò subito a mangiare a casa sua, nei sobborghi della capitale malese Kuala Lumpur.


Da Accra a via Margutta



















Mina aveva una quarantina 'anni e da Accra, in Ghana, veniva a via Margutta per un workshop. Non le dissi dei miei viaggi in Ghana, in aereo, pullman e auto, passando dal porto Takoradi, Cape Coast e Accra. Le mie due settimane al 'King David Hotel', il mio viaggio dal mio amico Fred e la moglie a Winneba, l'incubo della frontiera con la Costa d'Avorio, le mie notti con la fanciulla del bar accompagnata dal fratello e le tante prostitute.

Accra. La capitale ghanese la conoscevo bene e non fu difficile trovarla. Mina era una maman ed era brava negli affari.


Da Bucarest in cinta per 2 giorni a Roma



















Era bionda, giovane e carina. Sembrava americana ed invece era di Bucarest, in Ungheria, e già aspettava il secondo figlio. Ci mettemmo a parlare come se ci conoscessimo da tempo. Poi la sua amica ritirò il bagaglio ma non volle prendere l'auto. Mi disse che l'Ungheria era entrata in Europa ma non aveva l'euro e non era cambiato granché. La vita era cara come in Italia ma un salario medio si aggira va sull'equivalente di circa 200 euro. Aveva scelto di fare la casalinga a Bucarest mentre il suo compgno lavorava. Ci lasciammo così, con un 'in bocca al lupo'.

Ungheria. Non capiva come mi potessi ricordare di lei dopo averle parlato solo pochi minuti ma mi ricevette a casa sua.


Dalla Corea a via Giolitti

Erano tre studentesse della Corea del Sud, uno cicciottella con le lentiggini, che di solito da quelle parti non danno confidenza. Sembravano sperdute e le avvicinai. Nessuno era venute a prenderle e non conoscevasmo dove era il loro hotel, che poi era una pensioncina 'bed & breakfeast' al piano gestito da una coreana che viveva a Roma. Poi il telefono lo trovarono sull'internet di un desk aeroportuale e con il mio telefonino risolvemmo il problema. Era un'affittacamere in via Giolitti, vicino alla stazione Termini. Parlai con la proprietaria e per 50 euro ce le accompagnai. Erano piene di vita, vulnerabili e gentili. Una vera freschezza.

Corea del Sud. Le trovai all'uscita della scuola e non mi riconobbero.


Due coloni inglesi da Mombasa alla Cappella Sistina



















Lui era molto anziano, lei un po' meno. Molto alla mano. Quando uscirono dagli arrivi alle 6.30 del mattino, con il volo proveniente da Addis Abeba, mi avvicinarono loro perché il vecchio disse: "Eccolo qui dietro un taxi". Stabilimmo il prezzo di 50 euro e via all'hotel 'Vaticano', in via del Vaticano, proprio di fronte all'entrata della Cappella Sistina. Per un amante dell'Africa come me, che sorpresa scoprire che i due erano inglesi, dei circa 50.000 che vivevano ancora in Kenia dopo la fine del colonialismo britannico in quell'area, ed erano nati proprio lì, da genitori inglesi che avevano deciso di risiedervi dal 1915. "Gli italiani di Malindi non ci piacciono tanto, sono un po' come il vostro berlusconi: furbetti e malandrini". Mi affrettai a precisare che io nel 1994 me ne ero andato a vivere in Costa d'Avorio proprio a causa della discesa in campo di uno come il nostro, purtroppo, attuale primo ministo, che speravo lo fosse ancora per poco se il 14 dicembre 2010 lo avessero finalmente sfiduciato e mandato a casa, magari ancora meglio in galera, dove pensavo fosse il suo posto ( ma a gennaio 2011 era ancora lì nonostante avessero scoperto il postribolo della sua casa). Andavano in Inghilterra a trovare la figlia, ma prima avrebbero passato due giorni a Roma. L'altro figlio lavorava nel Sud dell'Arabia Saudita. Loro erano in pensione, avevano una piccola fabbrichetta di sapone, in Kenia si trovavano bene e non avevano nessuna voglia di cambiare vita.

Mombasa. Li trovai nel posto che mi avevano descritto.



Due greci di Rodi e la bufala del taxi romano


Dopo aver visto passare l'amato commissario Montalbano e avergli detto : "Buongiorno commissario", e lui avermi sorriso probabilmente abituato ad una frase del genere, notai una coppia distinta e serena che da più di un'oretta, proprio mentre ammiravo una giovane bellezza creola che riusciva a farmi ribollire il sangue che credevo morto. Tanto per attaccare bottone chiesi loro se avevano qualche problema. Mi risposero cordiali in un buon inglese che il taxi, già pagato all'agenzia dell'isola di Rodi , diceva di non saperne niente della loro corsa e che non era venuto, né intendeva venire. Gli proposi di andare con me alla stessa tariffa, che gli avrei fatto una ricevuto per poi farsi rimborsare una volta tornati a casa. Accettarono e mi prenotarono anche per il ritorno. Avevano simpatia per Berlusconi. Io non dissi la mia per non perdere il cliente. Li ripresi una settimana dopo all'hotel 'President', vicino alla fermata 'Manzoni' della linea 'A' della metropolitana capitolina, per riaccompagnarli al loro volo di ritorno. Mi spiegarono che c'era stata un'incomprensione con l'agenzia di Rodi sul taxi prepagato e che tutto era stato chiarito.

Isola di Rodi. Una bella casa al centro della città.


Da Maputo a Pescara



















Da Maputo a Pescara con la cooperazione. Lui sessantenne, lei molto più giovane ed africana. Avevano tre figli che studiavano a Pescara ed andavano alla festa di laurea in giurisprudenza del più grande. Avevano fretta. Mi chiesero se in 20 minuti potevo arrivare da Fiumicino alla fermata del pullman alla stazione Tiburtina. Gli dissi che a quell'ora, erano le 6.40 del mattino, ci si poteva provare. Il bus partiva alle 7, noi arrivammo alle 7.03. Chissà se l'hanno preso. Comunque ce n'era un altro alle 9. "Cerchiamo di utilizzare al meglio al meglio i soldi della cooperazione italiana per un progetto sanitario a Maputo, in Mozambico. Questa è mia moglie", mi disse, presentandomela. Non gli dissi che anch'io avevo una moglie africana, della Costa d'Avorio, e tre bambini meticci e che credevo che il futuro sarebbe stato multietnico. Però, pensai, anch'io avrei dovuto lavorare in un organismo internazionale invece che fare il tassista abusivo e il gironalista disoccupato. Ero molto simile socialmente al loro modo di pensare, ma mi mancava uno stipendio decente per avere una dignità da rappresentare. Eppure quando persi l'ultimo ed unico concorso pubblico negli anni Ottanta, quello al ministero degli Esteri come cancelliere, perché agli orali vincevano solo i raccomandati, capii che avevo perso la mia occasione di stare nel posto giusto per uno come me... . I due clienti del nostro premier non volevano nemmeno sentirne parlare. Per quasi tutti era una vera vergogna nazionale che li investiva soprattutto a livello internazionale e all'estero.

Maputo. Faceva caldo quando arrivai nella capitale mozambicana.


Da Giakarta alla pensione 'Delia'

Anziano, fumatore, che non si ricordava il nome dell'albergo, che poi era una pensionina intorno alla stazione Termini. Indonesiano di Giakarta andava a trovare la figlia che lavorava a Roma. Mi parlò del Brunei, che era diviso in tre, tra il Sultanato, la Malesia e l'Indonesia, della mancanza di sicurezza nel suo Paese, degli attentati degli integralisti islamici all'ambasciata di Australia di qualche anno fa, di un presidente che non riusciva a controllare un territorio così vasto e diverso, della belleza di Bali e del figlio che lavorava in Australia. Si ricordava vagamente quale fosse l'albergo dove doveva andare e che gli aveva preso la figlia. Aveva visto su internet, su 'Google maps', che era alla destra della stazione Termini e che iniziava con 'Del'. Dal suo telefonino si era cancellato il messaggio con l'indirizzo e non aveva prenotazioni cartacee. Un po' poco. Ma lo trovammo. Era una piccola pensioncina al piano in via Gaeta, la 'Delia Accomodation'. Quando la trovammo mi ringraziò riconoscente. Aveva delle grandi orecchie, una pelle avvizzita dal fumo e sembrava molto gentile.

Giakarta. Viveva in una modesta abitazione intrisa di fumo.


Da Malta a Giulio Agricola, con i Focolarini



















Questa volta venivano per loro stessi, per celebrare 15 anni di matrimonio, ospiti di amici in via Marco Aurelio Corvo, vicino alla fermata della metropolitana di 'Giulio Agricola' al Tuscolano. Erano di Malta, molto gentili, e di solito venivano per i raduni dei focolarini, un gruppo cattolico legato alla Chiesa fondata dalla recentemente defunta Chiara Lubich, con sede ai Castelli Romani, sia tra Squarciarelli e Grottaferrata che a Castelgandolfo, dove Papa Woytila aveva dato uan sala proprio sotto la sua residenza estiva. Mi dissero di tornare a prenderli tra due giorni, di domenica alle 16.15. "A Malta si sta bene - mi dissero - e si trova lavoro". Gli spiegai cosa vollesse dire questo periodo italiano, per niente bello. Ci richiamamo per le 16.45 della domenica successiva, dopo che era saltata la partita di mio figlio a Fiuggi a causa della neve. "La richiameremo e anche i nostri amici. La parola d'ordine è Silvio, il mio nome". Indimenticabile come quell'imbecille che stava facendo finta di governarci.

La Valletta. Maltesi doc e anche focolarini.


Da Guatemala City a Firenze



















Vagavano da due giorni negli aereoporti di mezzo mondo, da Guatemala City a Città del Messico, fino a Londra e Roma. Per un ritardo di pochi minuti nel Regno Unito, avevano perso la coincidenza per Roma. Avevano dormito alle partenze di Fiumicino aspettando il trenino per la stazione Termini e poi per Firenze. Non sapevano che là, il 17 dicembre 2010, migliaia di viaggiatori in auto, treno ed aereo sarebbero rimasti intrappolati dalla neve e dal gelo che aveva fatto toccare meno dieci alla colonnina di mercurio. Erano una famiglia, madre, padre e figlio ingegnere nella plastica. Andavano a passare il Natale con la sorella che si era sposata un italiano fiorentino. "Da noi c'è molta insicurezza a causa dei signori della droga che transitano con la cocaina dal Sudamerica agli Stati Uniti", mi dissero infreddoliti dopo che li avevo convinti a salire sulla mia auto senza riscaldamento. Gli feci vedere il Colosseo e piazza Venezia. Poi li lasciai in una stazione dei treni senza più trolley, non si sa bene per quale insano destino delle nostre malsane ferrovie.

Guatemala City. Non potettero riconoscermi.


Da Houston, Texas, al petrolio di Catania

Era un ingegnere afroamericano che lavorava nel petrolio. Passsando per Washington, era in transito per Catania due giorni dopo con la 'Wind', dopo aver volato 'Continental'. Andava a Catania per il petrolio siciliano e dormiva all'hotel 'Tre Fontane', in via del Serafico 51 all'Eur. Lo avvertii di fare attenzione alla mafia. Rise. Mi pagò in dollari, settanta al posto dei 50 euro pattuiti, mentre al 'change' dell'aeroporto me ne davano 37, quei ladri legalizzati. Ci mettemmo d'accordo anche per la domenica mattina alle 6.30. Quando lo andai a prendere non era nemmeno mai uscito dal suo albergo, vicino all'Eni, sulla Laurentina. Mi diede altri 70 dollari dopo che gli dissi che a Catania non solo non parlavano l'inglese. ma nemmeno l'italiano.

Houston. Non sapeva chi ero.


Master a Madrid



















Quel sabato 18 dicembre 2010 arrivai all'aeroporto un'ora più tardi perché avevo imparato che prima non c'erano voli. Anche i taxi regolari lo sapevano, tanto che non c'era nemmeno uno con quel freddo. Ma di gente ce n'era tantissima, che era arrivata anche con 10 ore di ritardo a causa del maltempo. Ne caricai subito due: due studenti di economia che facevano il master a Madrid, dopo essersi sposati a maggio, con tre prosciutti spagnoli nella borsa tra i regali di Natale. Li accompagnai sul Lungotevere della Marina, dopo otto mesi all'estero e 10 ore di volo, venuti per le vacanza da passare con i loro parenti. Parlammo delle manifestazioni degli studenti, degli infiltrati, dei master che ora si fanno in Spagna, di Zapatero che era in crisi, della nostra povera Italia, della riforma Gelmini e vai lamentando. Ci lasciamo a 40 euro, dietro la loro 'Smart' nera, parcheggiata sotto casa ancora indenne dopo gli scontri degli studenti con la polizia di pochi giorni prima.

Madrid. Alla scuola di Economia non li conoscevano.


Dall'Onu della Tanzania fino a Verona



















Non avevo fatto in tempo a mettere piedi in aeroporto che si fermano un italiano e una bellissima, credo, thailandese, con due splendidi bambini biondi (una si chiamava Sofia) e tante valigie. Lui mi chiede se potevamo arrivare alla stazione Termini prima delle 8.05, visto che erano le 7.08. Gli dico di sì perché era sabato. Alle 7.35 eravamo ai treni, sempre senza trolley per gli sfortunati viaggiatori, mentre a Fiumicino invece si pagavamo un euro, anche se si veniva da mete sperdute, senza euro e senza spicci. Mentre sfreccio per la Fiumicino-Magliana, tanto che il piccoletto stanco rischia di vomitare sul sedile, mi raccontano che sono venuti dalla Tanzania, con il nuovo volo da Nairobi, in Kenia, e che lui lavora per l 'Onu. "Sarebbe una bella vacanza se non ci dovessi anche lavorare", dice. Quanto ho sognato di fare il suo mestiere e guadagnare il suo stipendio, penso io. Una splendida e bella famiglia.

Tanzania. Alla sede Onu della capitale della Tanzania mi dissero che era fuori per una missione.


Dai dintorni di Tel Aviv a via d'Azeglio

Era una domenica faticosa, come il lunedì successivo. Pochi si fermavano e pensavo con paura se mi avessero fermato per un controllo o alla possibilità che mi si fosse bloccata la macchina, perché non avrei avuto più possibilità di una risorsa finanziaria. Si fermarono due coloni quarantenni israeliani, marito e moglie, che abitavano nei dintorni di Tel Aviv e lavoravano nell'elettronica. Erano simpatizzanti di Netanyau e anche di Berlusconi. "Un amico di Israele", lo definirono. Gli dissi di stare attenti al grande venditore che era amico di tutti e mi gettai in una improvvida difesa degli israeliani, del loro coraggio e del loro Olocausto. E' vero che gli ebrei sono un po' tirchi, tendono sempre a risparmiare, anche nelle corse di taxi. Li lasciai all'hotel 'Nizza', in via Massimo d'Azeglio, uno degli innumerevoli alberghetti e pensioni intorno allla stazione Termini.

Dintorni di Tel Aviv.


Padre Pascal di Mombasa



















Padre Pascal viene da Mombasa, in Kenia, e studia bioetica all'università del Papa, in via di Villa Carpegna, dove lo accompagno per 30, pardon 35 euro perché non avevo il resto. "Noi abbiamo le idee chiare su questi studi", dice. "Noi chi?", gli chiedo. "Ma qui fa freddo come sotto il Kilimangiaro", risponde. Non gli dico che turisti occidentali vanno in vacanza dai Masai per imparare a vivere meglio.

Kenia.


Da New York a via del Tritone

Un coppia attempata ma non troppo, con quattro figli e due nipotini, da soli per due settimane in Italia: 5 giorni a Roma e il resto in Sicilia dai parenti originari del padre intorno a Catania. "Lui parlava in dialetto e non sapeva l'italiano", dice lei. Da New York a via del Tritone con amore. Mi richiamano per il 26 dicembre per riportarli all'aeroporto per il volo per la Sicilia. "Buon Natale", mi dicono al telefono in italiano. Poi mi chiedono tornando a Fiumicino perché nei ristoranti italiani si paga 'pane e coperto' e perché nei bar quando ci si siede si pagano un sacco di soldi. Belle domande, senza risposta. Dopo una settimana passata in Sicilia mi richiamano dall'Hilton dell'aeroporto per andare a prendere dei loro amici, alle 21, che devono andare allo Sheraton di Spinaceto. Ci abbracciamo e baciamo quando ci vediamo, come dei vecchi amici. Io mi perdo a Spinaceto. Mi dicono che i loro amici mi richiameranno, ma non lo faranno.

New York. Quando mi vide mi gettò le braccia al collo sotto gli occhi un po' gelosi del timido marito. "Sapevo che non eri un vero tassita", mi confessò.


Da Addis Abeba per affari e tirchieria

Erano due giorni che non imbarcavavo quasi nessuno e accettai l'etiope con una sciarpa in testa al primo volo del mattino per solo venti euro fino all'hotel 'Una' a Termini. Niente da dire su un tirchio ed antipatico. "Noi etiopi abbiamo ammazzato tanti generali italiani e non ci hanno colonizzato. Sono qui per business nelle costruzioni". Boh.

Etiopia.


Io ormai ero stato individuato da tutti i noleggiatori con il conducente dell'aeroporto e anche dai tassisti. C'era un vecchietto che a malapena si reggeva in piedi che veniva sempre alle cinque del mattino che mi aveva sentito 'battere', come dicevano loro in gergo, che non mi perdeva d'occhio e mi faceva le battutine dietro. Io facevo finta di nulla. Comparivo e scomparivo. Avevo bisogno di soldi. Intanto uno dei barboni fissi della stazione, sempre ben pulito (i bagni abbondavano ed erano sempre ben puliti nonostante i commenti e l'apatia dei lavoratori che mantevano l'igiene delle toilettes), era stato individuato dalla finanza. Assomigliava a quel personaggio di un film dove uno era vissuto per anni in aeroporto, 'Terminal'. Il finanziere aveva prima chiamato un'ambulanza, poi lo aveva accompagnato al posto di polizia senza riuscire a capire chi fosse e cosa facesse lì. Il giorno dopo era ancora lì che girovagava con il suo trolley per l'aerostazione con lo sguardo perso, sulla quarantina, due valigie, la barba e una piccola erita alla testa, zoppicando la gamba destra e con un braccio malconcio.


