giovedì 30 luglio 2009

Impeachement del premier. A capo di un comitato d'affari.

Ormai è chiaro: siamo in mano ad un comitato d'affari presieduto da chi dovrebbe fare gli interessi di tutti gli italiani. Corrompono, manipolano, disinformano, rubano, per il loro personale tornaconto. Questi signori rappresentano solo loro stessi e devono andarsene.

"Le notizie sono tante ed emergono da vari fronti, ma il loro senso si racchiude in tre parole: implosione, disfacimento, secessione. Tre parole che non riguardano soltanto il governo, i partiti, l'economia, la scuola, il federalismo, l'immigrazione, la sicurezza, il Mezzogiorno, le mafie, ma riguardano l'intero sistema-paese. Riguardano l'Italia. Riguardano le istituzioni e lo Stato.Credo sia il momento di lanciare l'allarme rosso perché i segnali sono univoci: l'Italia, lo Stato italiano sono a rischio di implodere e non è uno scenario collocato in un futuro sia pur prossimo, ma già visibilmente in corso.Bombe a orologeria brillano una dopo l'altra. Alcune sono già esplose. Se le altre non saranno subito disinnescate, se non avrà inizio subito un'inversione virtuosa, tra qualche mese la conflagrazione sarà generale. Stiamo ballando sull'orlo di un vulcano e pochissimi se ne rendono conto. Tra quei pochissimi c'è sicuramente il Capo dello Stato. Se dovessi fare altri nomi significativi sarei molto imbarazzato. Il solo dato confortante è l'esistenza d'una massa cospicua di persone che percepiscono questa situazione di gravissima crisi e vorrebbero contribuire a spegnere gli incendi già appiccati e impedire che i focolai dilaghino; ma non hanno strumenti, non hanno punti di riferimento, hanno perso la fiducia o non sanno su chi riporla.Questa massa di persone, al di là degli schieramenti, della condizione sociale, della geografia, rappresenta un deposito di energie potenziali prezioso, ma purtroppo inerte; un esercito di riserva che nessuno è in grado di schierare; una sorta di vecchia e giovane guardia che se entrasse in linea oggi potrebbe capovolgere gli esiti di questa deriva. Sarebbe un miracolo. Io non credo nei miracoli ma in questo ancora ci spero.* * *Citerò un esempio dell'implosione in corso, tra i tanti che si possono fare: la penosa vicenda del decreto legge anticrisi che si è conclusa ieri dopo settimane e giorni di reiterati strappi istituzionali e costituzionali.Il governo emana un decreto che contiene misure urgenti per fronteggiare la crisi economica. Il presidente della Repubblica, al quale non compete di esaminare il merito di quelle misure ma soltanto la loro urgenza, ravvisa che questo requisito esiste e ne autorizza la presentazione in Parlamento. Il provvedimento di conversione del decreto, che deve compiersi entro 60 giorni, inizia alla Camera dei deputati. Le competenti commissioni lo esaminano ma mentre l'esame è già in corso cominciano a piovere emendamenti di estrema importanza presentati dal governo, sicché la materia da esaminare cambia in continuazione sotto gli occhi dei deputati e del presidente della Camera.Vengono introdotte norme su questioni di grande rilievo tra le quali lo scudo fiscale, la sanatoria per le badanti, spostamenti di risorse e di spese da un capitolo di bilancio ad un altro ed infine un complesso di norme che di fatto tolgono alla Corte dei Conti i poteri effettivi di indagine dei quali dispone.La pioggia degli emendamenti è talmente copiosa da trasformare il decreto in una sorta di "passe-partout" senza alcun riguardo né all'omogeneità delle norme né alla loro urgenza. La lista degli articoli, dei commi e degli allegati si allarga a dismisura. Il presidente della Camera cerca di arginare quel diluvio ma riesce solo ad aprire un ombrellino bucherellato.Alla fine, dopo l'ultimo emendamento inserito mezz'ora prima, il decreto va al voto su cui il governo ha posto la fiducia e passa con una stentata maggioranza, molto minore di quella di cui il governo dispone sulla carta.A questo punto il Capo dello Stato convoca al Quirinale il ministro Tremonti, autore del decreto e di gran parte degli emendamenti che l'hanno trasformato, e in un colloquio di tre ore gli segnala una serie di punti istituzionalmente e costituzionalmente irricevibili. Si augura che il Senato in seconda lettura li emendi, fa capire che in caso contrario rinvierà il decreto alle Camere per un secondo esame come la Costituzione gli dà il potere di fare.Tremonti ascolta, discute, controbatte; alla fine si impegna ad emendare il decreto. Ma poco dopo fa sapere che le correzioni suggerite da Napolitano non avverranno in Senato dove invece il decreto sarà approvato e convertito in legge con (ennesimo) voto di fiducia senza cambiare una sola virgola. La correzione avverrà subito dopo attraverso un decreto-bis (anch'esso da convertire in legge) che modificherà la legge appena approvata.Una procedura macchinosa al limite della Costituzionalità, voluta dal governo per un solo ma decisivo motivo: il timore che la maggioranza al Senato si sfaldi e la legge affondi. Con un nuovo decreto ci saranno invece altri due mesi di tempo.Il Capo dello Stato accetta questa procedura (che ha un precedente che può giustificarla) ma mette una condizione: il nuovo decreto dovrà essere emesso un minuto dopo il passaggio del vecchio decreto al Senato. Napolitano firmerà contemporaneamente la promulgazione della legge e il decreto-bis che la modifica, che è quanto finalmente è avvenuto ieri.Ho motivo di pensare che il presidente della Repubblica avrebbe di gran lunga preferito che gli emendamenti da lui sollecitati fossero decisi dal Senato. Ma ho anche motivo di pensare che a Napolitano stesse più a cuore che la legge fosse emendata piuttosto che la procedura per ottenere quel risultato.La morale che emerge da questa penosa vicenda è la seguente: il governo se ne infischia della Costituzione ed anzi opera in tutte le occasioni per svuotarla usando strumenti di urgenza anche dove l'urgenza non c'è e usandoli in modo da scavalcare filtri ed ostacoli. Si è arrivati al punto che una norma di legge fiscale, quella sul pagamento delle imposte da parte dei terremotati dell'Aquila, sia stata emendata con una circolare della Protezione civile anziché con un provvedimento legislativo perché il governo non si fida più della sua maggioranza se non vincolandola con il voto di fiducia. Questo è solo un esempio che dimostra il marasma istituzionale in cui ci troviamo. La Lega nord è perfettamente consapevole di questo marasma come del resto lo siamo tutti. Ma la Lega non ne è affatto allarmata, anzi lo desidera. La Lega è un piromane che attizza l'incendio. Per mimetismo è spuntato un altro piromane in Sicilia. Se la Lega incendia anche la Sicilia incendierà. Se il governo si schiera con il leghismo di Bossi e di Tremonti, anche i siciliani adotteranno il metodo del ricatto e frantumeranno la maggioranza.Per evitare (per ora) l'incendio generale Berlusconi sgancia a Palermo quattro miliardi e (per ora) il leghismo siciliano rinfodera le armi. Quei 4 miliardi in realtà sono finti, prelevati da risorse già destinate alla Sicilia ma bloccate. Semplicemente sono state sbloccate anche se la cassa non ci sarà fino al 2010.A questo punto entrano in fibrillazione la Calabria, la Basilicata, la Puglia. Ma anche la Liguria, il Veneto, il Piemonte. Perché la Sicilia sì e gli altri no?Berlusconi promette un piano Marshall per il Sud ma se ne riparlerà a settembre e i fondi comunque sono sempre quelli già stanziati ma non disponibili. La cassa ci sarà, a dio piacendo, tra il 2010 e il 2013. Intanto la secessione silenziosa della Lega va avanti. L'esercito italiano è un'espressione "nazionale" e come tale si dà carico di rappresentare il paese nei luoghi dove la pace è minacciata dal terrorismo o da altre emergenze. Ma alla Lega nulla importa che l'Italia sia presente come Stato e chiede il ritiro da tutte le missioni all'estero. Meglio impiegare i soldati per spazzare i rifiuti e per impedire gli sbarchi dei migranti.La scuola ha una missione culturale nazionale ma la Lega se ne infischia anzi non le piace affatto. Comincia col chiedere un esame di dialetto per i docenti destinati al nord, poi ripiega (ripiega?) su la nascita dei docenti nel territorio e su un esame di abilitazione per la storia e il linguaggio locale. Il ministro Gelmini acconsente.La Lega non vuole l'integrazione degli immigrati regolari e cerca di seminarla di ostacoli. Sapete, cari lettori, quanti sono oggi gli immigrati regolari? Sono ormai cinque milioni, una massa di persone eguale agli abitanti del Lazio. Ma non si fermeranno qui. Fanno figli, chiamano a raggiungerli altri membri della famiglia, pagano tasse, reclamano diritti. Quale politica si farà per integrare questo flusso? Quanto costerà? Quanto renderà? Nessuno se ne preoccupa. Così il federalismo. Così la Sanità. Quanto costerà il federalismo? Tremonti non dà cifre perché non le ha. Il costo del federalismo è come il budino: sapremo qual è solo dopo averlo mangiato. Intanto si procede alla cieca perché così vuole la Lega e così vuole Berlusconi che è sotto ricatto: se la Lega lo lasciasse cadrebbe il giorno dopo, anzi quel giorno stesso. Questa è l'implosione, il disfacimento, la secessione silenziosa. Questo è l'allarme rosso che è necessario lanciare.P. S. Ho chiesto domenica scorsa che fine avessero fatto i 35 miliardi di maggiori spese ordinarie fatte dal governo senza che se ne conosca la destinazione e il perché. Ovviamente il ministro dell'Economia non ha risposto. Né, nelle sedi istituzionali, è stato incalzato a rispondere. Ha risposto sulle minori entrate ma non sullo sfondamento sorprendente della spesa ordinaria.Mi permetto di domandare a Casini, a Franceschini, a Bersani, a Di Pietro, a Ferrero: a voi non interessa sapere perché uno sfondamento così sorprendente è avvenuto? La più pesante manovra finanziaria degli ultimi vent'anni fu quella fatta da Giuliano Amato nel 1992: novantamila miliardi di lire. Lo sfondamento della spesa di quest'anno (35 miliardi di euro) è pari a 70 mila miliardi di lire. Nessuno è interessato a capire in quale buco nero e perché sono finiti?". (Eugenio Scalfari)

martedì 28 luglio 2009

Jonathan.