Da Addis Abeba in poi

Li avevo sentiti contrattare il prezzo della corsa con un noleggiatore con conducente dal naso adunco. Erano in due ed andavano a due indirizzi diversi, ma non volevano pagare più di quaranta euro a corsa. Il conducente non mollò, voleva 45 altrimenti, diceva, ne andava di mezzo la sua dignità. "Con quella faccia", pensai. Erano due giorni che andava avanti con una corsa, non risucivo a comprare i regali per Natale per i miei tre figli e presi la palla al balzo. Li fermai poco più in là, mentre si dirigevano al treno, e gli proposi di portarli per 35 euro. Accettarono, uno andava a Monteverde e l'altro alla stazione dei bus alla Tiburtina per prendere il pullman per Pescara. Il primo era un giovane con barba e capelli lunghi, antropologo ad Hadar, in Etiopia, con due valigione piene di reperti. "Non guadagno molto, però il lavoro di mi piace. Preferisco vivere in Etiopia che in Italia". Solo dopo capii che studiava aull'antenata di Lucy, che tre milioni di anni fa si alzò in piedi, abbandonando la posizione di quadrupede. Il ritrovamento era avvenuto proprio ad Hadar dove da quasi 40 anni era stata scoperta una vera e propria miniera per i paleontologi che studiavano l'Australopithecus faransis, in grado di deambulare assai prima dell'Homo erectus. Alla fine invece di 15 mi lasciò venti euro. L'altro era un signore sulla sessantina che veniva dal Congo-Kinshasa, che fumava in continuazione, e che seguiva migliaia di bambini in difficoltà in Africa e in Brasile. dopo che sei anni prima il figlio gli era morto mentre si occupava di queste cose. Lui, però, aveva voluto continuare il suo progetto, pur rimettendoci. Non potei fare a meno di confessare loro i miei anni trascorsi in Africa, in Congo e in Costa d'Avorio. Ci ritrovammo tutti e tre come vecchi amici a sciorinare ricordi del continente nero. Il vecchio mi disse che ora il problema in Congo era il coltan, un biminerale che si trovava per terra nel Nord Est del Congo, ai confini del Rwanda e Burundi, che serviva per le batterie delle nuove tecnologie, e che le varie fazioni locali ed internazionali si contendevano a suon di armi e soldi. Il prezzo era passato negli ultimi anni da 35 euro al chilo a 400. Il signore di Pescara, sfegatato fans di Berlusconi, mi disse anche era una specia di ambasciatore dell'attuale presidente del Congo Kabila. Devo dire che non mi convinse molto. Io gli raccontai che avevo studiato dai gesuiti a Kinshasa nel 1968, avevo sfilato per l'allora presidente Mobutu e della mia esperienza in Costa d'Avorio. In molti si chiedevano cosa facessi lì come tassista. Spesso mi giustificavo dicendo che la mia situazione economica era precipitata. Ma la persona non mi convinse e, non so perché, pensavo che in Congo stava facendo un suo business.

Congo. Quando atterai al nuovo aeroporto di Kinshasa non lo riconobbi, io ero sempre arrivato a quello di Limitè, appena fuori città. I ricordi mi invasero, insieme al caldo, gli odori e i colori che ho sempre amato. Avevo appena 12 anni quando mia madre ci chiamò giù a Kinshasa, dove faceva l'insegnante non so di cosa, insieme a mio fratello Francesco. Dovevamo fare la terza media al ghetto degli ebrei, in fila per due dal collegio 'S. Maria in Aquiro', in piazza Capranica, quello per gli orfanelli, anche se noi non eravamo orfani. Mio fratello era nato da una relazione di una notte con un marines americano a Camp Derby, che mia madre aveva conosciuto dopo essersi ubriacata di romantici libri di Liala e di testesteroni che le sfrenarono i freni inibitori. Per inciso, mio fratello si suicidò a 24 anni proprio nella pineta di Campo Derby, il campo militare americano a Tirrenia, tra Pisa e Livorno. Io, invece, nacqui da un'altra relazione estemporanea della nubile mamma che, non paga del casino che aveva creato con il primo figlio (mia nonna la rinchiuse in cinta in un manicomio a Volterra per la vergogna di quei tempi di avere in famiglia una ragazza madre), pensò bene di andare a letto con il primo napoletano che incontrò a Napoli su un autobus, un certo Angelo Occhiuzzi, che non mi volle mai riconoscere e con cui sono in causa per il confronto del dna per la paternità (a 55 anni...). La mamma rimase ancora in cinta e per evitare di tornare in manicomio scappò in Inghilterra, sensa sapere che senza cittadinanza non si poteva partorire (stiamo parlando del 1955). Non so come arrivò a Genova. Partorì il 22 agosto al 'Gaslini', quello dei trovatelli, dove mi abbandonò per un anno alle suore che io chiamava 'cvappellone' (è tutto scritto sul mio estratto di nascita, figlio di n.n.). Poi, dopo un anno, forse in preda ai rimorsi, mi riconobbe e mi affidò in balia ad una famiglia di contadini nella privincia di S. Giovanni Valdarno, vicino Arezzo. Il periodo più bello della mia vita, con mamma Maria e papà Giovanni, vivevamo in una casetta sopra una collinetta, con l'aia e i polli, liberi, senza riscaldamento, né bagno. Ma, a 5 anni, la solita madre naturale, gelosa del mio attaccamento ai nuovi genitori, mi mise in collegio per la prima elementare, dalle suore. E rimasi nei collegi fino ai 15 anni.






Tranne questa parentesi africana. La mamma ci iscrisse dai gesuiti al primo liceo alal scuola belga. Io non capivo un acca di francese e inizialmente avevo tutti zero. Ma dopo tre mesi lo imparai. In classe appena entrai risero tutti: ero l'unico biano, a parte un pachistano. Il mio migliore amico era Pongo, il figlio di un ministro del governo del colonnello Mobutu, che deprederà l'allora Zaire fino all'osso. Abitavamo su un enorma Boulevard e nelal nostra villetta con giardino avevamo anche un doberman che si chiamava De Gaulle. Un anno stupendo. Peccatro che poi dovemmo tornare in collegio a Siena, dopo aver dato gli esami di terza media a Roma. Mia madre ci aveva ripensato.






L'onlus non esisteva.


Dalla Liberia al Papa



















Erano venuti la mattina da Monrovia, dalla Liberia, per sentire la Messa del Papa di mezzanotte a San Pietro. Erano una famiglia liberiana con due bambini. Gli raccontai dei miei viaggi a Monrovia nel 1996, della guerra di Charles Taylor, dei suoi affari loschi, di Aldo il puttaniere stile berlusconi, delle valigie piene di soldi che transitavano dalla Liberia in Svizzera via Costa d'Avori. Lui mi disse che era un businesss man, anche di diamanti e petrolio. Sembrava benestante e sapeva il fatto suo. Forse era dell'entourage di qualche persone importante e non aveva tanta voglia di parlare. Anzi sembrava non si fidasse di me. Se avessi avuto il tempo gli avrei raccontato di quando avevo traversato il fiume Cavally, al confine tra la Liberia e la Costa d'Avorio, in piena guerra civile liberiana mentre ora c'era ad Abidjan, su una piattaforma in mezzo alla giungla, scortati dai generali di Taylor e dai loro ragazzi soldato, della 'Firestone, delle montagne di caotchou abbandonato a bruciarsi al sole, delle città senza donne e senza luce, dell'alberghetto ivoriano del porto degli alberi di San Pedro. E ancora dell'Holiday Inn del libanese che si alimentava a gruppi elettrogeni, dei diamanti sporchi gettati sui tavoli delle bische clandestine, delle orge dei guerrafondai, dell'albergo da restaurare, delle auto che andavono sui mozzi. Invece lo lasciai al 'Radisson Hotel', dietro al mercato di piazza Vittorio, per 50 euro, scaricando una montagna di valigie e senza aggiungere altro.

Monrovia.


Due americani di Philadelfia



















Erano entrambi ciccioni, marito e moglie, venivano da Philadelfia e ridevano sempre. Dopo un lungo giro sotto una pioggia battente, alla vigilia del Natale 2010, li lasciai all'albergo 'Imperatore Tiberio', a via Lattanzio alla Balduina.

Philadelfia.


Arabi di Tel Aviv



















Un'altra famiglia israeliana, arabi dei dintorni di Tel Aviv, in vacanza a Roma, Firenze, Siena e Pisa. "Noi siamo palestinesi e viviamo con gli israeliani, gomito a gomito. Un inferno", mi disse. Viaggiavano con una ragazzina bionda con gli occhi azzurri e un bebè di 5 mesi. Gli confessai che gli israeliani e i palestinesi mi piacevano, avevano uno spirito aperto, forse perché in continua emergenza.

Palestina.


Il ragazzo di Istanbul

L'ultima corsa prima di Natale, per racimolare i soldi per i regali da mettere sotto l'albero, era stata quella di un ragazzo di Istanbul, Abdullah, che ritrovava gli amici in un albergo in via Sistina, Si era appena laureato in Turismo e doveva fare un anno e mezzo di militare obbligatorio. Sembrava di una famiglia benestante. Parlammo di un po' di tutto.

Turchia.


Da Melbourne alle Dolomiti

Uscirono dagli arrivals assonati, sul volo da Kuala Lumpur. All'inizio pensai fossero inglesi, invece era una famiglia di australiani di Melbourne: John,cardiologo, Maria e la figlia sedicenne bionda Carolina. Li accompagnai a via Giulia 191, dove avevano prenotato un appartamento per tre giorni. Mi avrebbero ritelefonato per riaccompagnarli all'aeroporto alla fine del loro soggiorno nella capitale, direzione Venezia e poi via a sciare sulle nostre montagne del Nord. Infatti mi richiamarono ed io gli parlai dei ladini delle Dolomiti e loro degli aborigeni in Australia. Io non gli dissi del mio viaggio a Brisbane, nel Queensland, negli anni Novanta, dove ora nel 2011 dilagavano gli alluvioni e le piogge, alla ricerca di una felicità perduta dietro ad un guru miliardario e con il jet, che si era appena intestato un enorme area a Sud del Queensland; né dell'appartamento affittato con il mio ex amico Francesco, dei miei stop a Kuala Lumpur, Singapore e New Delhi, della mia carta 'American Express' che non ho più perché dovetti vendermi la mia 'Nissan Patrol' per ripianarla.

Melbourne.


Bulgari fashion

Dopo 5 ore al freddo fuori dell'aerostazione, orecchiando qua e là, ero riuscito ad imbarcare una coppia di bulgari-turchi, per soli 30 euro. Lui commerciava in tessuti e jeans tra Istanbul, Mosca, l'Ucraina e il Kazikistan. "Le donne russe sono bravissime a fare gli affari, mentre gli uomini per lo più si ubriacano", mi disse senza parlare una parola di inglese. Li lasciai all'hotel 'Isaa' in via Cicerone, dopo aver cercato di intenderci in russo e non so quale altra lingua inventata lì per lì. Cinque studenti di ingegneria da Palermo al Colosseo Sono venuti a passare il Capodanno a Roma da Palermo. Sono cinque studenti in ingegneria che hanno accettato di stringersi sulla mia sgangassata Fiat Tempra a dieci euro a testa. Li ho portati all'hotel 'Perugia' in via del Colosseo, proprio accanto al mio vecchio liceo scientifico 'Cavour'.

Istanbul.


Dal Marocco e lo Yemen, via Tel Aviv



















Lui originario di Marrakech, in Marocco, lei dello Yemen, bellissima, entrambi ebrei nei dintorni di Tel Aviv. Lui ingegnere, lei assistente sociale. "Io non posso andare nello Yemen perché a noi ebrei non ci possono vedere e sono nata in Israele". Che nazione deve essere quella di Israele, con tante nazionalità sotto un'unica bandiera con il collant della religione ebraica. Shalom. Li ho accompagnati al solito hotel 'Accademia'.

Tel Aviv.


Mamma e figlio, da Porto Alegre a Porta Maggiore

Augusto fa il venditore a Porto Allegre ed è venuto con la mamma 76enne a vedere Roma. Prima però sono passati a Toulouse, dove hanno una quarantina di parenti. Il nonno era di Belluno ed è morto di tumore ai polmoni perché fumava troppo, e la nonna fiorentina. Mi richiamarono per tornare a prenderli per l'aeroporto, questa volta direzione Brasile. Abitavano a Porto Allegre, nella regione ai confini con l'Uruguay, dove ci sono tante persone di origine italiana. "Non capisco perché non vogliono estradare Cesare Battisti". "Non romperanno nessun contratto, il Brasile pagherà dieici miliardi per avere armi dall'Italia. Ma che ci devono fare?", gli risposi io di rimando.

Porto Alegre.


Indiani di Johannesburg alla Collina Fleming

Come al solito, alle 3.30 del mattino, mi sono alzato per fare il solito giro all'aeroporto. Alle 6 convinco una famiglia indiana che vive a Johannesburg, in Sudafrica, ad accompagnarli al loro albergo, il Grand Hotel Fleming, sopra Corso Francia. Contrattiamo il prezzo a 30 euro. Sono molto giovani, hanno un'enormità di valigie che fanno fatica ad entrare nella macchina, ed hanno due figliolette bellissime; Sheila, che mi accompagna con il trolley alla macchina come se fosse una grande persona, e una piccolina che ancora nemmeno parla ma grida in continuazione. In Sudafrica si trovano bene, mi dicono, e mi chiedono informazioni sull'Italia e il Papa. Mi chiedono il mio numero, just in case. "Ciao, see you later", dico a Sheila, allontanandomi nell'ancora notte della mattina romana, in una città ancora deserta e dormiente.

Johannesburg.





























Da Malaga a San Lorenzo



















Sono tre spagnoli di Malaga, un ragazzo e due chiche. Sono venuti per il Capodanno. Li porto prima a San Lorenzo, al loro hotel in Largo dell'Oste, e poi a Piazza Navona.

Malaga.


Dall'Australia all'Isola Sacra

Doveva fare pochi chilometri per andare dal fratello a Fiumicino paese, o megli nella zona dell'Isola Sacra. Veniva dall'Australia dove svernava in pensione, ma diceva. Sulla settantina, mi pagò con 30 dollari australiani, circa 15 euro al cambio capestro degli 'change' dell'aeroporto, poi diventati 19 con una tessera qualsiasi data all'impiegata. Suo fratello non era venuto a prenderlo e il suo alito puzzava.

Brisbane. Nel Queensland stava piovendo un po' troppo e in giro non c'era quasi nessuno. Nella terra delle barriere coralline c'ero stato nel '95 con il mio ex amico Francesco, figlio di un generale dell'esercito di Gaeta. Da New Delhi, ad un raduno di centianai di migliaia di persone per la festa dei colori del nsotro amato guru, a Singapore, qualche giorno a Kuala Lumour in Malesia e poi via verso l'Australia. Là, proprio in quel periodo, il guru miliardario si assicurò un enorma tenuta dove tenere i suoi incontri. Stavamo in un residence-apaprtamento molto carino, con cucina e tutto arredato, con lo spagnolo Julio e il gotha dei seguaci del guru. C'erano anche due ragazze, una spagnola e una americana, che ci facevanpo il filo.


Dalla Svizzera a Piazza Vittorio

La notte della fine dell'anno 2010 la clientela era poco e i noleggiatori regolari, che rubavano il lavoro ai tassisti arresi, erano decine. Riuscii ad imbarcare a 35 euro, non so come, una famiglia che usciva dalla toilette, marito, moglie e bambina, fino ad una pensioncina 'bed & breakfeast', in via Cairoli, dietro la gelateria 'Fassi', quella dove andavo alle feste parioline del 'De Merode' da giovane, perché il figlio della palazzina 'Fassi', forse oggi lui proprietario, era mio amico ed inseguiva le amiche con la patta aperta. Anche loro vollero il mio numero per richiamarmi. Ci andai alle sei meno un quarto della mattina sotto la pioggia. Erano rilassati, ma un po' delusi di come il cuore di Roma era ormai stato occupato. Gli spiegai che la zona della loro pensione, Vittorio, era quella tipica degli stranieri, soprattutto cinesi, e che le zone piùà romanacce erano Testaccio, Garbatella e ancora un po' Trastevere. La loro bambina di tre anni Keira, dal nome di un attrice di non so quale sceneggiato, era meno stanca e più socievole. "Torniamo a meno 17", mi disse lui, che faceva il meccanico sui Caterpillar.

Zurigo.


Da Brisbane, via dalla pioggia, a via del Corso

Il secondo giorno dopo la festa di Capodanno, così come per Santo Stefano, la squadra era riapparsa, probabilmente dopo una spiata del vecchitto dei noleggiatori che non tollerava la mia presenza nell'aerostazione. Alle 9.30 ero già a casa, non prima di aver imbarcato, sotto gli occhi della stess squadra che mi aveva fermato una settimana prima, due australiani del Nord del Queensland, dove pioggie torrenziali la stavano allagando, venuti in Italia per 15 giorni. Lui carpentiere, lei maestra di scienze, li accompagnai diffidenti all'hotel 'Regno', in via del Corso 330. Non prima di averli dovuti convincere che potevano stare tranquilli anche se non ero un taxi normale e che potevano entrare a lasciare i bagagli anche prima due, ora del loro check in.

Queensland.


Il cecchino americano di Gibuti

"Sono un tiratore scelto e lavoro nella base americana di Gibuti, in Africa. Ancora non ho ammazzato nessuno, però prima o poi dovrò farlo, così saprò cosa proverò veramente". Gail, un ragazzone di Kansas City, era un militare Usa di stanza a Gibuti. Lo avevo visto passare sul trolley a Fiumicino con un contenitore per fucili. Poi era riapparso senza bagagli e con una guida in mano. Gli chiesi se gli serviva un taxi, dribblando i soliti noleggiatori che ormai mi guardavano in cagnesco, e mi disse di sì. Era in transito ed avrebbe preso l'ultimo volo della sera, quello per Addis Abeba, ed aveva quasi 15 ore di tempo per visitare Roma. Ci accordammo sui 35 euro. Mi confessò che le donne etiopi erano bellissime, che l'Afghanistan per gli Usa era stato un errore e che forse tra 4 mesi, dopo un anno e mezzo passato a Gibuti, a Kabul ci sarebbe andato perché si guadagnava di più. Lo lasciai alla stazione Termini vicino all'autobus a due piani per visitare la città. Mi lasciò 40 euro.

Gibuti.


Da Perth a Lanciano

Mamma, figlio e moglie, tornavano da una visita ai loro familiari a Perth, che lavoravano nelle miniere in Australia e vivevano a Perth. Erano stravolti da 18 ore di viaggio, via Kuala Lumpur, e li abbordai vicino ai bagni degli arrivi internazionali, un'ottima postazione per parlare con la gente con una certa tranquillità mentre si scambiavano il turno per andare alla toilette, mentre uno restava a controllare i bagagli. Dovevano andare alla fermata dei bus a Castro Pretorio, per andare a Lanciano, nelle Marche. Ce li portai mentre mi dicevano: "Ma come si mangia male in Australia, però si vive meglio e non è che ci vuole la raccomandazione come qui". Lui aveva fatto il militare nei carabinieri proprio a Roma ed era un operaio. Tutti erano scontenti di questo governo e di questi politici. Anelavano per un cappuccino e un cornetto, ma li allontanai velocemente dall'aerostazione perché c'era il solito vecchietto noleggiatore invidioso che continuava ad indicarmi a tutti i finanzieri e poliziotti di Fiumicino. Impazziva letteralemnte quando mi vedeva. Gli davo veramente fastidio.

Lanciano.


Dall'isola di Sonatra, nello Yemen, stile Lost

Alle 4.30 del mattino, ancora un po' assonnato ma di nuovo in forma dopo una lieve influenza (se non sei in buona salute non riesci a prendere un cliente perché qualcuno ti anticipa sempre) pensavo che chi usciva cispisoso dal solito varco degli arrivi internazionali con bagagli venissero da Mahé, nelle Seycelles, invece arrivavano da Sonatra, un'isola nello Yemen doppia dell'Elba dove, con 'Avventure nel Mondo', avevano passato le feste 2010-2011 stile 'Lost'. Dormendo in tenda, senza cellulari, camminando e vivendo come migliaia di anni fa. Erano contenti ed avevano un po' tutti lo stesso stile dei viaggiatori d'avventura, anche se viaggiavano con un minimo di organizzazione. Erano ancora lontane le proteste che avrebbero sconvolto tutto il Medioriente. Gli raccontai della mia esperienza africana, dell'isola di Gorgona (uno era di Firenze, un altro di Belluno e, poi, c'era una ragazza tedesca un po' avanti con gli anni che ce l'aveva un po' contro tutte le modernità del momento), del mio viaggio nel Sahara. Anche loro avevano viaggiato molto, nei posti più remoti. C'era una certa sintonia, anche sulla vergogna di avere gli attuali governanti. Volevano prendere il treno Fiumicino-Roma, ma li convinsi a venire con me. Avevano molte valigie e a Termini, dove andavano, i trolley ormai non c'erano più, perchè l'appalto non era stato rinnovato e tutti si trascinavano le valigie alla bene e meglio. Almeno una volta c'erano i facchini... . "Che è successo qui di nuovo. E' cascato il governo berlusconi", mi chiesero in coro rassegnati. "Purtroppo no", gli risposi. E ci facemmo una bella risata.

Sonagra.


Dalla Thailandia al rione Monti

Era più di mezz'ora che cercavano di fare una telefonata proprio davanti alla mia postazione di abusivo recalcitrante. Credevo fossero dei giapponesi e sapevo quanto fosse difficile avvicinarli ed avere la loro fiducia. Invece erano thailandesi. L'amabile signora mi aveva già sorriso ed io provai a parlare con loro: padre alto e buddista, lei cattolica e minuta, i figli teen ager moderni di 16 e 13 anni, con tagli a rasoio dei loro capelli pieni di gel. Riuscii così a convincerli a venire con me, una delle rare volte che un asiatico accettava qualcosa che le guide sconsigliavano, cioè un taxi abusivo, e che non rientrava nelle regole prestabilite. Andavano in un appartamento al secondo piano di via Capocci, al rione Monti, una vecchia palazzina decadente di cui non riuscivano a recuperare la persona chi gli doveva dare le chiavi e che avevano trovato in un'organizzazione su internet. Gli dissi di aspettarmi sulle sedie dell'androne, mentre scattavano delle foto all'aerostazione, che di lì a poco sarei arrivato con la macchina, che avevo parcheggiato in un luogo ben nascosto dagli sguardi di una possibile 'squadra'. Gli chiesi come andava ora in Thailandia dopo gli scontri di qualche mese fa e mi dissero un po' meglio. Poi gli chiesi come facevano un buddista ed una cattolica, così come i figli, a convivere insieme, e mi risposero che era possibile anche se lui non era poi così praticante. Gli raccontai che anch'io vivevo una situazione simile, con me nato per forza cattolico e non praticante, con relativa madre bigotta, e mia moglie animista africana e i mie tre bambini a cui avevamo lasciato la scelta di decidere una possibile religione quando sarebbero diventati più grandi. Mi chiesero molte informazioni, fra cui come andare e stare a Firenze, Siena, come prendere il treno e alcune abitudini italiane. Erano molto gentili e rispettosi. A via Capocci non c'era ancor nessuno nella palazzina diroccata perché la famiglia thailandese di Pattaya era arrivata un po' prima. Li lasciai in mano ad un locale garagista mentre la signora insisteva perché io non perdessi tempo per il mio lavoro. Vollero anch'essi il mio numero e io gli dissi di chiamarmi se erano in difficoltà. Anche se sembravano cavarsela bene da soli. Ma io ero il buon samaritano e lo facevo per natura.

Pattaya.


Da Rio a Fiumicino paese

Mentre me ne ritornavo sconsolato al mio androne dell'aerostazione preferito, dopo che due americani avevano preteso di scendere dalla macchina non so bene per quali motivi, trattandomi come il peggiore dei delinquenti, mi imbatto in una giovane coppia a cui chiedo, senza crederci molto, se serviva un taxi. Lui mi dice subito di sì e che doveva andare lì vicino, a Fiumicino paese. Ma gli altri taxi non ci volevano andare e i taxi di Fiumicino non c'erano. Gli dissi che li avrei accompagnati io e che mi dicessero quanto di solito pagavano. Ci accordammo sui 25 euro, ma poi me ne lasciarono trenta, non dopo essersi lamentati della 'mafia' dei tassisti e noleggiatori dell'aeroporto che, secondo i miei due clienti, se ne approfittavano e non ricevevano bene i passeggeri. Erano gentili e semplici: lui italiano, che aveva deciso di stabilirsi a Fiumicino paese perché gli affitti erano meno cari di Roma, e lei brasiliana, ed avevano passato le feste in Brasile. Dopo dieci minuti ero di nuovo in aeroporto, ma prima feci una pausa al secondo piano da Mc Donald's, che era anche più caro del solito. Erano le tre del pomeriggio del 5 gennaio 2011.

Rio de Janeiro.


Da Barcellona a via del Banco di S. Spirito


Con i catalani e gli spagnoli siamo cugini e ci si intende. Così, per 30 euro, convinsi una coppia di Barcellona a farsi accompagnare in un appartamento affittato sempre su internet in via del Banco di S. Spirito, proprio dietro piazza Navona. Erano arrivati poco prima con un volo low cost della Easy Jet al terminal 2 di Fiumicino e sarebbero ripartiti il mercoledì successivo da Ciampino. Prima di lasciarsi ci prendemmo un caffé insieme. Dopo una settimana mi richiamarono e li riaccompagnai a Ciampino. Eravamo diventati amici e mi lasciarono anche le cose che gli erano rimaste in frigo che, dissero, preferivano dare a me piuttosto che a chi gli aveva affittato un appartamento così sporco.

Barcelona.


Dal New Jersey con sospetto


Li avevo convinti a non prendere il treno e a venire con me per 30 euro. Due giovani americani del New Jersey, lui robusto con capelli tipo marines e lei mulatta e minuta. Vennero dietro di me per centinaia di metri con valigie pesantissime, laddove tenevo la macchina. Andavano in un albergo di via Artemide, in remota periferia anche se non ebbi tempo di constatarlo. Eravamo già partiti quando, dopo avergli chiesto il numero dell'albergo per avere l'ubicazione esatta, lui si insospettì di qualcosa e pretese di scendere in mezzo alla strada con fare aggressivo. Gli chiesi perché ma non volle sentire ragioni. Mi disse che mi avrebbe comunque dato dieci euro per lo scomodo, ma me ne diede solo cinque. Ci rimasi un po' male, ma capii che forse avevo sbagliato qualcosa e si erano messi paura.

New Jersey.


Da Sao Paulo a via Labicana per restaurare

L'avevo vista passare con il trolley e dei bagagli pesantissimi mezz'ora prima e non aveva risposto al mio adescamento. A prima vista era bruttina ed insignificante. Quando gli chiesi per la seconda volta se voleva un taxi mi disse subito di sì, stanca dell'aereo e del tentativo non riuscito di prendere un treno troppo distante e scomodo. Gli dissi di aspettarmi e lo fece senza condizioni contrattando una corsa per 35 euro. Doveva proprio essere stravolta dal viaggio. A sentirla parlare sembrava italiana con una lieve inflessione portoghese, invece era di Sao Paulo e tornava a Roma per specializzarsi in restauro dopo che si era laureata in via Giulia in architettura. La lascia in uno splendido palazzo di via Labicana dove era ospite, mi disse.

Sao Paulo.


Da Little Rock, nell'Arkansas dei Clinton, nell'Urbe per festeggiare i 5 anni di matrimonio


Sono venuti in Italia per festeggiare i loro primi 5 anni di matrimonio. Da Little Rock, dall'Arkansas dei Clinton, lui nelle assicurazioni e lei non ricordo più, fino all'hotel 'Diana' a Termini. Giovani ed entusiasti, mi tirano anche una foto. Speriamo di noin apparire in qualche giornale Usa. "Forse qui concepirete il vostro primo figlio", gli auguro. Mi sorridono... .

Little Rock.


Il cuoco olandese in un ristorante italiano

"Ma è un taxi regolare", mi dicono prima di accettare di salire sulla mia vecchia auto. Li rassicuro. Vanno al residence 'Domiziano', in via San Nicola di Tolentino, proprio accanto a piazza Barberini. Gli racconto dei mei viaggi in Olanda 35 anni fa, degli 'sleep inn', della simpatia olandese, dei 'goulden' che scambiavamo con le 50 lire, perché avevano la stessa czratura ma ne valevano 250. Lui, un bel ragazzo giovane con la sua ragazza, mi racconta che vive a sud di Amsterdam, in una piccola cittadina di cui non afferro il nome, e fa il cuoco in un ristorante italiano, 'Il Delicato', e conosce diversi piatti made in Italy. Dice che il ristorante è sempre pieno e anche lui apprezzo i pasti che prepara: lasagne, cannelloni, con parmigiano o 'aglio, olio e peperoncino', e anche tartufo, mi dice in italiano. Mi richiamano due giorni dopo mentre ero alla finale con la Lazio del mio secondo figlio Roberto, al torneo esordienti di Tor Bella Monaca, per le 13.30 ritorno all'aeroporto. Accetto. "Siamo stati bene, anche se in ristorante abbiamo chiesto gli gnocchi per mia moglie; ci hanno detto che c'erano, ci siamo seduti e poi non c'erano. Dovrò prepararglieli io quando torniamo a casa in Olanda. Domani rinizio a lavorare e devo lasciare l'Italia con questa splendida giornata di sole a 19 gradi di temperatura. Era la domenica del 9 gennaio 2011.

Olanda.


Da Tunisi al panificio di Ciampino

"Sei un tassista abusivo?", mi chiede a bruciapelo un vecchietto malvestito alla terza uscita degli arrivi internazionali dove ormai stazionavo da qualche giorno sotto la vista di tutti. Ci accordiamo per 35 euro per accompagnarlo a Ciampino, al suo panificio dove lavora anche il figlio. Mi racconta della moglie siciliana che era nata a Tunisi, da dove veniva in visita ai parenti, che era deceduta nel 2000. Che lì si annoiava e se n'era venuto via. "Laggiù ora le cose non vanno bene, anche in Algeria. C'è stata una protesta per l'aumento del pane e della farina, mentre in Tunisia si sono ribellati dopo che un poliziotto aveva mandato via un venditore ambulante con un piccolo banchetto. Il venditore poi si è dato fuoco. Però Ben Alì, il presidente, è bravo e riesce a controllare la situazione. Ma lavoro non ce n'è e si guadagna poco, molto con il turismo". In realtà era successo che ad un ambulante tunisino i vigili per la quinta volta gli avevano sequestrato la merce. In Tunisia, ma succede anche qui in Italia, soprattutto a Roma sotto la guida del fascista Alemanno (era lui con Storace e La Russa che venivano a menare quelli di sinistra e viceversa, e ora si atteggiavano a grandi politici), impedendo di fatto a qualcuno di sopravvivere per se e la sua famiglia, costringendolo a delinquere, perché se fai l'ambulante è perché hai bisogno, se fai il tassista abusivo è perché devi mangiare. L'ambulante tunisino, prima della rivolta popolare, anzi lui stesso l'ha innescata, implora i vigili dicendo che non ha nient'altro, I vigili rifiutano e lui si cosparge di benzina il 17 dicembre 2010. Altri nella sua stessa condizione lo seguono e, se i vigili romani continuano ad essere così implacabili con i più deboli per mettere qualche lustrino sulla loro divisa, credo che prima o poi succederà anche da noi. Nessuno di noi due poteva immaginare che in Tunisia qualche giorno dopo ci sarebbe stata una rivolta popolare che caccerà Ben alì e la sua famiglia per sempre, né che la stessa cosa succederà in Algeria e nello Yemen. E, cosa ancor più impensabile, che l'Egitto di Mubarak sarebbe terminato in pochi giorni di rivolta organizzato via web e sulla piazza Tahir. Eventi storici che ridisegneranno la storia di quell'area e i rapporti con Israele, di cui l'Italia sembrava atona tanto era presa dalle infinite squallide storie di un tragicomico premier miliardario. Nessuno aveva previsto poi l'onda d'urto di migliaia di profughi che dal Nord Africa si sarebbe riversato sulla nostra Penisola. Ci lasciamo da buoni amici dopo avermi offerto un po' di pizza del suo panificio che io rifiuto ma che avrei mangiato volentieri. Sono sicuro che mi richiamerà quando gli riprenderà la volgla di ritornare dai parenti della moglie a Tunisi.

Tunisi.


Da Monterrey al Vicolo dei Modelli

Erano due giovani messicani di Monterrey, al Nord del Messico, vicino la frontiera Usa, laddove i narcotrafficanti la fanno da padrone. Lui sembrava più uno yankee, un 'gringo', ma quando glielo dissi mi pregò di non offenderlo. Lei sembrava una giovane mista india, aveva la febbre e il raffreddore. Rimanevano tre giorni in qualche luogo in Vicolo dei Modelli, in una delle stradine vicno a Fontana di Trevi. Lui parlava benissimo l'italaino e conosceva il calcio italiano. Gli parlo del mio viaggio in Messico di 30 anni fa, noleggiando una 'golf', sfondandola per vedere il più possibile. Ci lasciamo lasciandogli il mio telefono ed augurando alla 'nueva' una pronta guarigione.

Monterrey.


Le quattro sorelle di Sao Paulo


Per convincerle accettai di portarle a Termini per 30 euro. Erano quattro sorelle di Sao Paulo, in Brasile, o meglio tre sorelle ed una cognata. Le lasciai in una pensioncina di via Vicenza, accanto alla stazione Termini. La maggiore, che sedeva accanto a me, mi raccontò che lavorava in una ditta di spedizioni come impiegata, che i loro mariti erano rimasti in Brasile e che erano contente della loro nuova presidentessa che si era insediata dopo Lula, ottimo leader, il primo gennaio del 2011.

Sao Paulo.


'Honey and love' dall'Albania a Philadelfia, via Palestro

Si abbracciavano nell'androne dell'aeroporto come due piccioncini innamorati. Lui doveva pesare almeno 170 chili e lei era un po' attempata e si vedeva che un po' ci marciava con il suo nuovo piccioncino. Poi mi raccontò che cercava un visto per gli Usa perché era un'insegnante albanese, a dir il vero anche un po' bruttina, con un nasetto adunco e chili di trucco, da vecchia mestierante. Ma forse mi sbagliavo. Si chiamavano reciprocamente 'honey (miele)' e si abbracciavano in continuazione. Venivano da vicino Philadelfia e sembravano stravolti. Lui accettò tranquillo un passaggio per 40 euro, come gli avevano detto alle informazioni, ma io gliene avevo chiesto 50 e lui alla fine me le dette. Ci fermammo al Colosseo e mi chiesero di fargli le foto con vista. Lui era contento di avere lei e lei un po' meno. Li portai in un albergo in via Palestro, proprio vicino all'ambasciata britannica. Volle il mio numero ma non mi richiamò.

Usa.


Dalla Zambia a Mostacciano

Solito volo Ethiopian Airlines delle 5 del mattino. Alle 5.30 riesco ad imbarcare un cittadino dello Zambia che abita a Mostacciano e lavora per le Nazioni Unite come contabile. Gli racconto della mia esperienza in Costa d'Avorio ma non sembra molto interessato. E' a Roma da un anno e non sembra parlare bene l'italiano.

Zambia.


Il pizzaiolo da Berlino a Frosinone

Non gli avresti dato nessun credito, ma dopo quattro ore passate in piedi nell'androne dell'aeroporto a chiedere chi voleva un passaggio su un taxi abusivo, proprio vicino ad un farlocco ufficio informazioni che fa orario d'ufficio in un aeroporto internazionale senza orari e che consiglia a tutti di non prendere taxi abusivi, si ascolta tutti. Anelli da tutte le parti, faccia da boxer e di chi ne ha viste di cotte e di crude, 44 anni, tre figli e due mogli di cui l'ultima russa, il ragazzo lavora a Berlino in un ristorante italiano alla moda come pizzaiolo. Vuole prendere il treno per andare a trovare il fratello che sta male a Frosinone, dove ha tutta la sua famiglia. Per 60 euro partiamo e dopo 50 minuti siamo là. Me ne dà 70 e, senza smettere mai di parlare, mi racconta tutta la sua vita, di come ha sofferto da piccolo restando senza genitori, dei suoi figli, di quanto guadagna (2700 euro al mese), di quanto si soffra in Italia senza lavoro. Dice che gli ho fatto simpatia. Lo lascio alla stazione di Frosinone.

Berlino.


Da Bari al Mar Rosso

Una simpatica famiglia di Bari, marito e moglie quarantenni e due figlie teen ager, se ne tornano a casa dopo una settimana di crociera sul Mar Rosso. Li accompagno alla stazione Termini per 40 euro e chiudo la giornata del 13 gennaio 2011. "Dopo le feste di spende meno", mi dice lui prima di prendere il 'Freccia Rossa' che in tre ore li porterà a Bari.

Mar Rosso.


Da Mahe a Reggio Emilia

Se ne tornano a Reggio Emilia dopo il Capodanno alle Seycelles da amici. Vittorio non lo conoscono. Lei, come una delle ragazze che mi sarebbero sempre piaciute, insegna all'emiliano liceo artistico.

Seycelles.


Da Melbourne al Pitti

Viene dall'Australia e va al Pitti di Firenze per vedere qualche abito da piazzare in Australia. Lo accompagno a Termini.

Melbourne.


Dalla Sicilia a fare il militare a Cesano

Sono militari a Cesano, dalla Sicilia, con il padre cinquantenne precario di uno di loro.

Enna.


Dal New Jersey per fare business a Roma

Lo accompagno per 30 euro al 'Comfort Inn' di Fiumicino, con tutta la chitarra, anche se viene a fare business alla scuola americana a Roma per 5 mesi, con la fidanzata che arriva l'indomani.

New Jersey.


Dall'Australia col finto surf

Lo accompagno a piazza dei Cinquecento con un finto surf pieno di vestiti. E' un insegnate di geografia australiano e se ne va in giro da solo.

Australia.


Da Damasco a Termini

Ziad e la sua compagna armaneggiavano ai telefoni fissi degli arrivi internazionali, come molti altri, senza riuscire a chiamare nessuno. Gli offro il mio vecchio cellulare e dopo una mezzoretta riusciamo a trovare una camera in via Principe Amedeo. Lui lavoro alla Syrian Airlines e ha i biglieti free. Mi dice che sono l'unico italiano simoatico che ha conosciuto.