Impeachement del premier. Emana leggi razziali.

"Bambini invisibili. Neonati sottratti a ogni controllo di legalità e sconosciuti all'anagrafe. Migliaia di figli d'immigrati irregolari, senza identità. A lanciare nuovamente l'allarme sull'impossibilità per i genitori senza permesso di soggiorno di riconoscere i propri figli al momento della nascita è Giovanni Daveti, funzionario responsabile per gli affari che riguardano la comunità cinese alla prefettura di Prato. "Nel pacchetto sicurezza - spiega Daveti al Tirreno - è inserita una norma che obbliga i clandestini a mostrare il permesso di soggiorno negli atti di Stato civile. Attualmente non abbiamo alcuna circolare che ci spieghi come comportarci nel dettaglio: dall'8 agosto, quando entrerà in vigore la legge, noi avremo neonati che non potranno essere riconosciuti dai genitori, se entrambi clandestini. L'unica via praticabile sembra quella di affidarli ai servizi sociali. Solo nei primi sei mesi del 2009 a Prato sono nati 412 bambini in questa condizione". Il Viminale tuttavia smentisce le informazioni definendole "destituite di fondamento"."Nessuna previsione in tal senso è contenuta nella legge appena pubblicata sulla gazzetta ufficiale - si legge in una nota del ministero dell'Interno - infatti per gli atti di stato civile, tra cui rientra quello di nascita, non è richiesta l'esibizione del permesso di soggiorno, trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del neonato, nell'interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto". Le dichiarazioni, continua la nota, possono essere rese "anche dal medico, dall'ostetrica o da qualsiasi altra persona che abbia assistito al parto". Inoltre, in base al testo unico sull'immigrazione, "le straniere irregolari che hanno un figlio, hanno titolo a un permesso di soggiorno con validità fino a sei mesi dopo il parto, che può essere rilasciato al padre".
Al centro della polemica torna dunque la nuova legge sulla sicurezza. In particolare l'articolo 1 comma 22, lett. G, che introduce l'obbligo per il cittadino straniero di esibire il permesso di soggiorno in sede di richiesta di provvedimenti riguardanti gli atti di stato civile, tra i quali sono inclusi anche gli atti di nascita. Vengono invece esclusi da quest'obbligo gli atti "inerenti all'accesso alle prestazioni sanitarie e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie". Insomma almeno il pericolo di medici-spia e presidi-spia è stato scongiurato. Rimane il fatto che l'ufficiale dello stato civile non potrà ricevere la dichiarazione di nascita né di riconoscimento del figlio naturale da parte di genitori stranieri privi di permesso di soggiorno. Qui interviene però il Testo unico sull'immigrazione (articolo 19, Divieti di espulsione e di respingimento), che prevede permessi di soggiorno per maternità, ovvero concessi alle donne irregolari che, essendo incinte, hanno bisogno di essere sottoposte a cure e visite mediche. Tale permesso di soggiorno copre l'intera durata della gravidanza e i primi sei mesi di vita del bambino, non consente di lavorare e non è rinnovabile né convertibile. Ciò significa che allo scadere del tempo previsto dal permesso di soggiorno, la madre ritorna ad essere una irregolare unitamente a suo figlio che, però, ha il diritto di andare a scuola e di essere curato. Dunque: la madre irregolare potrà denunciare la nascita di un figlio, in quanto titolare di questo permesso di soggiorno per sei mesi. Chiaro? Non proprio. Anche questa possibilità ha dei limiti. "Primo - spiega Marco Paggi, avvocato dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione - il permesso speciale spetta solo alla madre e non anche al padre naturale, che se irregolare non potrà denunciare il proprio figlio. Secondo, il permesso di soggiorno per cure mediche raramente viene dato a una madre in assenza di un alloggio: dunque le donne senza domicilio potrebbero rimanere nella clandestinità. Terzo, chiedendo questo permesso di soggiorno speciale, le donne incinta si autodenunciano, con il rischio di venire espulse dopo i sei mesi. Tutto questo rende di fatto l'anagrafe vietata ai genitori irregolari". Non solo. Secondo Giovanni Daveti ottenere il permesso di soggiorno temporaneo per le donne in stato di gravidanza sarà molto più difficile. "Fino ad oggi - sostiene - una donna andava dal medico e si faceva fare un certificato dove si diceva che aspettava un bambino. Questo consentiva di avere un permesso di soggiorno in genere di 6 mesi. Oggi con i medici che possono denunciare i clandestini questa prassi sarà molto più difficile. Per le donne sarà un rischio troppo alto". (La Repubblica)

lunedì 27 luglio 2009

Inconnus.


Ghanian King.


Impeachement del premier. Corruttore di giudici.