Damasco.


Dalla Polonia, via Sidney, a Ciampino

Sembravamo vecchi amici, avevamo la stessa età di 55 anni, avevamo smesso di fumare, giocavamo a volley ball come alzatori, ma lui si chiamava Richard ed era polacco, io Antonio ed ero italiano, o meglio cittadino del mondo. L'ho lasciato a Ciampino dopo 4 mesi in Australia, per separarsi dalla sua realtà... .

Cracovia.


Dal Ghana a Massa e da El Paso a Potenza

Doppia imbarcata per 15 euro per la stazione Termini, dopo che la ragazza ghanese che mi aveva implorato di prenderla per 20 euro mi aveva trovato essa stessa un altro clientge mentre andavo a prendere l'auto. Un vecchietto, emigrante italiano in Texas, a El Paso, che dopo aver fatto il militare nel Laos ai tempi del Vietnam, ora prendeva due pensioni e girava un po' il mondo. Lei invece andava a Massa dai suoi genitori per studiare alle Superiori.

Takoradi.

El Paso.


Da Mosca tv all'hotel Barberini

Bellocci, i nuovi moscoviti ricchi ed intelligenti, passano i loro week-end in giro per l'Europa. Lui lavora per le tv, lei sembra una bella attrice. Andiamo all'hotel 'Barberini' in via Rasella 3, dopo aver parlato della nuova Russia, delle pochi informazioni e della poca trasparenza. Ma se non c'è Putin chi c'è?

Moscow.


Il businessman greco

Non faccio in tempo a rientrare in aerostazione che un apparente immigrato mi affitta per 30 euro, che poi diventeranno 40 perché dice che sono simpatico, per andare alla stazione centrale per prendere il treno per Ancona, per poi prendere la nave per la Grecia. Dice di essere un uomo di affari, che si è fatto da sè, che ha una fabbrica in Cina di detergenti, che esporta in tutto il mondo ed ha appena passato un anno in Australia. Forse ci risentiremo.

Athens.


Due matrone moldave a S. Lucia

Le due matrone moldave che fanno le badanti nella capitale italiana ed abitano a S. Lucia, tra Guidonia e Mentana, sono stanche e ci accordiamo per 50 euro. Vengono dalle loro famiglie dove da anni inviano soldi per i mariti e fanno studiare i loro figli. Dicono che i loro coniugi non le hanno nemmeno accompagnate all'aeroporto per non spendere i soldi del taxi e che, ormai, si sentono più a casa in Italia che in Moldavia. Parlano anche dell'ignoranza degli italiani che accudiscono, ma che ormai non ci fanno più caso e che comunque i napoletani sono simpatici. Ridono in continuazione ed abitano in una stradina della via Palombarese e lavorano in piazza Sempione. "Stavamo meglio prima, ai tempi del socialismo Urss, almeno tutti avevamo qualcosa e non c'erano tutte queste ingiustizie. Ora vanno avanti solo i più prepotenti", confessano.

Moldavia.


La giornalista catalana Erasmus a Macerata

Carina, alta, capelli lunghi, accetta suo malgrado un passaggio su una macchina non regolare, che ormai tutti i taxi e i noleggiatori con conducente guardano come il fumo negli occhi. Mi chiede di prendergli solo 25 euro perché non ha di più per la stazione Termini per prendere il treno per Macerata, dove fa l'ultimo mese di Erasmus dei cinque concessi senza ancora ricevere i soldi dallo Stato, dopo la laurea in giornalismo a Barcellona. Gli parlo delle scuole di inoccupati di giornalismo in Italiano, dove si sfornano professionisti raccomandati o da sfruttare negli stage, ma lascio nascosta la mia tessera di giornalista professionista, ottenuta nel 94 dopo il mio praticantato sul campo al 'Messaggero' di Roma e l'esame all'Ordine dei giornalisti, che tengo in tasca. La scoraggio dal fare la giornalista, almeno in Italia dove ha un aggancio con Teleroma, dove magari la strada per far carriera è quella di passare nel letto del nostro primo ministro o dei suoi lacché. di cui lei non capisce come possiamo ancora sopportarli dopo che l'Italia è alla berlina in tutto il mondo. Non gli dico quale dovrebbe essere la mia vera professione per non spengere agli inizi quel poco di entusiasmo che i giovani conservano. Mi racconta che l'Erasmus l'ha delusa perché si impara poco, che la sede di Macerata non le piace perché la città è troppo calma e la sera non c'è niente. Poi me ne torno a Fiumicino.

Spagna.


In gita di nozze da Agrigento a Bora Bora

Sono giovani e come al solito armaneggiano intorno al telefono dell'aerostazione che non funziona. Gli presto il mio telefono per sapere se lo shuttle del loro hotel verrà a prenderli. Non lo farà perché esegue il servizio solo il pomeriggio (????) così mi guadagno una facile corsa all'Isola Sacra di Fiumicino, appena due chilometri fuori dall'aeroporto, per 20 euro, all'hotel 'Isola sacra' in via della Scafa 191. Sono una giovane coppia di Agrigento, carini e simpatici, in ritorno dal viaggio di nozze a Bora Bora e nella Polenesia. Rimangono una notte e poi via in Sicilia per la nuova famiglia.

Bora Bora.


Da Lagos alla Borghesiana

Lo fermo al volo alla fermata dei bus pieno di contenitori imballati con lo scocth. Dopo cinque ore passate in piedi accetto di portarlo per 25 euro alla Borghesiana, dove ha un negozio per prodotti africani, anche se gli affari non vanno più come una volta. Mi chiede se ho una 'Mercedes' da spedire in Nigeria e poi mi spiega che ci sono un sacco di nigeriani che vanno e vengono da Lagos portandosi direttamente il loro business nelle valigie e che il volo che utilizzano di più è quello che passa per Tripoli.

Nigeria.


Dall'Havana allo Sferisterio di Macerata


Il gigolò, stravolto dal volo L'Havana-Madrid-Roma, accetta di venire con me alle 6.30 di sera per 35 euro. E' cubano e fa il barista a Macerata, dove è sposato con un'italiana da cui ha avuto anche una bambina. E' giovane e belloccio e mi racconta quasi tutta la sua vita. Come sia arrivato a Macerata con un gruppo di ballerini cubani per degli spettacoli sulla costiera riminese, di come sia rimasto e poi sia sposato. E' andato a trovare la mamma e i fratelli per Capodanno a Cuba, per ritrovare i suoi odori e sapori, anche se un giorno si trovano i pomodori e un altro patate. Fa il barista nel bar centrale dello Sferisterio, fino alle due di notte, e giura che potrebbe conoscere la giornalista spagnola che ho accompagnato la mattina perché Macerata è piena di spagnole Erasmus. Lo lascio a Castro Pretorio per la corsa del pullman per Macerata delle nove e un quarto, con biglietti al solito bar mezzo spento.

Cuba.


Dal Kenia all'Eur

Entrambi assonnati ci accordiamo per 40 dollari per andare a via del Marcellino 2, all'hotel 'Villaggio Eur', di cui non conosco l'esistenza. Lo troviamo dopo mezz'ora alla Laurentina, vicino alla stazione metro. Lui viene da Nairobi con l'Ethiopian Airlines e non riesco a capire cosa faccia a Roma per una settimana. Nel cambio dei dollari ci perdo e guadagno solo 25 euro, ma ci lasciamo amichevolmente.

Nairobi.


Da Sacramento al 'Marriott' di via Veneto Lui è il terzo costruttore e venditore di piscine dedgli Usa. Vive con la moglie, che l'accompagna, a Sacramento, in California, ed è l'ennesima volta che viene in Italia. Li accompagno per 30 euro, poi lui me ne darà 40, al 'Marriott' di via Veneto. Mi racconta della crisi americana, del fallimento di Obama, troppo socialista ed attento al welfare, mi chiede delle donne di Berlusconi, mi parla delle piscine che mercanteggia e che vende sempre meno perché le banche non fanno prestiti a chi dovrebbe acquistarle e che il miglior ristorante di Roma è 'Il peperone' vicino via Veneto, dietro l'ambasciata Usa. Gli dico di buttare le guide e gli fornisco degli indirizzi di buoni ristoranti, sempre gli stessi, precisandogli che io non ci guadagno niente a consigliarglieli. Poi gli lascio il mio numero per andare a Tivoli e ai Castelli Romani. Quando la mia bianca sgangherata 'Fiat Tempra' fa il suo ingresso nella hall del 'Marriott' ci facciamo tutti e tre una ricca risata.

Sacramento.


Il dottore vip di Addis Abeba

Va al Parco dei Principi il dottore delle malattie infettive di Addis Abeba, per una conferenza, e poi via verso Ginevra. Certo non sembra un morto di fame.

Etiopia.


Da Dar er Salam a Fano


Lei e il compagno cinese hanno fatto il volontariato presso le suore di Madre Teresa a Dar el Saalam, in Tanzania. Ora tornano al lavoro a Fano. Sono entusiasti del loro soggiorno africano.

Dar er Saalam.


Da Torino a Castel di Leva

Lei va in via Alessandro Grandissier, a Castel di Leva, provenienza Torino. E' strana, giovane e sembra nascondere qualcosa.

Torino.


Dal Brasile ad Ostia Antica

Le due vecchiette e la giovane nuora dovevano andare ad Ostia Antica. Ce le portai per 30 euro e l'indomani ci fu un nuovo rendez-vous. Non prima che la giovane mi facesse una testa come un pallone con la sua vocazione evangelica che praticava insieme al marito a Londra, dove vivevano. Credo che alcune persone farebbero bene a starsene a casa.

Rio de Janeiro.


Da Pointe Noire a Trieste

Era contento di lavorare sulle navi equipment Saipem a Point Noire, nel Congo Brazzaville, il triestino che accompagnai a Termini. Guadagnava tremila euro al mese, per due mesi di lavoro e uno di vacanza, tutto pagato, e si era già comprato casa e presto si sarebbe sposato. "Gli africani? Degli animali", mi disse in un misto italo-slavo. Non gli disse della mia amica di Brazzaville Corinne, che abitava in una lussuosa villa a San Lorenzo, vicino al mare, dopo che aveva sposato un italiano che lavorava all'Agip.

Pointe Noire.


Da Noci, Bari, a Marsiglia a prendere un camion


Viaggiava in giro per l'Europa per recuperare camion per la sua ditta di Noci, vicino Bari, e poi rivenderli. Lo accompagnai da Fiumicino a Ciampino quando l'ultima salma del militare ucciso in Afghanistan tornava da Herat e l'aerostazione castellana era piena di polizia. "Berlusconi mi sta bene. D'Alema è corrotto", mi disse sciorinando la sua filosofia della vita il cinquantenne barese, che di certo non corrispondeva alla mia, dopo che avevamo abbandonato il raccordo intasato per la scorciatoia di via di Fioranello, che avevo scoperto sbucava, dall'Ardeatina, proprio davanti all'aeroporto di Ciampino, dove sostavo il tempo necessario a sbarcare il cliente, dopo averlo istruito a dire che doveva dire che era un mio amico nel caso ci fosse stato un controllo.

Noci.


Da Messina per vedere il set del 'Grande Fratello'

Avevano qualche ora di transito prima di imbarcarsi per la Romania. Lui, il piccolo 'mafioso' di Messina, con la belle navigata bionda rumena. Mi chiesero se potevo portarli a Cinecittà a fare qualche foto sul set del 'Grande Fratello'. Ci arrivammo dopo aver girato per intero il raccordo bloccato e non videro nulla. Mi guadagnai 50 euro sorbendomi lezioni di mafia e di illegalità.

Messina.


Dalla Thailandia a Firenze con il popolo viola

Una splendida famiglia di Firenze, marito, moglie e due figliole, venivano da 20 giorni nelle isole della Thailandia e se ne tornavano a Firenze.

Nord Thailandia.


Dal villaggio vacanze di Zanzibar a Bologna

Sono anziani, non hanno figli e hanno deciso di aprire un villaggio vacanze a Zanzibar, l'isola della Tanzania. "Vivono come tanti anni fa", dice la vecchia signora prima di imbarcarsi sul treno per Bologna la mattina presto.

Zanzibar.


Da Zurigo all'Aurelio

Si lamenta la giovane esperta di informatica. Da Albano, dove aveva il fidanzato bamboccione avvocato poi diventato ufficiale dei carabinieri, se ne andata a Zurigo dove l'ha perduto per la lontananza. Ora vuole tornare a Roma e l'accompagno per un colloquio all'Aurelio.

Zurigo.


Il giovane gioielliere napoletano che torna da Bahia

Da tempo ha deciso di passare almeno quattro mesi l'anno in Brasile. Lui è un gioielliere napoletano ex sposato con figlio, grande scopatore a suo dire, soprattutto di brasiliane che sanno resistergli anche 12 ore e mezzo di fila. "A Berlino me ne sono fatte 35 in tre giorni", dice.

Bahia.


Da Braza al Canada, via Dubai


Ride a tutte ganasce, come solo sanno ridere gli africani. Vuole fare business dopo che è tornato a Congo Brazza perché si è lasciato con la moglie ed ha due figlie grandi, di cui una miss, in Canada. Lo lascio alla fermata dei bus alla Tiburtina, dove raggiungerà la sorella a Perugia per comprare dei vestiti da vendere in Africa, dopo averlo raccolto appena arrivato alle 5.30 di sabato 22 gennaio 2011 dal volo di Addis Abeba. "Forse faremo business insieme", dice lui chiedendomi il mio indirizzo.

Brazza.


Da Casablanca a Pescara


Il loro incubo diventa il mio. Su consiglio di un amico marocchino sono partiti da Pescara in auto per raggiungere Casablanca, in Marocco, per aprire un ristorante. Un buco nel'acqua, per una settimana estenuante con poche ore di sonno sulle spalle, fino al deserto alle porte della Mauritania. Li porto a Pescara sotto una bufera di neve per 200 euro, di cui 160 le spendo per il gas, l'autostrada e le catene. Lui, 23enne, dice di essere un ricco imprenditore di Pescara ed ha anche un ristorante al porto. L'altro lo ha accompagnato per 1.100 euro ma non ne aveva nessuna voglia.

Morocco.


Da Bari e l'Elba per il safari keniota

Sono straniti dal viaggio da Mombasa e li porto a Termini. Due sono dell'Elba, e parliamo di Gorgona, altri due di Bari. Sembrano stravolti dalla gita africana.

Mombasa.


Da Sharm a Marino

Il 24 gennaio 2011 segna una svolta nella mia nuova attività di tassista abusivo, giornalista e scrittore. Mi accorgo di non essere un mestierante, ma di avere l'anima dell'angelo custode, che cerca di risolvere i problemi della variegata umanità che incontro. Purtroppo, appena me ne rendo conto, la mia attività ha un brusco stop perché mi sequestrano l'auto con cui giravo senza alcun documento e sotto sequestro per ben due volte. La mattina alle 7 incontro una coppia di Marino, ai Castelli Romani, dove li accompagno appena scesi da un volo da Sharm El Sheick mezzo vuoto. Sono simpatici e mi puliscono in continuazione il vetro inumidito dal freddo a 2 gradi.

Sharm el Scheik.



Dall'Honduras a Belgrado per fare il calciatore

La mia vocazione di angelo custode si evidenzia con Luis Lopez, un simpatico ragazzo di 23 anni dell'Honduras che mi si materializza un lunedì alle 9.30 del mattino. Deve andare, dopo un volo Tegugicalpa-Miami-Roma, all'ambasciata serba per il visto per Belgrado dove gli faranno un contratto come calciatore di serie B a mille euro al mese. Anche se lui in Honduras milita in serie A, ha fatto le ultime Olimpiadi di calcio in Cina con la sua nazionale e gli piacerebbe tanto venire a giocare in Italia nel suo ruolo di attaccante. Mi fa vedere le foto a Pechino con Casiraghi, ex ct della Nazionale italiana ed altri calciatori. Poi mi elenca tutti i giocatori sudamericani in Italia, soprattuttto l'onduregno Suazo. Arriviamo in via dei Monti Parioli 20 alle 10.15, dopo aver concordato un giro per Roma e ritorno aeroporto per l'una, visto che il volo con già il check-inn pronto per il volo Alitalia per Belgrado è alle 15.25, per 70 euro. Lui dice che il visto glielo faranno subito perché il presidente della squadra dove andrà è un ministro serbo ed ha già contattato il consolato a Roma. Alle 11.45 esce dall'ambasciata sconsolato. L'impiegato non crede a niente di quello che lui dice e non sa cosa fare. Bisogna trovare una soluzione al più presto. Con il mio cellulare (lui non ha la carta sim per l'Italia) inviamo un messaggio al suo procuratore in Serbia. Questo ci richiama e lo facciamo parlare con l'impiegato. Niente da fare. Il cocciuto ed antipatico burocrate non crede a niente, nemmeno a chi lo minaccia per telefono che lo farà chiamare dal ministro. Parlano solo serbo e un po' di inglese. Intervengo io e riesco a parlare con un suo superiore in italiano. Questi prende i documenti di Luis, si informa, il ministro telefona e il visa esce fuori. Alle 14.30 siamo all'aeroporto dopo aver visto anche il Vaticano. Luis non sa come ringraziarmi e mi lascia 90 euro e chiede il mio numero di telefono.

Tegucigalpa.


Da Caracas in Abruzzo Lui ha i capelli lunghi legati dietro la nuca e un labbro sanguinante; lei è carina. Entrambi frikkettoni, come si diceva una volta. Dicono di essere di un piccolo paesino vicino San Bendetto del Tronto, ma che studiano a Bologna, lui Ingegneria e lei Lettere. Hanno passato un mese a Caracas, compreso Natale e Capodanno. Volevano prendere il treno per un 'bed & breakfeast' in via di Porta Maggiore 23, ma li convinco a salire con me per 30 euro, lo stesso prezzo del treno, tanto è la mia ultima corsa e poi me ne torno a casa. I noleggiatori con conducente ormai mi guardano in cagnesco e io gli passo davanti apposta prima di prendere la scala mobile per le partenze internazionali, terminal '3', dove ho parcheggiato la mia auto. Dopo saprò che a Mosca un kamikaze si è fatto esplodere all'aeroporto internazionale e ci sono decine di morti. Potrebbe succedere facilmente anche a Roma. I controlli sono ridicoli e il giorno dopo non c'è nessun intervento in più.

Caracas.


Da Mahe a Grottaferrata

Dalle Seycelles in via Roma a Grottaferrata, il paese residenziale dei Castelli Romani. Da 35 gradi a zero. Una coppia tranquilla che ritorna da una settimana a Mahe dove "hanno trovato gente semplice e accogliente, che potrebbe vivere senza lavorare perché fa sempre caldo, sugli alberi ci sono ogni genere di frutto e nel mare pieno di pesci che si fanno prendere". Anche a loro non raccontai di quando abitavo a Squarciarelli, in via Quattrucci, e ci vedevamo tutti da Katia alla sua lavanderia, ora diventata cartoleria. Li ho sognati l'8 febbraio 2011 e stavamo ancora tutti insieme a divertirci come allora.

Seycelles.


Dalla Sardegna per combattere il 'Lupus'

Lui è un forestale sei mesi l'anno (gli altri 6 mesi è in cassa integrazione) e a tempo perso faceva il taxi abusivo. Mi chiama collega e mi propone tre giri per 80 euro. La moglie e la figlia sono malati di una strana malattia, il 'Lupus', che mette le cellule bianche contro le cellule rosse. Prima li porto dalla sorella di un noto specialista della malattia, il professor Galeazzi, in via di Villa Pamphili a Monteverde. Li vado a riprendere alle 16 e li porto allo studio del medico in via della Consolata, dove pagheranno 250 euro per una nuova terapia da fare a casa per tenere la malattia sotto controllo. Alle 19 siamo di nuovo in aeroporto, al terminal '2' di Meridiana.

Tempio Pausania.


Da Siracusa al Trionfale

L'ultimo cliente con la mia 'Fiat Tempra' bianca station wagon 1600, confiscata e trascinata chiusa con il carro attrezzi al deposito di Focene, che sicuramente non vedrò dopo il 26 gennaio 2011, sono stati una coppia di Siracusa, elettricista lui e parrucchiera lei, con alluce da operare al Poliambulatorio di piazza delle Medaglie d'oro 20, a 35 euro. "Ma attenzione, mi avverte lei dopo che gli ho detto della signora sarda con il 'lupus', la malattia è infettiva". Quando mi richiamano qualche ora dopo per andarli a prendere a piazza della Balduina la mia vecchia auto è ormai perduta, mentre io me ne torno sul treno Fiumicino-Roma, a 14 euro. Dovrò trovare un'altra auto.

Siracusa.



ON THE ROAD AGAIN


Piazza Navona

Quella mattina dell'otto febbraio 2011 era una splendida giornata di sole e piazza Navona mi sembrava più bella del solito. Mi ricordava quando bambino uscivo in fila per due dal collegio per orfani di S. Maria in Aquiro, nella vicina piazza Capranica, e ce ne andavamo a giocare sulla piazza o a vedere le bancarelle della Befana. In quel maledetto collegio c'ero stato quasi sei anni, quattro delle elementari e due delle medie, prima di andare nello Zaire con la mia pazza madre. Alle elementari andavamo al 'Gianturco', proprio dietro al Pantheon e vicno al caffé 'S.Eustachio', mentre le medie le feci al cosiddetto 'ghetto' degli ebrei: traversavamo piazza della Minerva, Largo Argentina e la fontana delle Tartarughe. Di quegli anni ho solo sprazzi di ricordi. La morte di Kennedy, di Papa Pacelli, le carote lesse che mi obbligavano a mangiare e che non avrei più mangiato in vita mia, quel prete che mi tocca nelle parti intime. Il tempo scandito dagli orari del primo minstro, padre Pettoruto: scuola, refettorio, ricreazione, due ore studio, ricreazione, cena. Sotto gli occhi dei 'prefetti', degli universitari che ci controllavano pagandosi così vitto ed alloggio. E poi le punizioni in ginocchio davanti ai termosifoni, il caffellatte con il bromuro la mattina, l'incenso, i vecchi libri, le camerate, le poche visite di mia madre e mia nonna. Ma eravamo in due, io e mio fratello Francesco, che a 23 anni si era suicidato. "Azzurro", la canzone di Celentano, descrive bene quelle giornate.









Ma mi ricordava anche le mie passeggiate senza far niente sulla piazza e dintorni da adolescente fino ai 35 anni, il sedermi ai bar sulla piazza a leggermi i giornali, la pizza calda di un panificio che non c'è più nella vicino alla biblioteca dell'Orologio, dove avevo comprato i miei libri di aeronautica pre prendere il brevetto di pilota all'aeroporto militare di Viterbo, le serate di satsang alla sala dell'ambasciata del Brasile al palazzo Doria Pamphili, le cene a casa del mio cugino disperso dietro il S. Raphael, scenario delle monetine tirate in faccia a Bettino Craxi prima che morisse latitante ad Hammamet, in Tunisia, i quadretti di sabbia e acqua con il mia amico iraniano e Zanasi per tirare avanti nei momenti di magra, avvicendati con i grandi lavori, e tante altre cose... .









I miei sogni e i miei ricordi non avevano fatto i conti con ben cinquant'anni passati, come mi resi conto il giorno dopo molto deluso: la piazza e i suoi splendidi vicoli era ormai un suk spillaturisti, a cui davano quello che chiedevano le loro stupide guide a prezzi astronomici (pizza, pasta e mandolini), senza un cuore, con i ristoranti e i bar in mano a dei personaggi che sembravano più dei mafiosi che dei normali esercenti romani. Guardavo 'I tre scalini' e inorridivo, vedevo camerieri ammiccare sulla strada, pittori imborghesiti attenti a non perdere il colpo con i loro quadri fatti in serie. Una piazza snaturata e ancora bellissima per stupidi montoni turisti. Tutto era ormai irrigidito in regole ripetitive, la spontaneità della piazza era lasciata a qualche musicante e personaggi fissati nel nulla. Intorno, baretti, pizzerie e ristoranti acchiappaturisti nei quali nessun vero romano avrebbe mai messo piede. Ogni tanto passavamo patetici hippies diventati vecchi. Che tristezza?!? E mentre la zingara che chiede l'elemosina vuole le mie noccioline che ho rubato al tavolo del caffè del museo, il marito fa l'uomo senza testa sotto il lampione tra gli occhi divertiti di decine di studenti.









Vago per i bar del centro in cerca di sbafare qualche panino, in tasca nemmeno un centesimo; poi disperato vado a vedere se c'è qualche novità al bancomat e ritorno giornalista: la mia cassa di previdenza mi versa 12 mila euro di arretrati e io quasi svengo alle poste di San Silvestro. Improvvisato venditore di cianfrusaglie in attesa di una nuova auto, la prima tappa sulle orme dei turisti accompagnati dall'aeroporto ai rispettivi alberghi, ora riguardava il loro trascorrere il tempo di vacanza nella capitale. Il primo giorno, l'8 febbraio 2011, l'angelo custode si avventura in piazza Navona, apre il suo banchetto, con tre coltelli indonesiani, qualche statuetta egizia, tre pipe (non 'pippe' come mi chiedeva lo strimpellatore di chitarra) e qualche altro improvvisato souvenir.









A Roma è pieno di turisti, così come sulla piazza, ed arrivano dalle 10 in poi: tanti giapponesi, americani, nostrani e quant'altro. Di fronte alla mia panchina di pietra, proprio accanto alla prima fontana di fronte alla sede dell'ambasciata del Brasile, dove ho aperto la mia vecchia 24 ore con le mie cianfrusaglie, regalatami dala mia deseparicida madre ereditiera, suona una stupenda orchestrina di attempati bravissimi suonatori, forse rom o gitani, forse rumeni, chissà: un contrabbasso sfiorato da un sessantenne, un sassofono da un settantenne, una chitarra ed una fisarmonica da due più giovani. Eseguono dei brani classici con maestria, attendendo che qualcuno lasci qualcosa nel cestino che hanno di fronte alla loro postazione. Io li farei suonare con un orchestra tanto sono bravi e spontanei. Il suonatore di contrabbasso viene a curiosare nella mia valigetta, prima che arrivi il mio primo cliente, un cinquantenne inglese ben portante che mi compra due statuette egiziane per dieci euro, cinque per ciascun oggetto (un ippopotamo e un dio anubi, trovate nell'appartamento che avevo affittato a Montecompatri ad un certo Alberto, che stava con una rumena che era sparita con tutti i suoi soldi, che mi doveva dieci mesi di affitto e che era sparito anche lui lasciandomi tutte le sue cose; anche perché in Egitto io non c'ero mai stato in vita mia). Veramente l'inglese, che scattava delle foto alle statue ed aveva diverse banconote attorcigliate nella tasca, voleva solo l'ippopotamo, ma non avendo il resto perché da una settimana non avevo nemmeno un euro in tasca ed in casa si andava avanti con i soldi rimediati qua e là non si sa bene come, gli proposi di prendere un'altra cosa. Poi fu la volta della bimbetta bionda che volle un cagnolino argentato per 5 euro e di un altro turista che mi comprò un coltello a serramanico per 10 in mezzo ai pittori che, anche loro legalizzati, mi guardavano in cagnesco. Così avremmo potuto festeggiare il compleanno del mio secondo figlio, con un dolcetto, una bibita e uno spumantino, dopo che avevo trovato un bello 'swatch iron' che avevo riciclato come regalo. In attesa di buone nuove sul fronte giornalistico: forse un articolo per 'L'Espresso' e una vecchia disoccupazione, che la mia previdenza giornalistica forse mi avrebbe versato dopo che avevo vinto una causa di cui non avevo visto un centesimo e della quale il reintegro come caposervizio era rimasto scritto solo sul foglio del giudice. Ogni tanto passava qualche splendida fanciulla, come quella meticcia che aveva uno splendido sedere, i soliti vigili, la finanza e quelli delle informazioni turistiche. Possibile che ormai nel mondo non ci fosse più niente che si potesse fare in maniera spontanea perché ritenuta abusiva. Avevo comunque iniziato un nuovo lavoro, quello del venditore ambulante improvvisato ed avevo intessuto un primo rapporto con quei turisti che dall'aeroporto accompagnavo nei vari hotel romani. Almeno fino a quando non avessi finito di vendere suppelletili che trovavo in casa. Domenica sarei andato a Porta Portese anche con qualche quadro. Altre idee mi frullavano per la mente man a mano che mi mischiavo con il mondo. Mi chiedevo anche se fosse stato possibile ritornare ad un mondo più spontaneo, senza tante regole, senza semafori, senza controlli, senza carabinieri...sì ora in giro c'erano troppe persone che non facevano altro che controllare assessivamente gli altri. Eppoi questo lavorare che dicevanod ava dignità a me sembrava sminuirmi e, se mi incoraggiva, era perché così mi sentivo come gli altri, vittima del quotidiano bisogno di mangiare e coprirsi. E c'era chi aveva preso alla lettera l'articole '41' della Costituzione italiana per farsi i propri sporchi affari aiutato dai migliori avvocati e commercialisti: "Tutto è consentito tranne ciò che è espressamente vietato". Per non parlare di un mondo multietnico, che era possibile solo con regole condivise e rispettate. Passa Ochetto, quello della svolta dal Pci al Pds, che poi era scomparso. Passa il rospo, con la moglie che trafficava in Costarica. Ma c'è anche la bella Irina, lituana con la fisarmonica, che viene a suonare mazurke e valzer davanti al ristorante 'Domiziano', alzando anche 100 euro in due ore, mentre io passavo intere giornate per guadagnarne 5.


Vista sul Colosseo

Quando arrivai in via dei Fori Imperiali per vendere un orologio a padella allo scontrista dei souvenir e un cagnolino argentato per un totale di 15 euro, non potei non ricordarmi le lunghe passeggiate che dal vicolo dei Chiodaroli, dove abitavo all'età di 16 ani vicino a Campo dei Fiori, al liceo scientifico 'Cavour', proprio sopra il Colosseo, dove avevo frequantato la per me mitica quinta A, solo maschi doc, con i quali ancora dopo 40 anni eravamo in contatto. Quando arrivai verso le 9 mi stupii che gli scontristi stessero piazzati proprio sotto l'immagini delle conquiste romane, ma si sa a Roma e in Italia i legalizzati fanno le cose legali, chi ha un contratto a tempo indeterminato non lavora e via cantando. "Attento che qui i vigili ti portano dentro con questi coltelli, mi disse il vecchio scontrista mentre mi prendeva l'orologio del falso nonno, ma tu fai sempre finta di non guardarli". Anche via Cavour, dove passavo tutte le mattine era diventa un'acchiappaturisti, non c'era più l'alimentari dell'amorfo Braguglia, tutto costava caro e faceva schifo. Ma i turisti ingurgitavano tutto pagando. Probabilmente noi all'estero facevamo esattamente la stessa cosa. Poi incontrai Dimitri, un macedone che viveva in Italia da dieci anni e che vendeva piccole litografie accando a me, sulla via dei Fori Imperiali. Mi raccontò di quando faceva il ladro, che aveva un amico antiquario che poteva comprarmi le mie belle cose, che veniva l^ per guadagnare 10-15 euro e i vigili spesso gli portavano via tutto. L'allarme lo davano quelli del Bangla Desh, che con pesciolini che facevano bolle d'aria e pallette schifose per bambini si davano al minimo accenno dell'arrivo di un controllo, che di solito erano sempre la polizia municipale, ormai divenuta anche la mia bestia nera. Ci demmo appuntamento domenica 13 febbraio 2011 a Porta Portese, dove mi avrebbe presentato al suo amico antiquario, di quelli che andavano lì alle sei del mattino a sbirciare qualche buon affare prima che arrivasse altra gente. Mi ricordai nella notte anche della casa che abitammo adolescenti in via dei Serpenti, solo per sei mesi perché la mia pazza madre poi volle ancora cambiare per andare ai Castelli Romani. Ritornando alla Fontana di Trevi e piazza di Spagna mi ricordai di quei giorni e quelle sera passate a guardare turisti mentre ora vendevo le cianfrusaglie.


Porta Portese

L'indomani tornai a prendere il trenino Frascati-Roma. Inguardabile al suo arrivo tanto era sporco e pieno di scritte da sembrare quello della tratta africana Abidjan-Ougadougou. Ma c'era una pseudo capotreno giovanissima, parente di gestapo, che arringava tutti a fare il biglietto e a timbrarlo. Un bel coraggio per quel treno che ci veniva proposto. Forse qualcuno avrebeb dovuto pagarci per il disservizio. Arrivato a Porta Portese sui mezzi c'erano più stranieri che italiani. E poi vigili dappertutto, tanto che sembrava di stare in uno Stato di polizia eccessiva. Lo storico mercato non era più lo stesso, come piazza Navona, Fontana di Trevi, Piazza di Spagna e il Colosseo, erano sì diventati più tranquilli, ma non erano più interessanti come una volta, erano ingessati e chi vendeva erano i più furbetti e i meno interessanti. Ma ormai i vigili sono diventati così arroganti e deficienti che per vendere poche cose diventi un reietto a cui fare morale e dire stronzate. Ce ne sono a diecine e tutti hanno la faccia da ebeti.

Campo de' Fiori

L'unico mercato ancora rimasto come una volta era quello di Campo de' Fiori, in piazza Giordano Bruno, dove sì c'era un po' di confusione e sporcizia, ma almeno era vivo. E lo dimostrava il fatto che ormai negli altri posti non ci andava più nessuno e pochi compravano, mentre stranieri ed italiani li vedevo ancora girare tra qualche banchetto improvvisato alla fine di via dei Giubbonari, magari sotto l'antica salsamenteria di una volta 'Ruggeri', dove m'ero messo anch'io prima che una signora in bicicletta non mi lasciasse una busta di pane fresco sotto ai miei occhi. Un tedesco mi comprò un coltello e il pranzo era salvo. Poi per giorni nemmeno un euro, solo un violinista rumeno che ammira il mio coltellaccio di non so dove. Poi mi accorgo che, a parte qualche disgraziato, sono l'unico italiano a vendere in mezzo alla strada, tutti gli altri sono stranieri, per lo più del Bangladesh. Così, con un gran dispiegamento di vigili, il centro apapre pulito, mentre tutta la merda ce la ritroviamo in periferia, dove i vontrolli fanno ridere e i quartieri sono abbandonati a se stessi. Io poi, ormai mangiavo gratis nei bar e nei forni esclusivi del centro, tanto che iniziavo a apensare che sarebbe stato possibile anche vestirsi o quant'altro senza sganciare una lira. Bastava essere normali per gabbare 'Giolitti' dietro al Parlamento, il 'Caffé Greco' in via Condotti o il bar 'Frattina' nell'omonima via. Solo gli ultimi venivano cacciati senza pietà. Solo il giorno dopo, sotto una pioggia che mi impedì di vendere qualasiasi cosa, con il mio giaccone della Lazio comprato per seguire mio figlio alla scuola di pallone, che tutti quelli del mercato erano romanisti e mi guardavano un po' storto, proprioil giorno che la Roma giocava con la Sharktar in Coppa Campioni. Intravedo pure il mio idraulico tutto fare, a cui dovevo ancora dei soldi per due o tre traslochi, che conpra verdure. E ritrovo il mio film d'essai 'Farnese', ancora come una volta quando con i compagni di liceo andavano a parlare ore e ore d'amore dopo un film di qualità. Di solito era Salvatore Figuccia che ci spiegava tutto perché aveva una bella ragazza, Giuliana, e noi ci tiravamo anocra le pippe. Con lui andai abitare propio lì vicino dopo la fine del liceo, al ghetto degli ebrei, dove dormivamo stretti nello stesso letto a una piazza e mezzo, facevamo interminabili scoponi, tre sette e poker con i nostri ex amici, fino alla mattina quando i bar aprivano per cornetti e cappuccini caldi. Poi ci dividemmo quando io iniziai la mia storia con il guru, a Trastevere, e me ne andati ad abitare alla Tiburtina con Enzo Zuccheri, Robeto Borgogelli e Carlo Cappadonia. Poi al forno dovetti lasciare la buona pizza prima che mi scoprisse la cassiera.


Fontana di Trevi

Al Colosseo e alla Fontana di Trevi ritrovai la mia casa abitata per sei mesi in via dei Serpenti, proprio vicino al liceo 'Cavour'. A sedici anni, se Nando o Tany, del 'De Merode' di piazza di Spagna ma entrambi con legami con Livorno, non i venivano a prendere con la moto, io e mio fratello Francesco ce n'andavamo le sera d'estate a vedere i turisti che gettavano le monetine, mentre ora ci andavo a vendere le cose di casa di nascosto alle pattuglie degli agguerriti vigili che potevano sequestrarti tutto e farti una multa di 5000 euro. Al Colosseo non c'era più l'alimentari dell'amorfo Braguglia e a Fontana di Trevi erano i cinesi che fabbricavano i souvenir di Roma. "Qui non si vende più niente, mi confessa un negoziante di borse di cuoio proprio sulla piazza della fontana, sotto l'appartamento di viveva Sandro Pertini, e questi turisti non c'hanno soldi, non spendono. Addirittura entrano qui nell'andronte per pisciare. sai quanti stanno chiudendo. A te conviene andare sulla scalinata di piazza di Spagna, a metà, che lì i vigili rompono di meno".