"Buongiorno a tutti. Utilizziamo i passaparola di questo periodo vacanziero per fare degli appuntamenti un po’ più brevi del solito e per dare una sistematina a alcune questioni pendenti, che spesso ricorrono anche nelle vostre domande, nei vostri post, nelle vostre richieste di spiegazioni. Quella di cui voglio parlarvi oggi è la faccenda Mondadori, perché sta per arrivare a sentenza - non si sa ancora se prima o dopo le ferie - una vicenda che potrebbe chiudere la famosa guerra di Segrate, la guerra che, tra il 1989 e il 1990, contrappose De Benedetti a Berlusconi per il possesso della Mondadori: qualcuno ricorderà come era iniziata, ve la sintetizzo.
Nell’89 Berlusconi prende una piccola quota della Mondadori, il mandato che si è dato e che gli ha dato anche Craxi dopo l’occupazione di tutte le televisioni private è quello di mettere le mani anche sul più grande gruppo editoriale italiano che, in quel momento, pubblicava Repubblica, Espresso, Epoca, Panorama, una quindicina di giornali locali, quelli del gruppo Finegil e poi tutto il ramo libri, perché era un gruppo dove la libertà di stampa era una cosa seria e quindi era un gruppo giornalistico e editoriale che faceva le pulci al Caf di Craxi, Andreotti e Forlani e che, conseguentemente, Craxi voleva ricondurre all’obbedienza, come aveva fatto con le televisioni private. Berlusconi speranze di occupare la Mondadori al 100% e neanche di ottenere la maggioranza non ne aveva, perché gli eredi Mondadori, gli eredi di Arnoldo, la famiglia Mondadori Formenton si era già impegnata per iscritto a cedere a De Benedetti la maggioranza azionaria di quelle quote entro il 1990 e quindi Berlusconi avrebbe potuto soltanto avere una quota minoritaria. Ma lui non si perse d’animo e, con le sue solite arti persuasive, per usare un eufemismo, convinse gli eredi Mondadori a promettere per iscritto a lui ciò che avevano appena promesso a De Benedetti. Contenzioso, si decise tra le due parti in lite di affidarlo a un arbitrato, ossia a una soluzione extragiudiziale, i tre arbitri, scelti uno da una parte, uno dall’altra parte e l’altro scelto dal Tribunale, il Presidente del collegio arbitrale, emisero il famoso Lodo Mondadori che dava ragione a De Benedetti e quindi quest’ultimo tornò in possesso della casa editrice. A quel punto Berlusconi rovesciò il tavolo e impugnò il tutto davanti Corte d’Appello di Roma, la Corte d’Appello di Roma, Sezione Civile, fu chiamata a confermare o a bocciare il Lodo e a occuparsene fu chiamato un giudice amico di Cesare Previti, il giudice Vittorio Metta il quale, in una sentenza fulminea, riuscì a ribaltare il Lodo, a cancellarlo e quindi a sfilare la Mondadori dalle mani di De Benedetti e a consegnarla a Berlusconi. Subito dopo questa sentenza Metta ricevette 420 milioni di lire in contanti provenienti da fondi neri del gruppo Fininvest in Svizzera, a portarli in Italia era stata una complessa operazione finanziaria che aveva coinvolto tutti e tre gli Avvocati della Fininvest: Previti, Pacifico e Acampora. Il fatto che questa sentenza fosse piuttosto puzzolente derivò anche dal fatto che fu depositata, nei primi giorni del 1990, 24 ore dopo la Camera di Consiglio, ossia il giudice entrò in Camera di Consiglio e ne uscì 24 ore dopo con una sentenza scritta a mano di 180 pagine: è segno che o era meglio di Balzac e era riuscito a scrivere a mano in una sola notte 180 pagine, anzi scusate 169 pagine, oppure quella sentenza l’aveva scritta prima o magari non l’aveva neanche scritta lui e, in effetti, pare che fosse stata scritta o suggerita dagli Avvocati della Fininvest, che poi lo corruppero in cambio di quella sentenza comprata. Risultato: Berlusconi si trova in mano il gruppo Mondadori, spaventa la parte della Democrazia Cristiana che vede con sospetto l’ascesa di Craxi e quindi Andreotti, alla fine, impone al ladro di restituire una parte del maltolto: è un po’ come imporre a uno che ha rubato una macchina di restituire il tubo di scappamento, il cambio e il volante. Berlusconi e soci restituirono Repubblica, L’Espresso e i giornali Finegil, mentre del gruppo Mondadori si tenne tutto il resto dei giornali, compresi Panorama e Epoca, che all’epoca andavano molto forti e poi tutto il ramo libri. Dal 1990 Berlusconi è proprietario di una casa editrice che è stata rubata a De Benedetti con una sentenza comprata: questo è il quadro.
Molti chiedono: ma perché De Benedetti non l’ha richiesta indietro? E’ possibile che la Cassazione abbia condannato il giudice Metta per corruzione giudiziaria, gli Avvocati Previti, Pacifico e Acampora per averlo corrotto per conto di Berlusconi con soldi di Berlusconi per procacciare la Mondadori a Berlusconi e De Benedetti non chieda la Mondadori indietro? In realtà non è così semplice: non si può chiedere indietro la macchina rubata, anche perché nel frattempo la macchina ha cambiato fisionomia. Sicuramente si possono chiedere i danni e infatti De Benedetti, dopo che la Corte di Cassazione ha stabilito non solo che gli Avvocati di Berlusconi e il giudice Metta erano colpevoli di corruzione, ma la Corte di Cassazione ha anche stabilito - cito testualmente - “il diritto di De Benedetti a avere indietro, in separata causa civile, il danno emergente e il lucro cessante”. E’ evidente, il danno che ti hanno portato via la roba e, nello stesso tempo, il fatto che tu per anni non hai potuto introitare gli utili di un gruppo che sarebbe stato tuo, se quella sentenza non te l’avesse sottratto. “Sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari”. E’ ovvio che il gruppo Fininvest, avendo un colosso in più nel suo seno, ha potuto prosperare anche dopo la quotazione in borsa di Mediaset nel 1996 e invece De Benedetti, con la sua Finanziaria - la Cir -, si è visto portare via due gioiellini da niente: prima la Mondadori, anzi prima la Sme e poi la Mondatori, sempre per l’intervento di Berlusconi, più o meno pilotato da Craxi.Questa causa civile è una causa della quale nessuno parla: ne ha parlato Rinaldo Gianola su L’Unità l’altro giorno e era, credo, il primo articolo dopo anni, per dire che la causa c’è e anzi, sta per andare in decisione; l’istruttoria è finita e il giudice monocratico Raimondo Mesiano, della Decima Sezione Civile del Tribunale di Milano, è in fase di decisione, sta decidendo. Sta decidendo su che cosa? Sul fatto che la Cir di De Benedetti, tramite gli Avvocati Elisabetta Rubini e Vincenzo Roppo, ha quantificato il danno che De Benedetti chiede indietro. Sono 468.000 e rotti Euro, che poi vanno naturalmente adeguati agli interessi e alla rivalutazione monetaria e che quindi ammontano a 1 miliardo di Euro, sono circa duemila miliardi di vecchie lire e questo De Benedetti chiede a Berlusconi, che non solo gli ha fregato la Mondadori, ma poi se la è tenuta e ci ha guadagnato per venti anni e continua a guadagnarci tutt’ora. La causa la Cir l’ha intentata solo alla Fininvest e non anche alle persone che, materialmente, hanno compravenduto la sentenza: perché? Perché sia Previti, sia Pacifico e sia Acampora e sia Metta risultano praticamente quasi nulla tenenti e quindi è inutile andare a cercare dei soldi, perché evidentemente o non li hanno o li hanno fatti sparire. Il problema è che poi c’è il comportamento di Metta, che era un giudice quando si è venduto la sentenza e quindi potrebbe doverne rispondere lo Stato del danno che Metta ha inferto al gruppo De Benedetti e lo Stato in questo momento è rappresentato da Berlusconi, conseguentemente è possibile che il governo Berlusconi sia chiamato, tramite il Ministero della Giustizia, a rifondere i danni che Metta ha provocato per essere stato pagato dal gruppo Berlusconi e questo è uno dei tanti aspetti paradossali della vicenda. Ma naturalmente, se per caso dovesse esserci una condanna del gruppo Fininvest a rifondere i danni a De Benedetti per la faccenda Mondadori beh, il gruppo Berlusconi ne avrebbe, a suo volta, un bel contraccolpo: già sono in difficoltà per la causa di divorzio di Veronica, che ogni settimana segna le novità che emergano sugli scandali di puttanopoli etc. etc. e, dall’altra, avrebbe pure questa mazzata, sempre nel caso che il gruppo venisse condannato, naturalmente.
La cosa interessante è che, a questo punto, rimane in sospeso una domanda: dice, ma Berlusconi, che era il mandante, il finanziatore e il destinatario, diciamo l’utilizzatore finale di quella sentenza comprata, è possibile che l’abbia fatta franca? Sì, è possibile, perché ha incontrato dei giudici spiritosi della Corte d’Appello di Milano che, nel 2001, tra il 2001 e il 2002, adesso non ricordo esattamente la data, hanno stabilito che lui ha diritto alla prescrizione, perché ha le attenuanti generiche, perché gli hanno dato le attenuanti generiche? Perché è uno che per la sua posizione sociale di per sé le merita e poi perché, scrivevano i giudici, a Roma si sapeva che molti giudici erano corrotti e quindi così fanno tutti, invece che un’aggravante diventa addirittura un’attenuante. E’ uscito ufficialmente dal processo, ma poi , quando si sono dovuti giudicare i suoi complici, il giudice Metta e gli Avvocati Previti, Pacifico e Acampora, i giudici hanno dovuto pronunciarsi anche sul ruolo che ha avuto Berlusconi in questa vicenda e abbiamo una sentenza definitiva della Corte d’Appello di Milano, che è stata confermata ormai due anni fa, anzi tre anni fa dalla Corte di Cassazione, nella quale c’è scritto “Silvio Berlusconi, nei cui confronti è stata emessa sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, che ben poteva chiarire la causale del bonifico addebitato da conto non ufficiale del suo gruppo - i soldi che sono poi finiti al giudice Metta - dopo aver concordato la data del suo esame - cioè del suo interrogatorio - comunicava tramite i suoi legali la volontà di avvalersi della facoltà di non rispondere”. Quando gli fanno quelle domande lui non risponde mai, anche quando gli hanno chiesto da dove arrivassero i famosi soldi negli anni 70 e 80. “Il percorso del denaro dai vari conti Svizzeri”, scrivono i giudici, “costituisce un imponente quadro indiziario preciso, univoco e concordante, tale da assurgere a piena prova e consente di affermare che il giudice Metta ha venduto agli stessi intermediari, nello stesso periodo, anche la causa Mondadori", dopo essersi venduto pure la causa Imi-Sir, pochi mesi prima. Aggiungono poi, i giudici, che “ Berlusconi è, in questa vicenda, un privato corruttore” e quindi risponde non di corruzione giudiziaria, ma di corruzione semplice, sulla quale ha avuto la prescrizione per le attenuanti generiche, esattamente come Previti, Pacifico e Acampora, che però non hanno avuto le attenuanti generiche e quindi sono stati condannati. Scrivono i giudici “ l’attività degli estranei nella consegna del compenso illecito si sostituisce a una condotta che, altrimenti, sarebbe giocoforza posta in essere in via diretta dal privato interessato”, cioè da Berlusconi, quindi usava degli intermediari. E’ un po’ come nella storia della D'Addario, no? C’è il pappone che paga e c’è l’utilizzatore finale che tromba, ma non deve neanche sporcarsi le mani con i soldi. “La retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”, il corruttore è il nostro Presidente del Consiglio, tanto perché sia chiaro e poi “niente generiche agli intermediari e al giudice, perché- scrivono i magistrati - l’enorme gravità del reato e la gravità del danno arrecato non solo alla giustizia, ma all’intera comunità, minando i principi posti alla base della convivenza civile, secondo i quali la giurisdizione è valore e presidio a tutela di tutti i cittadini, ma un conseguente ulteriore profilo di gravità per l’enorme nocumento cagionato alla controparte - cioè a De Benedetti - nella causa civile e per le ricadute sul sistema editoriale italiano, trattandosi di una controversia, la cosiddetta guerra di Segrate, finalizzata al controllo dei mezzi di informazione” e poi ancora “niente attenuanti per la spiccata intensità del dolo”, ossia della volontà di fare un reato grave“ e ancora per i motivi a delinquere determinati solo dal fine di lucro e, più esattamente, dal fine di raggiungere una ricchezza mai ritenuta sufficiente” e ancora “per i comportamenti processuali tenuti da Previti e dagli altri” che, invece di comportarsi bene, “hanno continuato - scrivono i giudici - a rendere continue e spudorate menzogne” e poi per il precedente penale specifico da parte di tutti i protagonisti condannati, Metta e i tre Avvocati, che si erano appena compravenduti l’altra sentenza, quella dell'Imi-Sir per conto della famiglia Rovelli. Quindi capite che qui stiamo parlando di un qualcosa che è già stato accertato giudiziariamente e che va soltanto quantificato dal giudice civile. Vedremo se si troverà un giudice coraggioso che avrà il coraggio, finalmente, di stabilire non soltanto che la Mondatori è stata rubata, non soltanto che a compravendere quella sentenza furono quel giudice e quei tre Avvocati di Berlusconi, ma che oggi il gruppo Berlusconi deve finalmente, con quasi venti anni di ritardo, risarcire chi è stato derubato. Passate parola e continuate a frequentare il sito antefatto.it per seguire passo passo la campagna abbonamenti e i primi inizi, i primi passi del nostro futuro quotidiano, Il Fatto Quotidiano. Grazie". (Marco Travaglio)

domenica 26 luglio 2009

impeachement del premier. Esempio negativo per gli italiani.

"Caro comune senso del pudore,so che esisti ancora, da qualche parte, e sei in ascolto. Nascosto in qualche irriducibile italiano. Non sei più comune, appartieni a una minoranza. Sei un relitto del passato, un retaggio di moralisti, di qualunquisti, piagnoni. L'oltraggio al pudore non è più oltraggio, ma benemerenza. La vergogna è un ostacolo verso la felicità individuale. I freni inibitori un problema sociale. Ci sono intere categorie di cittadini che sono diventate spudorate, in modo pubblico, plateale. Non devono più nascondersi. E' stato un processo lungo e difficile, durato un ventennio, ma ci siamo riusciti, siamo diventati spudorati consapevoli. La mamma è morta, quella signora che ci obbligava a un contegno in pubblico, al decoro personale. Il padre è mancato da tempo, quello di ora è un fratello anziano, simpatico, talvolta un po' scemo. Se parlasse di onestà e di etica, di rispetto e di senso della famiglia, non sarebbe credibile. Un po' come Veltroni quando parla di conflitto di interesse o dello psiconano che loda i valori della famiglia e vuole la comunione per i divorziati. Il prete non condanna più la corruzione pubblica e comportamenti postribolari. Si accontenta dello sgravio dell'Ici e dell'otto per mille.Le parti intime sono diventate risorse da esibire, talenti naturali da sfruttare. Nasconderle è un peccato, una cosa contro natura. In una società spudorata anche l'informazione è spudorata. Orgogliosa nel fare gli interessi del padrone, chiunque sia il padrone, e affermare il contrario del vero. Lo spudorato può delinquere senza sentirsi più in libertà vigilata. Il lezzo criminale è diventato un profumo di alta classe, uno Chanel numero 5. Chi ancora è preda del pudore è un portatore di un nuovo handicap sociale. E' un minorato della libertà di farsi i cazzi propri.Gaber, molti anni fa, cantava: "Non arrossire, quando ti guardo...". Oggi arrossiscono solo i pesci rossi. La riprovazione sociale di un tempo è diventata approvazione entusiasta di ogni comportamento illecito. L'illecito non punibile non è più illecito. E chi lo condanna è un sovvertitore dell'ordine sociale. L'esempio viene dall'alto e se lassù possono peccare senza un'ombra di rossore, perché non darci dentro? Il Lodo Alfano ha reso Napolitano, Schifani, Fini e Berlusconi immuni dal giudizio della Legge. Non hanno provato vergogna, ed è giusto così. In un Paese di spudorati chi non è spudorato tiri la prima pietra". (Beppe Grillo)

venerdì 24 luglio 2009

Impeachement del premier. Adesso tutti chiedono che lasci.

Ormai la spallata finale è alle porte. I comportamenti dell'inquilino di palazzo chigi sono noti a tutti e la sua mediocrità morale appare evidente. Una raccolta di firme è partita su il quotidiano 'la repubblica' su quegli aspetti da cui mesi fa era partito una campagna in sordina su questo blog, naturalmente meno noto ai più, ma comunque sostenuto da diversi lettori. Non ci interessa il merito della richiesta, avanzata anche da altri settori in tempi non sospetti. Ci interessa molto, invece, che questo premier lasci e che si possa ricondurre il nostro Paese su una linea retta.

"Caro direttore, le cronache di questi giorni raccontano di un paese che non reagisce ai gravi comportamenti del presidente del Consiglio. Non esiste nessun paese al mondo che tolleri le menzogne dei propri governanti.Siamo un caso unico. Sono state davvero poche le voci che hanno cercato di non far passare il tempo per evitare che l'assuefazione addormenti la coscienza pubblica.Sì, in questo momento noi crediamo che occorra uno scatto d'orgoglio di tutti gli italiani che pensano che la menzogna sia un danno al paese e alla sua credibilità. Se Berlusconi sia un santo o no interessa davvero poco.Qui si parla di una questione politica e le domande che emergono impongono risposte non equivoche. Si può impunemente mentire al paese? Si è messa a rischio la sicurezza nazionale? Quanto si sono sovrapposti gli interessi privati alle funzioni pubbliche? Le questioni sono decisive. Riguardano la credibilità delle istituzioni e l'autorevolezza della classe dirigente.Non è superfluo ricordare quanto impone l'articolo 54 della nostra Costituzione: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore". Quello che emerge dalle inchieste giudiziarie non può essere considerato il fatto personale di un "utilizzatore finale". Coinvolge tutti e non può essere accantonato dalla politica. Soprattutto dal Partito Democratico.Ecco perché invitiamo il nostro partito a utilizzare le sue feste e le sue iniziative per rilanciare nel paese una profonda riflessione sui danni che sta provocando il Presidente del Consiglio. In questo momento tutti coloro che vogliono bene al nostro paese, in qualsiasi formazione militino, devono trovare il coraggio di non girarsi dall'altra parte". (Rita Borsellino, Gianrico Carofiglio, Sergio Cofferati, David Sassòli, Debora Serracchiani, Luigi Zanda)

"Non sono un santo", ha dichiarato Berlusconi, meritandosi i titoli di apertura di tutti i giornali. È davvero una ammissione di colpevolezza, una assunzione di responsabilità rispetto al pericolo serio in cui ha messo la sicurezza dello stato con i suoi comportamenti a dir poco sventati, e rispetto alle menzogne profuse con generosità al paese?Persino gli ambienti della Santa Sede sembrano aver accolto con benevolo favore questa ammissione, mostrando ancora una volta quanta real politik ci sia nell'atteggiamento della gerarchia cattolica nei confronti dei politici italiani. Pronta a chiudere non uno, ma due occhi di fronte alle nefandezze comportamentali, purché (verrebbe da dire, in cambio) sia assicurato il mantenimento e l'approvazione delle norme che le stanno a cuore, anche se contro il principio di sovranità dello stato e di rispetto della libertà dei cittadini. Viceversa pronta ad attaccare violentemente i politici, specie se cattolici, che tentano di trovare ragionevoli equilibri normativi tra le diverse opzioni valoriali. Ne sanno qualche cosa Prodi e Bindi.In realtà a me sembra che, con la solita furbizia e tempismo, Berlusconi abbia semplicemente detto, strizzando l'occhio alla platea di cittadini maschi, ma anche di un bel po' di donne: sono uno come voi, solo più fortunato e più potente. Sono un "maschio vero", e per questo potenzialmente incontenibile e incontinente. A differenza di voi, mi posso permettere tutte le donne giovani e carine (e disponibili) che voglio, perché le posso pagare sia direttamente sia utilizzando risorse pubbliche (posti di lavoro, candidature in parlamento, ministeri). Per questo ci sono schiere di "belle figliole", anche non necessariamente già professioniste del ramo, disposte ad accettare un mio invito, anche con il consenso dei genitori.Questo tipo specifico di "non santità", in effetti, è la realizzazione dei sogni più o meno inconfessati molti maschi italiani (anche russi, a leggere la Komsomolskaia Pravda) - a prescindere dal colore politico. E lusinga tutte quelle donne giovani e meno giovani che perdono la testa per gli uomini forti e potenti. E sono disponibili, come le mamme degli stupratori, a trovare loro ogni tipo di scusante, compresa la cattiveria femminile. O le donne che, più cinicamente, hanno deciso di fare del proprio corpo e della propria sessualità il proprio strumento di lavoro, o di accesso al lavoro, in una società dove abbondano i maschi guardoni e segretamente mandrilli. Una società che sembra avere della sessualità una concezione sfruttatoria, coattiva e ripetitiva, svincolata da ogni dimensione relazionale, mortalmente triste. Molte donne italiane sono soffocate e umiliate da questa situazione e si ribellano. Ma non si sentono uomini ribellarsi a questa immagine della maschilità e dei rapporti uomo-donna che suggerisce.E' questa complicità sotterranea di una parte grande della società italiana che permette a Berlusconi la sfrontatezza che conosciamo e a cui si è rivolto con quella banale, ma furba, ammissione. Una complicità, verrebbe da dire, a tutto campo, che riguarda le sue imprese sessuali con corollario di scambio sesso-potere, ma anche i vari conflitti di interesse e le imprese finanziarie non sempre limpide. Del resto, che cosa ci si può aspettare in un paese che approva solennemente codici etici quando basterebbe fare rispettare il codice civile e penale? Ovvero dove non imbrogliare assurge a dimensione etica alta e non è il normale atteggiamento che ci si deve attendere nei rapporti commerciali e non? Se Berlusconi è un problema per la nostra democrazia, lo è ancora di più la complicità di larga parte della società civile, con il benevolo silenzio-assenso della gerarchia cattolica". (Chiara Saraceno)

giovedì 23 luglio 2009

Una bella notizia: De Magistris al posto giusto in Europa.