Piazza di Spagna

A Piazza di Spagna ci arrivai verso le undici e mi sedetti sulla scalinata come ai tempi di quando, ventenne, vendevo le collanine di Delio. Anche qui era tutto cambiato. Non era più la variopinta scalinata di uan volta, piena di persone che vendevano di tutto e di gente che suonava. Era sempre pieno di vigili e non si poteva fare niente. C'erano delle ragazze, credo dei 'Leutari', quelli che vedi fuori dalla stazioni da una trentina di anni, che con la scusa di essere uscite dal tunnel della droga e dell'aids, truffavano i turisti con firme che non andavano da nessuna parte e tiravano su dei bei soldi. Tutte parlavano diverse lingue. Ne avvicinai una e gli dissi che avevo letto che quello che faceva era una mezza truffa usando il vittimismo su una cosa seria. Mi disse che veramente lei era stata drogata di cocaina e alcol, che ne era uscita e che adesso si dedicava a trovare soldi per queste comunità che facevano capo ad un imprenditore. Gli parlai del mio amico Carlo, che era morto in India dopo un'overdose di eroina da cui non si era più ripreso. Passava Alessio Vinci di Matrix, Jas Gawroski, ed ero contento di non fare qual giornalismo. Poi i giovani carabinieri in borghese che arrestavano il ragazzo bengalese e le sue borse. Il fuggi fuggi generale. Uno di loro mi aveva insegnato che mettendo la merce per terra si vendeva meglio perché la gente la guardava di più. Gli diedi retta ma non vendetti nulla lo stesso. Altri del Maghereb Marocco mi hammo assicurato che da loro le cose sono cambiate e va bene cos', c'è stata la rivolta in altri Paesi perché ormai la gente si è evoluta e si è svegliata. Finché non mi hanno beccato al bar 'Spagna', sull'omonima piazza, che alternavo al bar 'Frattina', sull'omonima via, per scroccare pranzi e colazioni, cavandomela alal bene e meglio. Per fortuna c'ra anche il bar di via della Vite e 'D'Angelo', in via della Croce, dove già mangiavamo senza pagare, insieme al bar 'Euclide, dai 18 anni in su. "Devo fare questo lavoro per mangiare e pagare l'affitto - mi dicono tre marocchini che inseguono i turisti giapponesi e supermoderni per creargli un braccialetto e scroccargli un po' di soldi - prima lavoravamo al ristorante 'Augusto, in piazza Augusto Imperatore". Da noi comunque la rivolta non si farà perché le riforme sono state fatte. Ma che aspetta l'America ad intervenire in Libia?". Intanto rivedo quello che i carabinieri avevano preso con le borse prese dai cinesi, che ha detta loro danno i soldi ai finanzieri: ha perso 140 euro ma non gli hanno fatto niente. Poi passano dei ragazzi borgatari razzisti che aggrediscono i poveri bengalei rubandogli rose e mimose: alcuni di noi italiani intervengono allontanandoli. Poi una vigilessa si accanisce su un bengalese sequestrandogli alcune palline che vendevano... .


Pantheon

Vado al Pantheon e mi piazzo proprio davanti alla mia vecchia scuola elementare 'Gianturco', quando dal collegio 'S.Maria in Aquiro', passando per via degli Orfani davanti all'ancora in vita 'Tazza d'Oro, che era ancora come una volta, meno male, traversavo il Pantheon ed entravo a scuola in fila per due. Passa Paolo Flores d'Arcais di Micromega, più magro di quello che pensavo. Passa l'attore strano di Don Matteo. I giovani ambulanti del Bangladesh, che lavorano anche per i pittori di piazza Navona imborghesiti, scappano da tutte le parti stile Totò in 'Guardia e ladri' con Aldo Fabrizi, mi fanno da sentinella per chiudere la mia valigetta 24 ore piena di cianfrusaglie. Alcuni mi dicono che dormono in piazza Vittorio, pagano le multe per avere il permesso di soggiorno con i loro avvocati e che spesso per intere giornate non vendono nulla dei loro souvenir inventati a poco prezzo non si sa da chi. Cosa che capitava anche a me che spesso non aevvo i soldi nemmeno per pagarmi un capuccino e scroccavo il mangiare nei bar uscendo dalle porte laterali, come da 'Giolitti' per esempio. Sempre di meglio di turisti stupidi che hanno le facce di ebeti felici dopo essersi seduti ad un bar che puzza di mafia e di sordido lontano un miglio. Quello che mi portavo dietro era la mia eterna contraddizione tra la ricchezza e la povertà: andavo ramingo a vendere cianfrusaglie con clandestini per 5 euro al girono e avevo i figli in una scuola privata da diecimila euro l'anno. Ma quando hai avuto fame non tre lo dimentichi. Puoi sopportare qualsiasi cosa fino ad arrivare a girare a vuoto senza mettere niente sullo stomaco. Queste sensazioni mi venivano in mente gurdano i bengalesi che lavoravano per strada, i rumeni che vivevano nelel baracche, i barboni alla stazione Termini, i tunisini che morivano nei mari di Lampedusa.



DREAMING


Le mie favorite


Anch'io avevo avuto i miei amori e le mie prostitute ma certo non l'andavo a sbandierare ai quattro venti né ricattavo qualcuno per divertirmi. Certo non potevo permettermi un harem come 'silvio pelvico' e 'bunga bunga gheddafi', ma anch'io avevo avuto le mie piccole soddisfazioni e devo dire che non c'era nulla da vantarsi. Erano sempre voglie del momento, di passaggio, a pagamento, che non lasciavano grandi tracce. Una cosa chiara che ricordo era però la grandissima esperienza e conoscenza della vita di queste donne che avevano scelto il mestiere più antico, quello di vendere il proprio corpo, e credo un po' anche la loro anima. Ma stare con una ragazza, una donna, la tua donna, innamorarsi e farci sesso è tutta un'altra cosa, non comparabile. Con chi va la vita, se hai tante possibilità come può capitare in Africa dove puoi trascorrere intere giornate e nottate con qualcuno che assomiglia o è addirittura meglio di Naomi Campbell da giovane, è che ne vorresti sempre di più e con pose sempre più osé, senza mai essere veramente soddisfatto. Poi ripeteresti quel gesto meccanico, cambiando, intercalando e via cantando, ma senza mai essere soddisfatto fino in fondo. Una malattia inguaribile basata sul fatto che tu hai tanti soldi e la poverina sbarca il lunario per se e la sua famiglia, e che può essere guarita solo trovando una donna che ami. Una di quelle che ricordo meglio fu una ragazza del Senegal, a Dakar, alla fine del mio viaggio nel Sahara di due mesi tra il gennaio e l'aprile 1990, con il mio ex amico Andrea Di Leo. Non ricordo più il suo nome ma ho ancora le sue foto. Una scopata infinita. Un'altra era ad Agades, nel deserto del Niger. Poi Sadatu, a Bamako nel Mali. Innumerevoli in Costa d'Avorio. E a Roma, quando nella notte cercavo lucciole nere che non riuscivano a scaldare il mio cuore. E spesso trovavo solo squallore. Ma poi, per fortuna, c'erano state Francesca, Christine Bergeron, Lizy, Meriem e mia moglie Christine. Poche ma amate.




ON THE ROAD AGAIN


Il buon samaritano torna ad assistere i viaggiatori della capitale il 12 marzo 2011, dopo essersi comprato un nuovo taxi abusivo, una Citroen 'Picasso' usata, con tanto di assicurazione, libretto, eccetera, eccetera. Il primo giorno si fa un sopralluogo all'aeroporto di Ciampino e Fiumicino, senza concludere niente. Il secondo giorno, alle 5 di nuovo a Fiumicino in 15 minuti, 95 euro per due corse via. La nuova parola d'ordine è defilarsi il più possibile. Si va poco in posti diversi, in parcheggi diversi, al massimo due corse, si mangia al Mc Donald's e poi via.


Dal Colorado e Chicago con le famiglie

Alle 8 del mattino, davanti alla toilette degli arrivi di Fiumicino, uno dei migliori posti per parlare tranquillamente con un possibile cliente che controlla i bagagli della sua compagna, avvicino un segaligno americano, che non accetta. Qualche minuto, dopo, però, la moglie segaligna anche lei, mi chiede il prezzo e partiamo anche con la loro figliola ventenne appena sbarcata da un volo da Ney York. Lui, il padre, fa l'ingegnere per i marines e li deposito in un alberghetto in via dell'Oca. Torno, parcheggio alle partenze e, dopo pochi minuti, dopo essermi mimetizzato qua e là, imbarco ancora un'altra famiglia ebrea con figlio al seguito di Chicago: hanno la loro figlia che studia comunicazione a Roma ed alloggiano all'hotel 'Ponte Sisto', in via dei Pettinari, dietro a via Giulia. Mi piacciono questa famiglie americane, con i genitori della mia età e i figli yankee: sono aperti, moderni ed amano tutto quello che è italiano. Passammo due volte davanti a Porta Portese: quella domenica dovevo essere lì, pioveva, era pieno di vigili ed ero contento di non esserci. Rivedi il mio posto accanto alal fermata del 3, dove un tirchio professore del tiburtino mi aveva preso a due lire pezzi pregiati della mia casa, come il libro su Leonardo da Vinci, diversi quadri ed altri oggetti. Era una di quelle persone che approfitta di chi è nel bisogno per arricchirsi. Mi ricordo che gli portai alcuni oggetti a casa, dopo la chiusura del mercato, non mi fece entrare, quasi mi aizzò un cane e mi chiuse la porta in faccia. Mi ricordava, non so perché, quell'uomo che nel film di Hitckoch, 'La finestra sul cortile', tagliava la moglie a pezzi... .

Colorado.


Dall'Illinois con maleducazione

Erano quattro americanine maleducate, probabilmente figlie di papà che facevano uno stage a Roma di scienze politiche per sei mesi. Le avevo caricate facilmente a Ciampino. Tornavano da una piccola vacanza a Barcellona e la notte non avevano dormito. Erano bruttine, un po' antipatiche e non avevano molta voglia di parlare. Sbaglia il prezzo e per 40 euro erano ben contente, in quattro, di essere portate vicino alla Pineta Sacchetti, in una piccola via che facevo fatica a trovare perché quella zona non la conosco bene e lo stradario non indicava i nuovi sottopassaggi che partivano dal Foro Italico. Loro non mi aiutavano. Anzi iniziarono a prendere in giro la mia possibilità di portarle a casa. Davanti al 'Gemelli' dovetti farcle scendere ad una fermta di taxi prima che mi arrabbiassi davvero, rinunciando ai miei euro. Delle vere maleducate viziate.

Chicago.


Guida russa a via Sannio

Lo trovo appena fuori mentre si sta fumando una sigaretta. Dentro l'aerostazione mi muovo in continuazione per non avere problemi con i git. Accetta la mia richiesta e partiamo per 40 euro per via Sannio. Viene da Mosca, è russo, sembra omosessuale anche se ha una figlia moscovita e fa la guida per gruppi italiani laggiù. Parla bene italiano. Gli racconto del mio viaggi studio a Mosca e Leningrado insieme a mia madre, della mia piccola conoscenza di russo e delle mie letture russe. Non so se ci crede ma improvvisamente parla poco. Forse potremo fare qualcosa insieme: io qui e lui là. Gli lascio il mio telefono. Mi richiama dieci giorni dopo per riaccompagnarlo all'aeroporto a prendere il volo per Mosca, dove lavorerà per una fiera. Lo prendo alle 19.30 del 23 marzo 2011 in via Sannio 43, di fronte al negozio di calzature della sorella e accanto ad un bar da schifo, di fronte alle bancarelle famose, a quell'ora chiuse. Mi presenta Tatiana, un'amica russa che sta all'Oxford Hotel' in via Boncompagni 43, per poi portarlo a Fiumicino domenica 27 marzo alle 4.30 del mattino. Mi propone anche di lavorare per un agenzia di viaggio russa con la quale mi metterà in contatto appena torna dalla Russia.

Mosca. La capitale russa l'avevo visitata due volte: la prima con mia madre in un viaggio tra Mosca e Leningrado a studiare la lingua russa, la seconda di ritorno da Dakar per Roma, via Mosca con l'Aeroflot. A Leningrado eravamo restati un mesetto ed io avevo 25-26. Mi innamorai di una studentessa italiana di russo di Verona, Francesca, con cui ebbi una piccola relazione senza futuro. Frequentavo di più tre studentesse napoletane e non disdegnavo di far bisboccia con la guida russa Tania, che parlava bene anche l'italiano. La guida di via Sannio mi guardò stupito e mi invitò a consocere la sua bambina.


Le tre donne serbe

Tre donne serbe di Belgrado in visita a Roma e Napoli: una biologa, una commercialista e una ingegnere. Come al solito le imbarco al posto migliore per trovare clienti, fuori dalla toilette degli arrivi internazionali. Andiamo a Termini a depositare le valigie e nel frattempo gli faccio vedere Colosseo e piazza Venezia. La biologa seduta accanta a me è minuta, parla bene italiano e si muove molto lentamente. Andranno la sera a Napoli per 4 giorni, poi torneranno a Roma per altri tre e poi via. Vogliono il mio numero ma non mi chiameranno.

Belgrado.


Un pachistano a Villalba

Viene da Islamabad, la capitale pachistana, via Dubai, dopo 24 ore di volo e transfer. Lo porto a Villalba di Guidonia, prima di Tivoli, per 60 euro. Vive a Roma da 20 anni e fa i mercati nelle fiere. E' sposato con una sua connazionale ed ha due figli adolescenti, ha comprato una casa in via Roma dove ancora paga il mutuo, ha una ford escort e un camioncino per il lavoro. Per tutto il viaggio non fa che parlare al telefono con i suoi parenti appena lasciati e quelli che incontrerà. "Se sono qui piangono in Pakistan - dice Habib, trentenne dal volto intelligente - se sono là piange la mia famiglia a Roma". Gli racconto di quando, nel Congo belga, a 13 anni, entrai nella scuola dei gesuiti, dove ero l'unico bianco insieme ad un pachistano.

Islamabad.


Da New York a Prati

Lui cammina male e si porta dietro una sedia a rotelle. La moglie ha gli occhi storti. Vengono da New York a trovare la figlia lentigginosa che studia a Roma. Li accompagno per 50 euro al residence 'Vaticano', in via Ezio 19, al quartiere Prati il giorno della festa dei 150 anni dell'Unità d'Italia.

New York.


Da Berlino via Baltimora

Una simpatica famiglia tedesca di Berlino, con la ragazza-madre-figlia che fa l'architetto a Baltimora, negli Usa. Li accompagno in via Flavia dopo aver indicato alla piccola Emma dove mangiare la buona pizza da 'Giggetto', vicino piazza Fiume. Con lei ci sono i nonni, la mamma e la mamma architetto.

Berlino.

Baltimora.


Da Tel Aviv a via Napoli

"Quanto mi piace l'Italia, deve comprarci una casa dopo sei-sette volte che veniamo". E' una famiglia israeliana di Tel Aviv: madre e padre settantenni, lei di origine tunisina e lui irachena, e le due figlie quarantenni. Parlano di zuppa, di pizza, di tartufo a piazza Navona, del caffé 'S'Eustacchio' e del gelato. Come da ebrei che si rispettino, da 50 euro contrattano la corsa con la mia nuova Citroen 'Picasso-Xsara' a 40 euro, per l'hotel 'Corona' in via Napoli, ma vogliono il mio telefono per richiamarmi, anche se poi non mi richiameranno.

Tel Aviv.


Dalle Key West a Positano

Lui è giovane e ciccione, lei bruttina ma simpatica. Entrambi psicologi, appena sposati, abitano sull'autostrada che da Miami, in Florida, va alle Key West, passando su innumerevoli isolotti prima di arrivare alla cittadina che ospitò Hemingway, che qui scriveva i suoi libri e pescava, e che dista poche miglia da Cuba. Vanno da Fiumicino a Termini per poi prendere il treno per Napoli e un taxi per Positano. Invece di 50 mi danno 70 euro per la guida rapida di Roma che gli ho fatto. Avrei potuto accompagnarli in macchina a Positano ma il prezzo era troppo caro. Gli racconto del mio viaggio alle Key West e a Miami, quando seguivo un guru che lì ci aveva una enorme villa bianca; con il bancario Roberto Presti, dopo aver vinto i soldi del biglietto aereo alle macchinette del poker di una bisca della malavita romana alla Tiburtina, insieme al mio amico scomparso dopo una leucemia fulminante 30 anni fa, Tany.

Key West. Sull'autostrada che da Miami porta alle Key West c'è un tipico paesaggio tropicale. L'highway si 300 miles traversa centinaia di ponti che collegano un'isoletta all'altra, in uno scenario tropicale ed allettante. Quando arrivi a Key West, dove Hemingway scriveva i suoi libri e pescava a traino guardano Cuba, le cose sono colorate dei color pastello e invase di turisti. Loro abitavano in un'isoletta prima di arrivare alla fine della strada e rimasero perplessi prima di riconoscermi.


Da Oslo alla Fontana di Trevi

Stavano lì fermi agli arrivi internazionali in attesa che la moglie trovasse una valigia che si era persa. Erano di Oslo, parecchio anziani, biascicano un inglese malfermo e il figlio fa il giudice. Rimangono tre giorni a Roma all'hotel 'Fontana di Trevi', in piazza Trevi, proprio di fronte la famosa fontana. In attesa della valigia e della moglie parliamo della guerra in Libia (ancora non sapevamo che la Norvegia si sarebbe ritirata dalla coalizione perché non era chiaro chi comandava) e del più e del meno. Non sapevo, come ho scoperto da 'Radio Capital' in giro per il mondo, con Doris Sacconi, che la Norvegia ha un debito uguale a zero, il re va in bus e le donne sono felici. Gli racconto del mio viaggio a Cape North più di 30 anni fa, l'estremo punto europeo ora meta alla moda di molti novelli viaggiatori, passando per la Scandinavia, insieme ai miei ex amici Claudio Bracci, ora architetto e costruttore di Grottaferrata, Nando Pivano, figlio di Cenci, quello dell'abbigliamento dietro Montecitorio, di Tany, di Stefano Lenzi, che fa l'operaio alla 'Motofides' di Livorno, che è ancora mio amico, e di Augustarello, che abitava a Cinecittà, studiava al De Merode e fa il dentista nello studio del padre, delle alci in mezzo alal strada, della natura incontaminata.

Oslo.


Da Barcellona a via Marsala

Sono giovani, sembrano cattolici e, da Barcellona vanno alla chiesa salesiana in via Marsala 42, proprio dietro la stazione Termini. Parlano poco: lui studia ingegneria e lei comunicazioni per fare la giornalista. Per la prima volta a Roma, resteranno due giorni nella capitale con udienza dal Papa il mercoledì, e poi a Venezia.

Barcelona.


Da Londra, via Gerusalemme, alla Fontana di Trevi

Li incontro come sempre fuori della toilette. Dopo aver aspettato invano la loro macchina dalla residenza 'Trevi', in via della Panetteria, accettano di venire con me per 50 euro. Vengono da Londra, passati da Gerusalemme, ora vogliono passare qualche giorno a Roma. Sono parecchio anziani ma vispi e simpatici: lui è un professore di religioni, lei archeologa, credo ebrei. Vogliono che nei prossimi giorni li porti ad Ostia antica. Concordiamo per 100 euro, ma poi non li ho più sentiti.