"Luigi de Magistris è stato eletto presidente della Commissione Controllo Bilancio dell'Unione Europea. E' la migliore notizia dell'estate. Potrà verificare gli stanziamenti ai diversi Paesi europei, il loro reale utilizzo, colpire le frodi, informare i cittadini italiani attraverso la Rete. Nel 2007 andai a Strasburgo insieme a de Magistris per denunciare lo scandalo dei fondi europei attribuiti all'Italia che finiscono nelle tasche dei partiti, delle lobby e delle mafie. Una cifra pari a nove miliardi di euro ogni anno. Chiesi ai parlamentari presenti di non mandarci più soldi, era come mandarli a Bokassa. Due anni dopo abbiamo ottenuto un risultato formidabile. La persona giusta al posto giusto. E questo grazie a voi, grazie alla Rete. Luigi è il parlamentare europeo con il maggior numero di preferenze, mezzo milione di voti. E questo è stato decisivo per la sua elezione a presidente. Loro non molleranno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.
Blog: Luigi de Magistris europarlamentare eletto da indipendente nelle liste di Italia dei Valori, da pochi giorni eletto presidente della Commissione Controllo Bilancio. Cosa significa ricoprire questo ruolo e cosa comporta?
Luigi de Magistris: E' una grande responsabilità che mi è stata affidata dal Parlamento europeo, è una Commissione formata da 30 parlamentari, si occupa delle modalità con cui vengono spesi i soldi che il Parlamento europeo dà alle varie istituzioni dell'Unione Europea, quindi questo è già importantissimo. Se la Commissione agisce in modo proficuo esercitando in pieno i suoi poteri significa fare controlli sulla trasparenza sulla correttezza della spesa e sulla legalità.Poi un altro compito importantissimo della Commissione è quello di verificare il lavoro della Banca europea degli investimenti. Un altro punto è il rapporto costo-efficacia in relazione ai fondi europei che vengono destinati ai singoli Stati, quindi verificare per esempio se vale la pena dare determinati soldi agli Stati, se le opere che vengono realizzate hanno una loro efficacia per uno sviluppo complessivo dell'Unione europea.Altro punto fondamentale che tra l'altro rappresenta un elemento di continuità col lavoro svolto come Pubblico Ministero negli anni scorsi è quello del settore delle frodi. Di fatti la Commissione Controllo sul Bilancio si occupa delle frodi europee, ha rapporti infatti con Eurojust, Europol, l'Olaf, la Corte dei conti europea, quindi significa sostanzialmente verificare e controllare sulle frodi che sono avvenute nei Paesi membri e questo è straordinariamente importante perché significa valorizzare gli Stati membri che utilizzano in modo corretto i fondi europei in modo tale da creare sviluppo economico, che sia compatibile con l'ambiente, che crei un'occupazione effettiva e non su base di raccomandazioni e appartenenze varie, e dall'altro lato invece sanzionare in modo rigoroso tutti quegli Stati membri, quelle regioni, quei luoghi laddove c'è sperpero di denaro pubblico che serve solo per arricchire i soliti comitati d'affari, rafforzare la criminalità organizzata, mortificare i territori e assoggettare le popolazioni.Quindi un ruolo di grande importanza, l'impressione che ho subito avuto è che dipende molto dagli uomini e dalle donne come ogni cosa. Quindi se questa presidenza viene svolta in modo serio, in modo coraggioso, io immediatamente nel primo discorso ho detto subito che la lotta alla corruzione, alla criminalità organizzata, alle mafie, alle frodi sarà la priorità di questa Commissione che vorrà verificare in modo adeguato in modo incisivo la correttezza di tutte le spese effettuate dalle varie istituzioni europee, dalla Commissione europea a tutti gli altri luoghi istituzionali.
Blog: E' già stato possibile individuare a grandi linee il percorso che questi fondi o parte di questi fondi compiono da Bruxelles o da Strasburgo verso le regioni italiane?
L.d.M.:La Commissione si è costituita l'altro giorno quindi siamo assolutamente all'inizio dei lavori, c'è stata una prima riunione molto importante in cui si è deciso in che modo operare nella linea che sto indicando io adesso, cioè quello di voler esercitare in modo pieno i propri poteri, verificare la trasparenza, la correttezza, la legalità, il contrasto alle frodi.Su questo inizieremo a lavorare subito io già da agosto lavorerò su questo, a settembre avremo le prime riunioni ed io poi da un punto di vista del ruolo del presidente avrò una serie di contatti con i massimi vertici delle istituzioni europee proprio per far comprendere subito in che modo la Commissione del controllo sul bilancio vuole operare in questa legislatura.
Blog: Qual è stato il percorso che ha portato alla elezione del tuo ruolo di presidente?
L.d.M.:Penso sia stato fondamentale il risultato elettorale ottenuto. Sono il parlamentare più votato del Parlamento europeo ho preso circa mezzo milione di voti, quindi un riconoscimento democratico e questo lo devo grazie al popolo della Rete, grazie a tutti quegli italiani che vogliono un segnale di cambiamento della politica e questo è il primo passo per costruire quelle fondamenta che porteranno a un nuovo modo di fare politica nel nostro Paese e in Europa.
Blog:L'approccio coi media generalisti c'è stato? C'è interesse da parte delle televisioni e delle radio oppure no?
L.d.M.:C'è un interesse secondo me sufficiente, sta anche a noi far comprendere l'importanza del Parlamento Europeo, l'importanza delle istituzioni europee, negli anni scorsi troppo spesso i parlamentari europei sono andati in Europa solamente per fare una passeggiata, sostanzialmente sono diventati famosi per assenteismi vari, invece noi dobbiamo far capire che c'è un'altra Italia, un'Italia che vuole dare un rilancio etico del nostro Paese, che mette la questione morale al primo posto e anzi può dare una svolta, può essere da esempio per gli altri Stati europei e se lavoriamo in questa direzione sono convinto che anche l'interesse dei media sarà sempre maggiore.C'è il sito internet ufficiale del Parlamento europeo ma io sto facendo un mio blog che partirà fra qualche settimana e dove creerò un canale di comunicazione diretto con il Parlamento europeo e soprattutto nel mio blog si troveranno tutti i lavori e le informazioni di quello che si sta facendo nel Parlamento europeo e nella Commissione Controllo del Bilancio, si troveranno tutte le iniziative intraprese, tutti i passaggi istituzionali più importanti così i cittadini europei ed italiani in particolare, in un'ottica di trasparenza potranno sapere come vengono spesi i fondi pubblici in Italia quali sono le occasioni per tutti i giovani e per tutti gli italiani per poter partecipare ai progetti finanziati dall'Unione europea". (blog di Beppe Grillo)

mercoledì 22 luglio 2009

Moletto.


Impeachement del premier. La repubblica delle banane.

Tremonti che parla alla Camera ricorda il presidente americano Coolidge che scrive al Congresso, nel dicembre del 1928: "Dovete considerare il presente con soddisfazione e prevedere il futuro con ottimismo...". Pochi mesi dopo ci sarebbe stato "Il Grande Crollo" del '29, raccontato da Galbraith. Il "mantra" governativo è sempre lo stesso, assolutorio e rassicurante. Abbiamo fatto tutto ciò che era giusto e necessario per aiutare famiglie e imprese, per finanziare consumi e investimenti, per sostenere reddito e occupazione: la crisi è finita, andate in pace. Anche nell'ambito della politica economica, come in quello dell'etica pubblica, vero e falso si mescolano, realtà e finzione si sovrappongono, e al Paese si narra "un'altra storia". Così, ancora una volta, per riconciliarsi con la forza oggettiva dei fatti non resta che ascoltare la voce di una delle poche istituzioni rimaste incontaminate, al di fuori del perimetro sempre più pervasivo del berlusconismo. In un involontario, ma salutare contrappunto parlamentare, il governatore della Banca d'Italia ci ha spiegato tre verità fondamentali. La prima verità: la fase di peggioramento congiunturale che ha caratterizzato gli ultimi mesi sembra essersi arrestata. E questo è sicuramente un fatto positivo. Ma la crisi è tutt'altro che finita. L'Italia rischia di arrivare esausta al prossimo autunno. Senza una decisa inversione di rotta della produzione industriale, che resta inferiore del 25% rispetto all'aprile dell'anno scorso, a settembre assisteremo a una falcidie di piccole e medie imprese, e ad una conseguente ondata di tagli alla forza lavoro che la Cassa integrazione non basterà a contrastare.
La seconda verità: questa crisi globale, quando finirà, ci lascerà in eredità un debito pubblico enorme. Vale per tutti i Paesi, che hanno contenuto la tempesta perfetta rafforzando gli argini della spesa statale con le care, vecchie politiche keynesiane. Vale ancora di più per l'Italia, che ha usato poco e niente il bilancio pubblico (in parte per necessità, ma soprattutto per scelta) e che partiva da un indebitamento sistemico di proporzioni gigantesche. Oggi il nostro Paese si ritrova svantaggiato due volte: non ha messo in campo "piani di stimolo" significativi, e sconta un quadro di finanza pubblica gravemente deteriorato. Le cifre di Draghi fanno tremare i polsi. A fronte di un Pil in caduta del 5,2%, quest'anno ci ritroveremo con un deficit aumentato al 5,3%, un debito esploso al 115,3% e un avanzo primario azzerato e trasformato in un disavanzo dello 0,4%, per la prima volta dalla fine degli anni '90. Certo, questi risultati sono frutto della caduta generalizzata del denominatore (il Pil, sul quale il governo non può agire più di tanto). Ma anche dell'espansione incontrollata dei numeratori (su tutti la spesa corrente, lievitata al massimo storico del 43,4%, sulla quale invece il governo può agire moltissimo). La terza verità: il tempo delle grandi riforme è adesso, ed è tempo finora sprecato. I pacchetti estemporanei varati fino ad oggi, compreso l'ultimo decreto "anti-crisi", sono pannicelli caldi. Draghi ricorda che senza azioni incisive sulla spesa primaria, sulla previdenza, sulla liberalizzazione dei mercati, non si troveranno risorse per lo sviluppo. E senza misure di vera lotta all'evasione non si porranno mai le basi per una seria riduzione delle imposte che infatti (ironia della sorte, per il Cavaliere che ha vinto tre elezioni promettendo "meno tasse per tutti") continuano ad aumentare. Anche qui, i numeri fanno paura. La pressione fiscale ha raggiunto il 43,4%: lo stesso picco storico che toccò nel '97, anno della rincorsa a Maastricht e dell'eurotassa, e più della vetta raggiunta nel 2007 dall'esecrato governo dei "tartassatori" Prodi, Visco e Padoa-Schioppa. Le entrate tengono, assicura Tremonti. Mente: nel primo trimestre l'Iva è crollata del 10,2%. Di nuovo: pesa la caduta generalizzata del denominatore (il Pil, che comunque si è ridotto "solo" della metà). E poi, nello stesso periodo, i consumi sono scesi "solo" del 2,6%. Come si spiega questa differenza? Il governatore lo dice con il linguaggio del banchiere centrale: "Solo una parte del divario sembrerebbe riconducibile a una ricomposizione dei consumi verso beni essenziali, caratterizzati da aliquote più basse". Tradotto nel linguaggio della gente comune, il divario si spiega con il dilagare dell'evasione. Il paradosso è che anche nella politica fiscale il governo usa l'arte della dissimulazione, in questo caso disonesta. Spaccia per "guerra totale" un altro "condono tombale". Perché questo è, al di là di ogni ragionevole dubbio, lo scudo fiscale appena varato dal Tesoro. Noi lo abbiamo scritto, senza giri di parole. Oggi Draghi lo conferma, con parole non meno chiare: Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, per i pentiti che fanno rientrare i capitali dall'estero, "non prevedono l'anonimato del contribuente e le norme comportano l'intero versamento delle imposte dovute e non versate, inclusi gli interessi e le sanzioni". Nel Belpaese, invece, funziona in tutt'altro modo: l'anonimato è garantito, e con un modesto obolo del 7,5% si chiudono i conti con l'Erario. Questa è l'Italia. E a Berlusconi e Tremonti piace così. Torna in mente ciò che scrisse Mark Twain, citato sul Wall Street Journal dell'11 settembre '29: "Non separatevi dalle vostre illusioni. Quando esse sono scomparse, potete continuare a esistere, anche se avete cessato di vivere". (Massimo Giannini)

"Otto anni fa a oggi moriva Indro Montanelli. Nel 1994 era stato il primo, da posizioni conservatrici e dunque non prevenute, a intuire la minaccia che il suo ex editore Silvio Berlusconi entrato in politica rappresentava per la democrazia. Il 7 giugno 1994 il Cavaliere, premier da appena un mese, attaccò la Rai dei “professori” (la più lontana mai vista dalla politica) illustrando la sua personalissima concezione del pluralismo: “È certamente anomalo che in uno Stato democratico esista un servizio pubblico televisivo contro la maggioranza che ha espresso il governo del Paese. La Rai è faziosa, contro il governo che la gente ha voluto. La gente è d’accordo con me, questa Rai non le piace: me l’ha detto un sondaggio. Il governo se ne occuperà tra breve”. L’indomani, sulla Voce, Montanelli scrisse che quel delirio dimostrava “una allarmante confusione concettuale fra Stato e governo… Alla ‘gente’ la prospettiva di sei reti televisive... che, accantonati dibattiti e risse, intonino l’osanna al nuovo regime e al suo ‘timoniere’, probabilmente piace. Lo dimostra l’indifferenza con cui il cosiddetto uomo della strada ha accolto le dichiarazioni del timoniere... Io avevo i pantaloni corti quando Matteotti fu assassinato. Ma ricordo i discorsi che la gente intorno a me faceva. Dopo sei mesi di campagne giornalistiche al calor bianco... in cui nessuno era più in grado di distinguere la verità dalle menzogne, la gente accolse con sollievo il discorso del 3 gennaio 1925 con cui Mussolini imbavagliava la stampa e annunziava la dittatura... Berlusconi non è Mussolini... Ma è proprio questo clima di facilismo, di esenzione non dai problemi (di questi ce ne sono), ma da quelle angosce esistenziali che ci rendono ricettivi ai grandi princìpi, che può spianare a Berlusconi la strada verso una ‘democrazia del balcone’. Non quello di Palazzo Venezia, che gli andrebbe troppo largo. Ma quello della Casa Rosada, che consentiva a un Perón di arringare la folla... Ce la farà perché la gente è con lui, non con noi. E quando la gente si mette dietro qualcuno, gli uomini delle ‘comunicazioni di massa’ finiscono per mettersi dietro la gente. Queste cose le abbiamo già viste all’alba della nostra vita. Mai ci saremmo aspettati di rivederle al tramonto. Ma sembra che così debba essere”.A rileggerlo oggi, quell’articolo profetico, mi rimbomba nella testa il ricordo delle “campagne giornalistiche al calor bianco... in cui nessuno era più in grado di distinguere la verità dalle menzogne” che precedettero l’avvento del regime mussoliniano. E’ il ritratto dei giorni nostri...". (Marco Travaglio)

Vela.


Impeachement del premier. Il quirinale complice.

Le ultime dichiarazioni del quirinale lasciano di stucco. Di fronte agli enormi e continui strappi istituzionali di questa maggioranza invoca la piuma al posto della scimitarra. E' una resa come quella del re al tempo del fascismo che sta aprendo le porte al disfacimento della nostra repubblica. Lui si deve opporre a ciò che è palesemente ovvio. Stoppare leggi palesemente incostituzionali e chiedere al premier di lasciare. Il rischio finale è una guerra civile, ma lui sembra non rendersene conto.
"Noi che, poveri ignoranti, non conosciamo la Costituzione, pensavamo che i poteri e i doveri del Presidente della Repubblica fossero quelli indicati dalla Costituzione. E cioè:- rappresentare l'unità nazionale- inviare messaggi alle Camere- indire le elezioni delle Camere - autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del governo- promulgare le leggi ed emanare i decreti aventi valore di legge e i regolamenti (oppure rinviare le leggi alle Camere in caso di manifesta incostituzionalità)- indire il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione- nominare il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri- nominare, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato, ma anche i senatori a vita e alcuni giudici costituzionali, ma anche i membri delle autorità di garanzia - accreditare e ricevere i rappresentanti diplomatici, ratificare i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere- comandare le Forze armate, presiedere il Consiglio supremo di difesa, dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere - presiedere il Consiglio superiore della magistratura - concedere la grazia e commutare le pene- conferire le onorificenze della Repubblica- sciogliere le Camere o anche una sola di esse, sentiti i loro presidenti.Noi che, poveri ignoranti, non conosciamo la Costituzione non riusciamo a trovare un solo rigo nella medesima che autorizzi il capo dello Stato a chiedere notizie di un’indagine che non gli garba (come fece Napolitano nel dicembre scorso con quella della Procura di Salerno sui magistrati corrotti di Catanzaro); o a promulgare una legge facendo sapere per lettera che non gli piace per niente (come ha appena fatto col pacchetto sicurezza); o ad anticipare al governo che non firmerà un decreto (come ha fatto col decreto Englaro) o che non promulgherà una legge se non sarà modificata (come ha fatto con la legge-bavaglio sulle intercettazioni). Noi che, poveri ignoranti, non conosciamo la Costituzione non vi abbiamo trovato alcun articolo che consenta al capo dello Stato ad auspicare “una revisioni di regole e di comportamenti” in materia di intercettazioni e cronaca giudiziaria, a parlare di “abusi”, a invocare “soluzioni appropriate e il più possibile condivise” (come se una porcata votata da molti fosse meglio di una porcata votata da pochi). Né abbiamo trovato un solo articolo che gli permetta di invocare “tregue” nell’attività di opposizione e di informazione sul capo del governo coinvolto in scandali (sui quali il rappresentante dell’unità nazionale non ha mai proferito una sillaba). Ma forse, non volendo neppure immaginare che stia sbagliando lui, il problema è nostro: evidentemente abbiamo, della Costituzione, un testo vecchio e superato.Ignoranti come siamo, poi, non abbiamo capito nemmeno a quali indagini egli si riferisca quando, per l’ennesima volta, invita misteriose entità a “non indulgere alla spettacolarizzazione delle vicende giudiziarie e dei processi”. Visto che le nomina il capo dello Stato, sappiamo invece che le Autorità indipendenti sono anche affar suo, e da mesi speravamo che si accorgesse di un paio di presenze inquietanti al loro interno. L’Autorità Garante della Privacy è vicepresieduta da un certo Giuseppe Chiaravalloti, plurinquisito in Calabria per gravissimi reati e sorpreso al telefono con la sua segretaria a invocare l’eliminazione fisica, a opera della “camorra”, del magistrato Luigi De Magistris. Dell’Autorità Garante delle Comunicazioni fa parte il forzista Giancarlo Innocenzi, sorpreso a trafficare con il premier Berlusconi (che lui chiama “Grande Capo”) per acquistare senatori del centrosinistra e per procacciare lucrosi contratti a un produttore berlusconiano impegnato nella compravendita dei senatori medesimi (vedi intercettazioni riportate nel nostro libro “Papi”). Purtroppo, il capo dello Stato ha citato quest’ultima Autorità per raccomandare ai giornalisti di attenersi all’«importante codice di autoregolamentazione» da essa fissato per censurare le notizie scomode al potere. Ignoranti come siamo, pensavamo anche che gli uomini delle istituzioni fossero soggetti a critiche, tantopiù legittime quanto più alti sono i loro scranni. Invece abbiamo ieri appreso dall’Augusta Favella che “chi mi critica non conosce la Costituzione”. Insomma ogni critica alla sua Intoccabile Persona è lesa maestà, come nei regimi sovietici a lui tanto cari fino agli anni 50 (memorabile il suo elogio nel 1956, davanti al Comitato centrale del Pci, della repressione sovietica dei moti di Ungheria). Pensavamo anche che il capo dello Stato non dovesse scendere nell’agone politico, per bacchettare questo o quello come un Capezzone o un Cicchitto o un Quagliariello qualsiasi. Invece l’ha fatto con Antonio Di Pietro, reo addirittura di avergli chiesto di non promulgare leggi palesemente incostituzionali anziché chiosarle con la piuma d’oca. Mal gliene incolse: Napolitano l’ha chiamato sarcasticamente “guerriero” accusandolo di “vano rotear di scimitarra”. Era dai tempi di Cossiga che un capo dello Stato non se la prendeva frontalmente con un leader dell’opposizione (fra l’altro isolatissimo e solitario, dinanzi a un governo strapotente e strafottente e a un’opposizione inesistente): solo che, contro Cossiga, il Pci di Napolitano chiese l’impeachment trattandolo da golpista. Sui “guerrieri” alla Berlusconi & C. che roteano scimitarre tutt’altro che vane contro i magistrati e i giornalisti liberi, mai un sospiro dal Quirinale. Sui guerrieri alla Bossi & C., che ogni due per tre minacciano di “tirar fuori i fucili e i mitra” o di “oliare i kalashnikov”, ora contro i “comunisti” ora contro i “terroni” ora contro i “negri”, mai una parola dal Quirinale: un conto sono i fucili, i mitra e i kalashnikov, un altro le scimitarre.Ignoranti come siamo, pensavamo che non rientrasse fra i compiti del capo dello Stato giudicare l’attendibilità di testimoni d’accusa in questo o quel processo: invece, ieri, Napolitano ha deciso che le nuove rivelazioni di Spatuzza, Riina, Ciancimino jr. e altri sui mandanti esterni delle stragi di mafia & Stato “vengono da soggetti per lo meno discutibili” e comunque non bisogna parlarne: secondo Napolitano quelle rivelazioni, totalmente ignorate da gran parte dei telegiornali di regime, “sono state accolte da un clamore un po’ eccessivo”. In effetti, ne ha financo parlato qualche quotidiano. La prossima volta, per favore, silenzio. Il Presidente riposa". (Marco Travaglio)