Londra.


Il metallurgico di Villanova da Berlino

E' la prima persona che contatto e che accetta subito, ma prima vuole fumarsi una sigaretta. Mi accorgo di nuovi vigili in borghese sospetti che mi occhieggiano, faccio un giro, li riprendo fuori e li imbarco davanti alle partenze low coast del terminal 't2'. Lui è un pensionato ex metallurgico italiano che ha lavorato tanti anni a Berlino, insieme alla moglie tedesca, sposato dal 1966. Vive ancora nella capitale tedesca in suoi appartamenti comunicanti con i figli grandi e i nipoti. Ha lavorato per 40 anni nelle industrie tedesche e ogni tanto viene in Italia, a Villanova di Guidonia, dove ha una casa e dove l'accompagno per 60 euro. Mi parla della sua esperienza in Germania, di quanto sono sporchi i turchi e della disgrazia dell'euro. Dice che mi richiamerà perché preferisce dare i soldi a me che a quei profittatori dei tassisti legalizzati. Ha anche una casetta in Calabria, da dove proviene, ma non ci va quasi mai perché la sua gente è rozza e non sanno ricevere.

Berlino. La capitale tedesca mi ricordò il mio solito viaggio lampo alla ricerca della felicità. Con la mia Nissan Patrol, anni '90, quelal che aveva attraversato il Sahara nella Frascati-Dakar, mi ero buttato in autostrada e in 20 ore avevo percorso Roma-Berlino. La jeep mi si ruppe qualche chilometro prima di entrare in città e i soccorsi furono celeri. Da poco il Muro era crollato ma le due realtà, quella capitalista e quella comunista, erano ancora là, diverse. Le metteva in contatto la metropolitana, che passava da un mondo all'altra senza doversi più fermare al check point del centro città, scena di tanti film di guerra fredda. Andai a dormire in un albergo ad est, più economico. ma l'auto la feci riparare ad Ovest. L'operaio italiano viveva in una villetta con tutta la sua famiglia e mi accolse calorosamente.


Da Bergamo a Ladispoli

Il tassista gli aveva chiesto 40 euro per tre chilometri di strada. Io li ho portati per 20 dall'aeroporto di Ciampino alla fermata della metropolitana dell'Anagnina, Lui è romano ma vive a Bergamo con la fidanzata, mentre la mamma sta a Ladispoli, dove vanno d'estate a fare i bagni. A Bergamo, dice, ha iniziato ad odiare gli stranieri, insomma è diventato uno stupido leghista.

Bergamo.


Dal New Jersey a via Piemonte Sono una semplice giovane coppia americana del New Jersey, una manciata di chilometri da New York. Lui fa il manovale su per i grattacieli - e il suo fisico da culturista lo dimostra - lei la governante baby sitter. Staranno due giorni a Roma e poi via in crociera da Civitavecchia con la 'Carabeen' a Napoli, in Sicilia, Rodi ed Atene, per una settimana. Poi si torna al lavoro. Li accompagno per 50 euro e 5 spiccioli di mancia all'hotel 'Veneto' in via Piemonte, quello dei quattro marocchini di tre mesi fa.

New Jersey.


Da Grignano a S.Pietro Sembrano paesani di altri tempi quando sbucano dal primo volo alle 7.30 all'aeroporto di Ciampino, decollati da Bergamo Orio. Vengono da Grignano, un paesino di 1500 anime nella bassa bergamasca, invitati da un monsignore importante che battezzerà la nipotina addirittura in San Pietro. Li accompagno in quattro proprio a via della Conciliazione 34. "E' la prima volta che prendo l'aereo, la prima volta che vengo a Roma e la prima volta che vedo San Pietro", dice il più anziano. "Voglio vedere dove stanno quelli del 'Grande Fratello', dice invece la più giovane. Un altro fa l'idraulico ed è leghista, gli altri tre no.

Grignano.


Dalla Florida, via Philadelfia, in crociera

Vengono dalla Florida e vanno all'hotel 'Villa Carpegna'. E' un'attempata semplice coppia cattolica americana che, dopo due giorni a Roma, se ne andranno in crociera a Messina e Rodi.

Florida.


Dall'Irlanda al Lungotevere delle Armi

Sono simpatici e semplici come tutti gli irlandesi. Li accompagno ad un hotel sul Lungotevere delle Armi per un week end mentre parliamo della crisi irlandese.

Dublino.


Oggi, 27 marzo 2011 alle 5.30 del mattino, ho scoperto che l'aereoporto internazionale italiano, il 'Leonardo da Vinci' di Fiumicino, è in mano a quattro sparuti e maleducati tassisti romani, che possono permettersi di minacciare chiunque senza che ci sia un'autorità ad impedirlo. E' successo a me, davanti a degli allibiti signori. Mi stavano bloccando la macchina e tirando fuori dall'abitacolo, inveendomi di insulti e minacce, proprio davanti agli arrivi internazionali, accusandomi di levargli possibili clienti, senza sapere chi ero, se erano miei parenti o quant'altro. Questo succede allo scalo romano di Fiumicino che dovrebbe essere al sicuro dal terrorismo internazionale e non sa nemmeno mettere in riga quattro cialtroni aizzati da un sindaco fascista che li utilizza per la sua campgna elettorale. Un servizio, quello dei taxi, che invece è un lusso in mano ad una casta che si crede fine a se stessa., Seguono i noleggiatori con conducente, meschine figure di ex abusivi che infestano l'aerostazione.


Tatiana, la bella dottoressa dermatologa di Kiev lascia l'Oxford hotel

L'appuntamento all'Oxford hotel' di via Boncompagni 89 è alle 4.30 del mattino di domenica, proprio quando per l'ora legale si sposta la lancetta dell'orologio un'ora in avanti. Mi aspetta la bella dottoressa dermatologa ucraina Tatiana, che ha passato sei giorni indimenticabili a Roma e vuole tornarci. Bionda, giovane, minuta, oltre al russo, spiccica appena due parole di inglese e me l'ha presentata la guida russa che ha una sorelal con un negozio di scarpe in via Sannio. Alle 7 parte per Kiev, via Praga, con le aviolinee ceche. La lascio al terminal '3' delle partenze alle 4.50, con uno 'spasiba' e un'dasvidania'.

Kiev.


Da Mars el Salam alla Garbatellla

Vengono da una vacanza sul mar Rosso e se ne tornano alla loro amata Garbatella, che "se non fosse che ci girano sempre 'I Cesaroni', ci si starebbe una favola". Lui e la moglie mi difendono dai facinorosi tassisti alla matriciana, che possono permettersi il bello e il cattivo tempo anche in un aeroporto internazionale, con un'"io facevo il camionista e li conosco; ingrana la marcia e andiamocene... ".

Mar Rosso.


Da Avignone a via del penitenziario a Trastevere

Sono di Avignone e, via Lione, sbarcano a Ciampino per recarsi in via del penitenziario a Trastevere, proprio dietro il carcere di 'Regina Coeli'. Sono tre francesi, madre, padre e nonno, che vanno a trovare la loro figlia 26enne che si è stabilita a Roma dove ha trovato l'amore italiano. Un bus si è rotto sull'Appia Antica e ci mettiamo un'ora e mezzo ad arrivare, lo stesso tempo che ci ha messo l'aereo a venire da Lione a Ciampino con la compagnia aerea low cost irlandese 'Rayan Air'. Sono simpatici ed aperti. Parliamo della Costa d'Avorio, della Francia che sta sostenendo Outtara di nascosto contro il prepotente Gbagbo; gli parlo della mia esperienza africana; si stupiscono del mio francese africanizzato e dei motorini romani che schizzano da tutte le parti; gli parlo dell'Abbé Pierre e dei miei viaggi in Francia, fra comunità di stracciaroli e vendemmiatori, e di quando mi feci con una bicicletta senza freni Beziers-Avignon, dopo il Larzac; mi dicono di non amare Sarkozy e dell'avanzata dei verdi in Germania; gli racconto della corruzione in Costa d'Avorio; mi chiedono come possiamo amcora sopportare uno come berlusconi; ci lasciamo come vecchi amici. Poi, dopo una settimana, Philippe mi richiama alle 9.20 di sera, quando il mio cellulare è spento, perché voleva che li riaccompanassi. Ma non ci siamo più visti.

Avignon. Quando andavo su e giù a 18 anni per le strade che portavano ad Avignon con una bicicletta sena freni erano i tempi dell'incoscienza. Dai campi dell'uva a scorrazzare con amici improvvisati di tutte le nazionalità. Ora loro erano dei piccoli borghesi e non si aspettavano certo di vedermi lì.


Da Bucarest a piazza Farnese

E' una bella matrona rumena dalla faccia simpatica, con un cappellino che gli sta a pennello. Torna da vicino Bucarest al lavoro presso una normale famiglia romana vicino piazza Farnese. In un altro venerdì di scioperi mettiamo un'ora e mezza da Ciampino a Campo de' Fiori, lo stesso tempo che la signora ci ha messo in volo dalla Romania all'Italia. LA prendo dribblando i soliti tassisti che mi controllano in cagnesco perché lei, 'quelli regolari non li sopporta'. Mi racconta dei suoi quattro anni in Italia, del marito morto e del figlio. Che fa la spesa al più vicino 'Todis' ed è brava a fare i sughi per la pasta. E di quanto è cara Bucarest, dove lo stipendio medio è di 300 euro al mese, ma la benzina costa come da noi, la carne non si mangia più e un affitto la metà del salario.Quando arrivo a piazza Farnese è contenta della chiaccherata e mi lascia 50 euro invece dei 40 che gli avevo chiesto. Parcheggiamo sotto al portone del corruttore Previti, un altro bruciato dal nostro 'bunga bunga', condannato a sette anni per aver comprato due giudici per permettere al suo mandante di prendersi la Mondadori, che ancora ha perché a lui i processi non si riesce a farli. Lo ha anche promosso addirittura, con spregio di ogni cosa, a ministro della giustizia, ma non è bastato a salvarlo. Una brutta faccia a cui avrei volentieri sputato addosso. Poi mi levo un sassolino dalla scarpa: me ne vado a fare un panino dalla salsamenteria 'Ruggeri', quella che vedevo da fuori quando non avevo nememno un euro e vendevo qualche cianfrusaglia, e guardo negli occhi la verduraia che mi prestava una cassetta della frutta vuota per appoggiarci la mia 24 ore. Non dimentico e so che potrebbe ancora succedere.

Bucarest.


Da Istanbul a piazza del Popolo

Lo prendo al volo perché a causa dello sciopero dei mezzi non ci sono nememno taxi a Fiumicino. Sembra un uomo d'affari, parla poco e lo porto a piazza del Popolo per 50 euro.

Istanbul.


Da Francoforte al Gianicolo

Accettano il mio passaggio a Ciampino, dopo averle istruite che sono un privato, di dire che siamo parenti e che una di loro deve sedersi davanti con me. Sono madre e figlia giovanili e vanno al Gianicolo per una settimana. Gli faccio fare l'Appia Antica e il Lungotevere e faccio il 'cicerone'. E' il 3 aprile, la primavera è scoppiata e Roma apapre stupenda in questa splendida giornata.

Francoforte.


Dalla mala della Magliana ad Aprilia

"Ero uno di quelli, quelli della Magliana. Ma ora sto a posto". E' grande e grosso, insieme a due 'amici' che sembrano appena usciti dalla galera, ma mi chiama dopo essere uscito dall'aerostazione di Ciampino: "Aho. Annamo va'. Quanto vuoi per andare a Aprilia?". Concordiamo per 70 euro, ma prima ci dobbiamo fermare al bar a fare colazione, "perché in Romania, dove siamo andati a comprare dei cavalli su suggerimento di un rumeno farlocco, c'hanno ancora le carrette e il mangiare fa proprio schifo. Se lo sapevo non c'andavo proprio". Sono della mala e parlano come della mala, ma ora lavorano: lui vende panini ad Aprilia dopo aver lasciato il camion ambulante delle 'Tre fontane' al figlio. "Non ce potevo crede - aggiunge - sul posto accanto al mio c'era quella mignotta rumena che batte vicino casa. Ma in Romania un pompino a otto euro...". Lo lascio in una villona tra Campo di Carne e Tor San Lorenzo. Gli altri scendono lì vicino. Uno ha un 'Bed & Breakfeast' alla stazione Termini e l'altro traffica in cavalli. Me ne torno a Fiumicino via lungomare.

Aprilia.


Da Londra, via Johannesburg, cinque indiani a via Amendola

Ci pensano su un po', poi li carico in cinque a Fiumicino: destinazione un hotel in via Giovanni Amendola. Sono cinque ragazzi, un uomo e quattro donne, che da tre anni vivono a Londra ma sono cresciuti dai gesuiti a Johannesburg.

Johannesburg.


Da Bucarest a Casal Lumbroso

Michela è tornata dopo un anno per lavorare e mantenere i suoi tre figli e la mamma in Romania. Il marito l'ha lasciata e non pensa alla famiglia. La lascio alla pizzera 'Punto e a capo', in una traversina di via Casal Lumbroso, vicono all'Aurelia, lo stesso nome di un nostro sindacato di giornalisti. Resterà fino ad agosto e mi commiata augurandomi che io guadagni tanti soldi. A me ne dà 35 di euro. Si vede che è triste per aver dovuto lasciare i suoi figli con la nonna.

Bucarest.


Da Francoforte a piazzale della Radio

I due uccellini tedeschi, 52 anni lui e 56 lei, il primo gigolò e la seconda con due figli a carico e un impiego alla 'Metro' tedesca, avevano capito che la corsa costava 20 euro e ridevano felici di venire a celebrare il compleanno di lei con quattro giorni a Roma. Poi la precisazione in via Blasferna 103, al nuovo hotel 'Roma città' e un po' di delusione. Ma tant'è, forse ci rivederemo per il ritorno, ma ci credo pcoo.

Francoforte.


L'infermiera di Los Angeles a Casal del Marmo Quando la lascio al nuovo alberghetto a ridosso del raccordo anulare in una traversa di via Casal del Marmo. l'infermiera afroamericana di Los Angeles Miranda, sposata con un messicano, è delusa. Troppo lontana dal centro in una zona squallida. Parliamo della riforma della sanità voluta da Obama. Dice che è una buona cosa e che ora lavora di più. Gli dico che anche in Italia è un buon sistema, ma è la maggior spesa per lo Stato, molti ci lucrano e tanti pazienti ne approfittano. Negli Usa il debito pubblico è altissimo e si rischia la bancarotta. Nel quartiere 'Palmarola' gli viene incontro la portinaia ucraina bionda a rassicurarla: gli dirà lei come muoversi al meglio. Intanto Miranda prende il mio numero di telefono. Mi richiamerà per andarla a prendere per la partenza ma la macchina è rotta e devo dargli buca.

Los Angeles.


Due canadesi gay tre settimane in Italia

Sono belli robusti, giovani e abitano in un piccolo paesino ghiacciato al Nord del Canada. Li accompagno all'agenzia immobiliare 'Frimm' in via Giovanni Lanza 91 a Roma, dove prenderanno le chiavi per un appartamento lì vicino a 480 euro per quattro giorni. Poi se ne staranno in tutto tre settimane per girare l'Italia da Nord a Sud: Firenze, Milano, Venezia, Napoli e quello che si potrà. Sembrano gay ma non lo danno a vedere. Sono molto cordiali.

Nord Canada.


Da Quito a via Capo d'Africa

L'anziana coppia la contatto sempre fuori dalla toilette degli arrivi internazionali di Fiumicino. Sono dell'Ecuador, della capitale Quito, a 2850 metri di altezza, al centro del Sudamerica. Mi raccontano della loro 'Officina', che ora sono in pensione e che i nonni di lei erano originari di vicino Milano e Massa Carrara. Da Londra, sono venuti due giorni a trovare la nipote di 22 anni che si è innamorata, "purtroppo", di un romano. Vanno all'hotel 'Capo d'Africa' nell'omonima via. Mi raccontano che il loro Paese è ora ricchissimo con il petrolio, ma la ricchezza è in mano a pochi e che la sinistra da loro è puro fascismo.

Quito.


Da Lima con l'Acea

Lui è un ingegnere 35enne che lavora all'Acea, tra Roma, Frosinone e il Perù, dove l'azienda ha l'appalto per le acque. "Da Lima, a livello del mare, in due ore si arriva a 5000 metri. Un posto bellissimo, con le più belle donne del mondo. I miei genitori sono venuti una volta a trovarmi e ora si sono stabiliti lì", mi racconta dopo 12 ore di volo notturne. Lo accompagno a Talenti nella casa dei suoi. Domani lavora.

Lima.


Da Barcellona i futuri parrucchieri della stazione tuscolana

Giovani, disordinati e carini. Lei, di origini filippine ha due grosse labbra e un viso da fata, lui sembra più un coatto di periferia, ma bravo e sincero. Vengono da Barcellona, dove lui, dopo aver vinto un viaggio per un torneo di poker, ha dovuto ripagarsi il biglietto di 200 euro perché arrivato in ritardo ad un check-in delle solite fameliche low coast. Hanno solo 30 euro e dopo tre ora senza clienti, pur di muovermi da tutti quei controlli, li porto vicino la stazione tuscolana. Dicono che non studiano più e che vogliono aprire un salone per parrucchieri. Al semaforo sulla via Appia ci investono due ciechi a braccetto, dopo che avevo invaso le strisce pedonali, ma ci schivano che è una bellezza.

Barcellona.


La famiglia newyorkese che non vuole farsi rapinare dai soliti tassisti romani legalizzati

Avevamo concordato 50 euro per tutta la famiglia (moglie venezuelana, due figli maschi teen ager e lui venditori di abiti a New York), ma la rottura delle scale mobili e la lunga fila all'ascensore li aveva fatti fuggire con enormi valigioni verso i tassisti 'bianchi' a piano terra. Alla vigilia di Pasqua qualcuno gli aveva chiesto 80 euro e, mentre un altro autista mi chiedeva perché se ne erano andati, tornano verso di me chiedendomi di portarli a via dei Maroniti 37, un 'Bed & Breakfeast' vicino Fontana di Trevi.

New York.

Da Catania a Chianciano per fare gli arancini

Rita ha sessant'anni e lavora ancora per aiutare la famiglia. Fa la capo cuoca e vicino Catania ha una rosticceria con la figlia dove fa anche i famosi arancini con gli spaghetti. Va a Chianciano a fare la stagioni in un albergo. Ha due figlie, l'altra vive a Roma ed insegna ai sordomuti. Gli racconto di mia moglie cuoca e dei nostri ristoranti in Costa d'Avorio. Qualche giorno dopo mi richiama e mi dice che non si è trovata bene e se io ho qualcosa da proporgli.

Catania.


Da Francoforte al Gemelli per il tumore del suo bimbo

Lo incontro con la figlia piccola, Jessica, a Ciampino. Deve andare al 'Gemelli' a trovare il suo ragazzo di 14 anni che improvvisamente ha scoperto di avere un tumore. La mamma è lì con lui e non si vedevano da un mese e mezzo. Lui è del Cilento, ma lavora nel marmo a Francoforte da quando emigrò giovane in cerca di fortuna. Gli racconto di quanto il mio figlio più grande, a 5 anni, aveva la forma più acuta di malaria, delle trasfusioni all'ospedale di Livorno, di come mi sento ora fortunato. Una settimana dopo mi hanno richiamato per riportarli a Ciampino, alle sei del mattino, per 30 euro. Tra due settimane, il 13 maggio 2011, mi chiameranno per riandarli a prendere per il compleanno del loro bimbo. Se non avessi bisogno di soldi lo farei gratis. Che pena vedere quella mamma e quel papà, e quella bambina, struggersi per il loro figlio e fratello che a 14 anni sta perdendo il bacino divorato dal cancro. Perché tanto accanimento verso la vita che ci è stata donata e verso la gente semplice? Mi hanno richiamato ma l'auto mi era stata di nuovo sequestrata e il buon samaritano non ha potuto aiutarli... .

Francoforte.


Dalla Scozia a Termini

E' una giovane coppia che si sposerà il prossimo anno, originari della Scozia vivono a Londra. Vanno in un alberghetto in via Palestro 15, 'Il bolognese'. Gli racconto del mio viaggio con la Fiat '850' di Stefano, che si ruppe prima di arrivare a Cape Wright, della raccolta delle prugne in Scozia, dei miei viaggi in autostop in giro per l'Europa.

Glasgow.


Oggi ho conosciuto anche la finanza di Fiumicino. Mi hanno fatto una multa di 8.000, dico ottomila euro, perché qualcuno mi ha sentito dire 'taxi' agli 'arrivi' del terminal '3'. Siamo alla follia.


Da New York all'Aurelia Antica

Dovevano richiamarmi ma non lo hanno fatto. Una famiglia di New York di origine indiane che avevo portato al 'Crown Plaza' sull'Aurelia Antica. Moglie, marito e due teenager. Poi a 'Radio Capital' capii perché molti americano accettavano di venire con il mio taxi abusivo: a New York esistevano due tipi di taxi, quello normale a tassametro di colore giallo e quello nero dove si poteva contrattare la corsa. Però!

New York.


Dalla Francia al 'Palatino' via Francoforte

Lui di origini italiane e lei francese. Vanno all'hotel 'Palatino' per vedere il Papa.

Lussemburgo.


Dalla Libia il maltese va a Pescara

Lavorava in Libia quando è scoppiata la rivolta il 17 febbraio 2011. Lui il 24 è scappato. Lavorava nei petroli nel Sahara per una ditta di servizi italiana ed è di Malta. Da Fiumicino lo accompagno a Ciampino.

La Valletta.


Dal Brasile al 'Mercury'

Studia 'Business' a 4 ore di auto da Sao Paolo, in una cittadina di tre milioni di abitanti di cui non ricordo il nome. Lo porto all'hotel 'Mercury' vicino al Colosseo.

Sao Paolo.


Da Praga per il Papa Woytila

Sono venuti per la beatificazione di Papa Woytila da Praga.

Praga.


Da Rotterdam con le orchidee

Si son oconosciuti a Rotterdam lavorando le orchidee. Lui polacco e lei portoghese. Li porto all'hotel 'Arcadia' in via Campo Romano, proprio sotto Frascati.

Rotterdam.


Bianchi di New Orleans al Vaticano

Invece di 140 dollari me ne danno 40. Sono di New Orleana, dove passò l'uragano 'Caterina', sono bianchi, lei insegnante di inglese in pensione e lui venditore. Li lascio all'hotel 'Il Gladiatore' vicino al Colosseo per poi portarli ai Musei Vaticani.

New Orleans.

Tre indiani da Londra a Termini

Li porto all'hotel 'Metropol' o 'Star hotel' in via Principe Amedeo. Sono tre indiani di Londra.

Londra.


Da Lagos, via Francoforte, a Tor Bella Monaca

Gregory è un ragazzo nigeriano che vive in Germania e fa l'import-export. Lo imbarco a Ciampino per 25 euro per portarlo dal suo amico a Tor Bella Monaca. Vuole vedere il Papa e Roma. Lo lascio alla fermata del 105 a Grotte Celoni. Ma prima gli parlo un po' della mia vita in Costa d'Avorio, della mia società di import-export con le corne di bue e di quanto sia pericoloso il porto di Lagos.

Lagos.


Coppia di Tampa va in via dei Capocci al rione Monti

Sono una giovane coppia della Florida: lui figlio di un militare Usa che stava di stanza ad Aviano e dove è cresciuto, lei che quando a 20 anni era al 'college' venne in visita in Italia. Stanno una settimana a Roma e dormono al 'Bed & Breakfast' di via Capocci 83, al rione 'Monti'. Nel giorno di Pasqua non c'è nessuno e l'auto arriva in fretta.

Tampa.


Da Ciampino a Fiumicino, via Pescara

Vanno a prendere l'auto a Fiumicino, ma sbarcano a Ciampino. Sono di Pescara e dicono di essere partiti non si sa dove per fare business. Uno sembra il capo e l'altro il luogotenente, che gli predice il tempo fino ad una settimana. Ma sono tutti così i pescaresi, dei capetti ridicoli che si credono chissà chi?

Pescara.


Da Chicago al Parco dei Medici

Una corsa facile facile. Cinquanta euro per dieci chilometri da Fiumicino allo 'Sheraton' Parco dei Medici, proprio a ridosso del Gra. Sono una coppia di mezz'età di Chicago, simpatici e credo con i soldi. "La città di Obama", dicono.

Chicago.


Da Londra a Piazza di Spagna, ma niente pollo

Sono due giovanissimi da Londra che vanno in via Sistina all'hotel 'Intercontinentale'. Lui è allergico al pollo e se lo mangia gli viene uno shock anafilattico. Mi chiede il numero dell'ambulanza.

Londra.


Dal Midland inglese a via degli Scipioni

Li prendo a Ciampino dopo sei ore di attesa. Vengono dal Midland inglese, 40 km dalla pista di Silverstone, e vanno ad una pensioncina in via degli Scipioni 53 al quartiere Prati, pochi passi dal Vaticano, che hanno trovato su internet. "Le nozze del principe Williams, per cui ci sono giorni di festa, e le storie delal regina non ci interessano per niente". "Voi avete la regina e noi berlusconi; ognuno ha i suoi guai, ma il nostro è di gran lunga il peggiore", gli dico. "Beh, con le storie, almeno fa venire i turisti", aggiungono. Poi gli mostro Palazzo Grazioli en passant: "Qui sta berlusconi quando è a Roma e dove tiene le sue orgie...a lui piace comprare case dove va...".

Midland inglese


Dalla Sicilia per vendere paramedicinali

Si sono ritrovati davanti al terminal '2', il più giovane da Catania e l'altro da Palermo, per vendere paramedicinali nella zona di Roma. Li porto all'hotel 'Villa Carpegna', in via Pio IV, augurandogli una buona vendita.

Sicilia.


Il napoletano cocainomane







Disperato dai controlli, prendo un napoletano cocainomane per 20 euro. Lo accompagno al primo 'Sheraton' di via del Pattinaggio, all'Eur, dove prende la sua 'Panda' parcheggiata lì per andare a Napoli. Dice che è sposato con una manager americana di questa catena di alberghi.








Napoli.













In luna di miele dal Messico all'Holiday Inn'








Sono novelli sposini di Mexico City, anche se lui ha studiato due anni a Roma, e sono in luna di miele prima a Roma e poi a Madrid. Li porto all'Holiday Inn' sulla via Aurelia per 35 euro. Non prima di avergli raccontanto il mio viaggio in Messico, via Miami, con una 'Golf' sgangherata noleggiata, via per Chichen Itza, i Mariachi e tutti i luoghi comuni messicani.








Mexico City. Quando arrivai in una capitale di venti milioni di abitanti non mi misi paura perché già c'ero stato una trentina di anni fa. Dopo un meeting con l'amato guru miliardario a Miami, in Florida, avevo preso un volo per Città del Messico, un paio di ore in linea d'aria, affittato una golf wolswagen, che qui andava di moda, e fatto un giro tra Chichen Itza e i confini con il Guatemala. Allora non avevo trovato il mio amico Pepe, che avevo conosciuto ai campi Emmaus in Francia ai miei 18 anni, però avevo incontrato la sicialiana a cui piacevo, visitato il Chiapas e Tula. Poi, in un paesino petrolifero sull'Oceano Pacifico, la frizione era partita e, dopo la riparazione, me ne ero tornato nella capitale. Gli sposini conosciuti a Roma si accingevano ad avere il primo figlio, sembravano felici e furono contenti ed increduli nel vedermi. Vollero che andassi a mangiare nella loro nuova casa, mi fecero un sacco di domande e si riproposero di tornare in Italia. Mi confessarono che come tassista ero un po' strano ma ora avevano capito il perché. Non gli dissi di quanto rimasi sorpreso nel vedere gli indios vivere nella foresta e di non relazionarsi con i gringos, degli spazi, del mare, della povertà e della ricchezza che avevo trovato girovagando come una trottola per vedere il possibile, compreso una gita in canoa, su un fiume di cui non ricordo più il nome, e il mancato giro in aereo perché costava troppo. Avrei voluto traversare il confine con il Guatemala per vedere altri tesori Inca e Maya, ma il tempo era tiranno e tutto non si poteva fare in poche settimane. Mi sono rimasti impressi i mariachi che mi svegliavano la notte nell'alberghetto che avevo preso in centro città e dei rivoli d'acqua in canoa nell'hinterland della capitale.













Da San Francisco a Civitavecchia








Li porto sull'enorme nave da crociera a Civitavecchia. Vivono a Oakland, dall'altra parte del ponte di San Francisco in California. Lui è psicologo e lei aiuta gli anziani. Sono tre settimane in vacanza, ma Roma la faranno dopo per 4 giorni dopo all'hotel 'Colosseo'. Gli racconto del mio viaggio a Los Angeles, nel Colorado, a Miami e a Newe York.








San Francisco.













In quattro dalla Norvegia








Mi piacciono questi norvegesi. Sono belli educati, puliti. Sono due coppie che vogliono prendere il treno. Gli dico che in quattro spendono meno con me. Li porto all'hotel 'IQ' in via Firenze 8. "Se volete vi regaliamo Berlusconi", gli dico. "Non ci interessa. Tenetevelo pure", risponde una di loro schifata.








Oslo e dintorni.




Il ciccione viennese


Lo trovo verso le otto di un sabato mattina mentre orde di pellegrini inseguono un beato cadavere. E' bello ciccione, di Vienna, e deve andare all'hotel 'Grand Fleming', sull'omonima collina sopra Corsa Francia. Parla poco, è timido ed ansima. Tieni i biglietti da dieci euro piegati in due nella parte lunga del,piccolo portafoglio. Ne prende quattro. A San Pietro ci andrà lunedì, domani c'è troppa gente per Papa Woytila.







Vienna.



Da Buffalo a Napoli


A volte, negli androni degli aeroporti, trovi persone speciali. Come Andrew, un ragazzo venticinquenne di Buffalo, negli Usa, che va a trovare a Napoli i cugini lasciati dai nonni emigranti. In America, nel posto più freddo che c'è e che era la patria dei bisonti, vende apparecchiature per i denti e il lavoro gli va bene. Lo porto a Termini a prendere la 'Freccia Rossa' mentre gli racconto di quando giovane andavo a Miami, Los Angeles e New York. Mi chiede del matrimonio di Willem e Kate, della casata reale inglese, e gli dico che non me ne frega niente e che non capisco perché milioni di persone si interessano ad altri come i reali o il papa senza interessarsi un po' di più alla propria vita, che poi ha la stessa importanza, o forse di più perché è quella che ci è stata data a noi. Andrew sembra capire e condividere... .







Buffalo.



Da Amburgo in famiglia a via Marghera


Mi prendono alla sprovvista e per 30 euro accetto di portarli all'hotel 'Marghera', nell'omonima via vicino alla stazione Termini. Sono una tipica famiglia tedesca di Amburgo, nel Nord della Germania: il papà enorme e simpatico, sulla sessantina; la mamma che fa un po' tutto; e i due figli studenti universitari, di cui uno in economia con la scelta di studiare anche la lingua italiana. Proprio lui vuole anche andare a vedere Lazio-Juventus, lunedì 2 maggio alle 20.45 allo stadio Olimpico.





Amburgo.


Da Colombo all'Infernetto

In due anni ha avuto dieci giorni di ferie. Questo è quello di cui è capace un vecchietto di 76 anni dell'Infernetto che ha come badante un ragazzo dello Sri Lanka, Melson, che ha moglie e figli nel suo paese e che accetta 800 euro al mese per fare lo schiavo. Mi racconta della fine della lotta Tamil, delle loro religioni, della voglia di trovare un altro lavoro. Lo lascio sulla Cristoforo Colombo, vicino Castelfusano. E mi dico che siamo dei miserabili.

Colombo.


Solo per l'Hilton

Cinque euro per pochi metri, dall'aeroporto all'Hilton.

Usa.


Per l'ennesima volta mi hanno risequestrato l'auto, così su due piedi, con tutti i documenti, senza che abbia fatto niente ma basandosi su una 'confessione' estorta a due francesi impauriti e stupidi da una vigilessa stupida che li spaventava con possibili sanzioni perché erano saliti sulla mia macchina. Tutti si salvano condannando me. Insomma, io in auto non posso portare chi mi pare e fare quello che voglio perchè sennò, non è che mi fanno una multa per una cazzata, ma mi sequestrano l'auto destinandola a sicura rovina, impedendomi di avere una mia proprietà privata regolarmente pagata, di accompagnare i miei figli a scuola, di lavorare e di guadagnare. Sono in mano ad una stupida vigilessa trippo zelante a cui ho augurato gli succeda la stessa cosa e rifiutandomi qualsiasi tipo di collaborazione. Siamo in mano a dei barbari con la divisa frustrati che possono rovinarti la vita. Così ho deciso di chiuder questa mia esperienza, anche se ora non so cosa fare e come tirare avanti. Ma, poi mi dico, se parlo con chi crede nella madonna e nel diavolo, con chi sto poi parlando?


Da Milano all''Ambasciatori' per l'acciaio

Nel giorno dell'arrivo di Hillary Clinton a Roma, pochi giorni dopo l'uccisione di Osama Bin Laden, per decidere cosa fare il Libia con Gheddafi con questi mentecatti che ci governano, agli arrivi nazionali prendo per 40 euro una simpatica coppia cinquantenne che va all'hotel 'Ambasciatori', in via Veneto, per un convegno sull'acciaio.

Milano.


Dal Midi all'Aurelia Antica


Da Aix en Provence al 'Crown Plaza' sull'Aurelia Antica, con risate sulla mummia Berlusconi e i miei ricordi delle vendemmia nel 'Midi' di quarant'anni prima.

Aix en Province.


Da Atlanta al nuovo 'Marriott'

Una coppia benestante di colore da Atlanta, in Georgia, che ha perso lo shuttle per il nuovo 'Marriot, sopra il Gra. Ce li porto facilmente per 40 euro.

Atlanta.


Susan dal New Mexico

Susan ha una cinquantina d'anni e si è fatta un giro in Grecia, a Sorrento e ora a Roma, dove aspetta la figlia di 22 anni. Un taxi napoletano l'ha lasciata a Fiumicino per 300 euro. Io la porto al 'Crown Plaza' per 40. Forse poi a Firenze se riuscirò ad avere un'altra auto.

New Mexico. 


Conclusione

Ma non finisce qui. Ecco cosa mi capita andando dal giudice di pace a Fiumicino per far dissequestrare l'auto: "Gentile Direttore Cotral Spa, vengo con la presente a segnalarLe un increscioso episodio avvenuto lunedì 18 luglio 2011, alle 12,10, sulla via Portuense, all'altezza del numero civico 2460, a Fiumicino, proprio di fronte al Comune e al locale Commissariato. Mi ero recato con un mezzo Cotral, alle 7.15 dalla metropolitana Magliana, dal Giudice di Pace di Fiumicino per sbrigare una pratica, e alle 9.20 ero già alla fermata Cotral per ritornare a casa, verso Roma. Ma dopo tre ore, alle 12.10, ero ancora lì, sotto al sole e in mezzo al traffico, senza che nessun pullman passasse. E proprio a quell'ora che intravedo da lontano il colore blu dell'autobus e, spossato, faccio segno all'autista di fermarsi. Quest'ultimo invece tira diritto. Lo rincorro, perché c'era un vigile che ogni tanto fermava le auto allo stop del ponte limitrofo, gridandogli di aprire le porte e che ero lì da tre ore sotto il sole a 30 gradi ad aspettare il mezzo pubblico. Ma l'autista con un gesto di scherno continuava a non aprire le porte e ripartiva. Io battevo sulle porte per farmi aprire, finché alla fine un finestrino, quello dove dall'interno in caso di pericolo si picchia con un martelletto rosso, si è rotto improvvisamente in mille pezzi, tanto che il mio braccio sanguinava. E dalla ragione di un utente sdegnato sono passato dalla parte del torto. E' intervenuta la polizia del locale commissariato, a cui devo tutti i miei ringraziamenti per la gentilezza e la diligenza dimostrata: ma mi sono preso una denuncia penale per danneggiamento aggravato e sono stato fino alle 17 alla polizia di Ostia ad essere schedato come l'ultimo dei pregiudicati, insieme a due piccole zingarelle e un vecchio ladro di autoradio sul lungomare. Mancava poco che finivo anche in gattabuia. Una giornata da incubo, che poteva trasformarsi in tragedia, per la maleducazione e la prevaricazione di un Vostro dipendente. Chiedo che questo cattivo dipendente, di cui la polizia conosce nome e cognome, venga individuato e punito. Io, poi, me La vedrò con la giustizia.


Il ritorno del Buon samaritano

Dopo due anni il Buon samaritano è tornato, senza auto, ma sempre bisognoso di aiutare i più deboli del mondo. Oggi questi sono per lo più gli stranieri che vivono una vita da incubo nelle nostre metropoli. Mentre noi guardiamo questa stupida tv, loro muiono arsi nel sottopassaggio vicino alla ricca via Veneto della 'Dolce Vita', si arrabbattano insieme ai Rom nei cassonetti e alla Caritas per rivendersi i vestiti usati al cinodromo di ponte Marconi, ti mettono le banconote nel self service dei benzinai per poi andare a dormire all'adiaccio, si nascondono nella toilette dei treni perché non hanno i soldi per pagarsi il biglietto, lavorano sottopagati da dei bifolchi italiani.
Il Buon samaritano li tratta come uno di loro, condivide con loro gli stessi stenti, ruba con loro nei supermercati, rivende il parmigiano al mercato degli zingari, si fa cacciare dai vigili 'tolleranza zero' a Porta Portese, viaggia con loro negli autobus, fornisce loro le informazioni che chiedono, li difende quando qualcuno offende la loro dignità.













This is the end my friend