lunedì 20 luglio 2009

C'era una spiaggetta...


Military Gorgon.


Impeachement del premier. Un'aria fetida.

Ho incontrato cugini che hanno votato questo premier. Ho parlato con conoscenti che lo hanno messo a Palazzo Ghigi. Nemmeno le peggiori nefandezze riescono a far cambiare idea ad una buona parte degli italiani. Non capisco come si possa diventare ciechi e sordi se non si è diventati come chi chiamiamo a rappresentarci. L'aria italiana è fetida e sta infestando anche qualche altra nazione. Sarà necessaria una mobilitazione diversa. Le forme della democrazia sono state infettate.

venerdì 17 luglio 2009

Paratella.


Impeachement del premier. In odore di mafia.

"Appena si scopre un magistrato fannullone o ritardatario, che non deposita sentenze o dimentica qualche carta nei cassetti, si scatena la polemica politica e s'invocano sanzioni esemplari dal Csm contro scarcerazioni e assoluzioni 'facili'. Purché, beninteso, gli imputati siano delinquenti comuni.
Quando invece si tratta di indagati eccellenti, negligenze e sbadataggini diventano titoli di merito. E fanno curriculum per la carriera. Prendiamo l'inchiesta sul tesoro di Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo, e di suo figlio Massimo, condannato in primo grado per riciclaggio e ora imputato in appello in base a intercettazioni del 2003-2004 e a carte sequestrate in casa sua nel febbraio 2005.
Ora si scopre che tra quei nastri c'erano pure alcune telefonate che coinvolgono gli onorevoli Cuffaro, Romano e Cintola (Udc) e il senatore Vizzini (Pdl). E, tra quelle carte, la lettera (peraltro strappata) che nel 1993-94 Bernardo Provenzano fece avere a Ciancimino padre tramite il figlio, perché la recapitasse all''on. Berlusconi' tramite Marcello Dell'Utri.
Nastri e carte che sembrano contenere indizi decisivi a carico di Ciancimino jr. e di Dell'Utri (quest'ultimo condannato in primo grado a nove anni per mafia e in attesa della sentenza d'appello): eppure vengono 'dimenticati' per quattro anni nei cassetti della Procura di Palermo.
I nastri, mai trascritti né inoltrati al Parlamento per l'autorizzazione all'utilizzo, sono stati ritrovati pochi mesi fa dai pm antimafia che, dopo averli ascoltati, hanno indagato i quattro parlamentari. La lettera, sepolta in uno scatolone di quella che in Procura ormai chiamano 'la stanza dei misteri', è saltata fuori per puro caso un mese fa ed è stata inoltrata appena in tempo ai giudici d'appello che stanno processando Dell'Utri e Ciancimino. Ancora qualche mese e i giudici avrebbero sentenziato sui due imputati eccellenti senza conoscere quegli importantissimi elementi d'accusa. Con il rischio di commettere irreparabili errori giudiziari. Nel verbale della perquisizione del 2005, i carabinieri avevano puntualmente annotato: "Pezzo di foglio manoscritto contenente richiesta a Berlusconi perché metta a disposizione una rete televisiva". Ma l'allora procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, che per conto del capo Piero Grasso coordinava le indagini, aveva interrogato Ciancimino jr. per 150 pagine su ogni carta sequestrata in casa sua, fuorché sulla lettera di Binnu a Silvio.
Una cosina da niente. Solo ora la Procura, retta da due anni da Francesco Messineo, ha disposto perizie calligrafiche sul documento e interrogato il figlio dell'ex sindaco sul suo iter, scoprendo che il boss scrisse altre due volte al Cavaliere fra il 1991 e il '92, a cavallo delle stragi. Ce n'è abbastanza per chiedere spiegazioni al dottor Grasso, ora procuratore nazionale Antimafia, e al dottor Pignatone, ora procuratore capo di Reggio Calabria. Ma sicuramente il Csm sta provvedendo. O no?" (Marco Travaglio)

mercoledì 15 luglio 2009

Abusivi.


Impeachement del premier. Ma il quirinale che fa?

Il clown è ancora là, si bea di summit inutili, continua a fare favori ai ladri, si immagina grande statista. Le istituzioni che dovrebbero sottolineare la pericolosità di questo satrapo da quattro soldi firmano le sue infami leggi, vanno a cena con il nuovo despota all'amatriciana. Fino a quando dovremo sopportare questo scempio del nostro Paese e della nostra immagine?

martedì 14 luglio 2009

Quando le nomine rai le fa il vaticano.

"E' stato rimosso dal suo incarico, dopo le polemiche scoppiate ieri a causa di un servizio sul Papa, il vaticanista del Tg3, Roberto Balducci. Il servizio era andato in onda domenica nell'edizione delle 19. Parlando della partenza di Benedetto XVI per le vacanze in Valle d'Aosta, il giornalista aveva dato l'impressione di ironizzare sui pochi fedeli che seguirebbero il Pontefice: "I proverbiali quattro gatti, forse un po' di più, che hanno ancora il coraggio e la pazienza di ascoltare le sue parole". L'espressione usata da Balducci aveva scatenato una ridda di critiche. Il vicepresidente della Vigilanza Rai, Giorgio Merlo (Pd), aveva parlato di "deriva anticlericale" della terza rete, definendola "singolare e volgare". Il direttore del Tg3, Antonio Di Bella, aveva difeso la testata dicendo di aver chiesto chiarimenti al vaticanista che gli aveva "assicurato che non era sua intenzione ironizzare, o peggio irridere il Pontefice, come d'altronde non ha mai fatto in passato". L'incidente sembrava chiuso dopo una telefonata tra Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede e Di Bella. Oggi invece è arrivato l'ordine di servizio con cui il direttore del Tg3 ha comunciato che "a partire da oggi il collega Roberto Balducci non seguirà più il Vaticano". Una decisione "difficile - ha detto Di Bella - ma giusta e necessaria verso la testata", presa in "una vicenda delicata e dolorosa".
Immediata la replica del comitato di redazione della testata che si è detto stupito per la "strumentalizzazione politica, priva di senso, di un fatto che era già rientrato ieri". "Non stiamo parlando di uno scontro con il Vaticano su prese di posizione del Papa - ha sottolineato il cdr - ma di una battuta riuscita male, certamente infelice, e di cui il collega stesso si era scusato: e anche il Vaticano ci sembrava che avesse accettato questa lettura dei fatti". Il cdr, che ha respinto le accuse di "deriva anticlericale" della testata, ha ricordato anche che in due anni il collega Balducci non aveva mai ricevuto un appunto. "Forse - conclude la rappresentanza sindacale del Tg3 - siamo sotto tiro nel delicato momento delle nomine". Dal canto suo, prima della sua rimozione, Balducci aveva scritto una lettera a Di Bella in cui aveva ribadito il proprio "rispetto per il Vaticano" e aveva sottolineato il proprio dispiacere per il fatto che la vicenda "possa aver procurato danno a te, alla nostra testata, alla nostra azienda". "Per questo soltanto, e per la nostra decennale amicizia - aveva aggiunto - mi rimetto ad ogni tua valutazione del caso". Il giornalista aveva poi dato la sua versione sulle ragioni della "battuta" sui "quattro gatti" del Papa: "La frase è un inciso retta da 'gli strapparono un sorriso' (i gatti di montagna, perfino quello malandato), almeno quanto i proverbiali (sottolineo proverbiali) quattro gatti, forse molti di più (con immagine del saluto e del sorriso e della piazza piena), che hanno il coraggio e la pazienza di ascoltare". Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, Sergio Zavoli: "Ho appena scritto una lettera al presidente e al direttore generale della Rai in cui richiamo l'urgenza di far rispettare i vincoli contrattuali del servizio pubblico, stabilendo il principio che al merito professionale deve corrispondere la responsabilità. L'episodio del Tg3, in sé un tentativo maldestro di fare dello spirito, risoltosi in una palese e disarmante grossolanità aggiunge nuove voci al vocio di quanti si dicono scontenti della Rai senza distinzioni e senza mezze misure". "La lezione di questa spiacevole circostanza - ha concluso il senatore Zavoli - riconduce all'indirizzo della Commissione di Vigilanza sulla necessità di incrementare il rapporto fiduciario che, per tradizione, lega l'azienda e l'opinione pubblica". (La Repubblica)

Mare nero.


Impeachement del premier. Aspettiamo la sua cacciata.

Caro Dio quando ti ho pregato di chiamare a Te quell’essere un po’ pedofilo, truccato, liftato, mentalmente disturbato e di colore indefinibile non mi riferivo a Michael Jackson.

domenica 12 luglio 2009

Grillo, il nuovo Obama all'italiana.

"Il 25 ottobre ci saranno le primarie del PDmenoelle. Voterà ogni potenziale elettore. Chi otterrà più voti potrà diventare il successore di gente del calibro di Franceschini, Fassino e Veltroni. Io mi candiderò. Dalla morte di Enrico Berlinguer nella sinistra c'è il Vuoto. Un Vuoto di idee, di proposte, di coraggio, di uomini. Una sinistra senza programmi, inciucista, radicata solo nello sfruttamento delle amministrazioni locali. Muta di fronte alla militarizzazione di Vicenza e all'introduzione delle centrali nucleari. Alfiere di inceneritori e della privatizzazione dell'acqua. Un mostro politico, nato dalla sinistra e finito in Vaticano. La stampella di tutti i conflitti di interesse. Una creatura ambigua che ha generato Consorte, Violante, D'Alema, riproduzioni speculari e fedeli dei piduisti che affollanno la corte dello psiconano. Un soggetto non più politico, ma consortile, affaristico, affascinato dal suo doppio berlusconiano. Una collezione di tessere e distintivi. Una galleria di anime morte, preoccupate della loro permanenza al potere. Un partito che ha regalato le televisioni a Berlusconi e agli italiani l'indulto.Io mi candido, sarò il quarto con Franceschini, Bersani e Marino. Partecipo per rifondare un movimento che ha tolto ogni speranza di opposizione a questo Paese, per offrire un'alternativa al Nulla.Il mio programma sarà quello dei Comuni a Cinque Stelle a livello nazionale, la restituzione della dignità alla Repubblica con l'applicazione delle leggi popolari di Parlamento Pulito e un'informazione libera con il ritiro delle concessioni televisive di Stato ad ogni soggetto politico, a partire da Silvio Berlusconi. Temi troppo duri per le delicate orecchie di un Rutelli e di un Chiamparino. Ci sono milioni di elettori del PDmenoelle che vorrebbero avere un PDcinquestelle. Con questo apparato affaristico e venduto non hanno alcuna speranza. Il PDmenoelle è l'assicurazione sulla vita di Berlusconi, è arrivato il momento di non rinnovare più la polizza. Arrivederci al 25 ottobre!". (Beppe Grillo)

C'era una volta.


Impeachement del premier. Senza morale.

"Torte?", chiede il pubblico ministero. Accade qualche tempo fa, a Bari. Il magistrato interroga un trafficante di droga e l'uomo gli racconta i costumi della sua banda. "Torte" è un'espressione che il magistrato non ha mai sentito. Il pubblico ministero torna allora a chiedere al criminale: "Che cosa sono le "torte"?". L'altro gli risponde: "Le "torte", dottore: le orge, i festini, com'è che dite voi?". Il ricordo di quella formula - "torte" - affiora oggi nella conversazione di una fonte vicina all'inchiesta di Bari perché sono le "torte" il punto critico che rende politicamente imbarazzanti le ricostruzioni delle serate di Silvio Berlusconi. Tra le 19 ragazze, ospiti a pagamento nelle residenze del capo del governo e interrogate dalla procura di Bari, c'è più di una testimone che ha ammesso di aver trascorso, "con altre ragazze", la notte con Silvio Berlusconi. Di "festino" e "orgia"" ha già parlato Patrizia D'Addario. Patrizia è, per la prima volta, a Palazzo Grazioli la sera del 15 ottobre 2008. Rifiuta di trascorrere la notte nel letto regalato al capo del governo da Vladimir Putin, "il letto grande". Ci rimarrà dopo, la notte del 4 novembre e di queste ore si sa - più o meno - tutto. Ma perché, quella prima volta, Patrizia lasciò Palazzo Grazioli? Andare via non è stato un colpo di testa, sostiene Patrizia. Le orge, dice Patrizia, non sono mai riuscita a farmele piacere e avevo intuito che mi sarei trovata in quella sgradevole situazione se fossi rimasta, dopo la cena, i balli, la ola, le barzellette, i canti e la musica di Apicella. C'erano molte escort quella sera nella residenza del capo del governo. Per lo meno, cinque. Due molto appariscenti. Lesbiche, "le uniche in pantaloni, lavorano sempre in coppia". La cena era ancora in corso, ricorda Patrizia, quando Berlusconi mi volle mostrare le camere da letto. Soprattutto quella con "il lettone". Non eravamo soli, ricorda Patrizia. Con Berlusconi c'erano altre due escort che cominciarono a coccolare il "sultano". Berlusconi, dice Patrizia, mi chiamava, mi invitava con la voce e i gesti a unirmi a loro. Patrizia decise di chiudersi in bagno e uscirne soltanto quando il gruppo fosse tornato nel salone per completare la cena. Fu allora, nella camera con il "letto grande", che Patrizia, pur ingaggiata per duemila euro, decise di non rimanere per la notte. Ritornata in albergo, al Valadier, raccontò subito alla sua amica, Barbara Montereale, l'episodio. Barbara, tra molte reticenze, ne ha un ricordo ancora oggi vivo: "Patrizia ha preferito andar via perché c'erano altre due escort" e d'altronde ella stessa vide scene simili a Villa Certosa, poi, nel gennaio del 2009 "quando decine di ragazze straniere si stringevano a Papi, litigando tra loro, quasi aggredendosi".
Il racconto di Patrizia ha trovato una conferma con la testimonianza di un'altra signora, Maria Teresa De Nicolò, 37 anni, barese. La sua partecipazione alla serata di Palazzo Grazioli ha ripercorso, come se si trattasse di un rito, la stessa esperienza di Patrizia. Identiche le modalità, identiche le regole da rispettare. Convocazione a Roma, improvvisa e un po' misteriosa. Abitino nero, trucco leggero. Prima di andare a letto, se richiesto dal padrone di casa, una disponibilità assoluta a mostrare ammirazione estatica per i successi di "Silvio"; pieno divertimento per barzellette e canti; gratitudine per i regalini "da negozietto". Stesso contatto, Gianpaolo Tarantini. Povero Gianpi, racconta un amico, certi giorni era davvero disperato perché, se è agevole organizzare un "festino" con qualche giorno d'anticipo, diventa arduo farlo in un solo pomeriggio. Nell'estate-autunno del 2008, la sexual addiction di Berlusconi è compulsiva, la sua satiriasi indiavolata. Telefona anche dieci volte, nello stesso giorno, a Tarantini (intercettato dalla magistratura di Bari). Gli chiede di mettere insieme "le ragazze" per la sera anche con un anticipo di poche ore. Gianpi fa quel può, ricordano gli amici, ma la fretta è, senza eccezione, cattiva consigliera e così non sempre ha il tempo di "invitare" a Roma da Milano le "cortigiane perfette", "bellissime, molto giovani, molto professionali e, soprattutto, consapevoli della necessaria riservatezza". Pressato, Gianpi deve accontentarsi, dicono gli amici, "di quel che ha sotto mano". E' così che a Palazzo Grazioli entra anche chi non avrebbe mai messo piede, con più tempo a disposizione. Maria Teresa viene convocata (prima e unica volta) in questa emergenza. Parte per Roma e, come accade a Patrizia, Barbara e Lucia R. ("ospiti" il 4 di novembre), scopre nei saloni del de Russie che la meta di quella serata di lavoro sarà Palazzo Grazioli. Maria Teresa, agli inquirenti di Bari, ha ammesso di aver fatto sesso con il presidente, "rimborsata" da Gianpi, ma quel che qui conta è la "torta", il numero delle "ragazze" che - quella notte (un "lunedì o un martedì di settembre del 2008" fa la vaga Maria Teresa, probabilmente martedì 23 settembre) - si trattiene con il capo del governo nella sua residenza di Palazzo Grazioli. Maria Teresa tace il numero delle "ragazze" (anche se l'ha riferito al magistrato che l'ha interrogata). E' disposta però ad ammettere, con Repubblica, che "c'erano altre ragazze". Qualcuna di quelle "ragazze" seguirà, il giorno dopo, Berlusconi a Melezzole, vicino a Todi, quando (come ha svelato l'Espresso) il presidente del Consiglio rinuncia a una "missione" a New York, alla partecipazione alla "campagna del Millennio" contro la povertà e la fame nel mondo, all'intervento all'assemblea delle Nazioni Unite per starsene, con le sue "ragazze", nell'health center di Marc Mességué (sbarrato agli estranei). * * * La rilevanza del racconto più veritiero delle serate di Silvio Berlusconi è dunque in questo "punto critico" non ancora illuminato: le "torte" di Palazzo Grazioli. Finora la scena ci è stata raccontata così. Un giovanotto ambizioso (Tarantini) conduce prostitute di caro prezzo nelle residenze del capo del governo offrendole al "sultano" (Berlusconi) per ingrassare affari e potere d'influenza. Il "sultano" - ingenuo e ignaro - fa sesso con una di quelle ragazze (Patrizia D'Addario). Emerso l'episodio, il "sultano" muove in tre mosse. Nega l'episodio ("Non ricordo la faccia di questa Patrizia"). Scredita la testimone ("I miei nemici politici l'hanno pagata per accusarmi"). Banalizza quel che è accaduto ("Ho soltanto scelto ospiti sbagliati"). Diciamolo con le parole di Nicolò Ghedini: Berlusconi è soltanto un "soggetto inconsapevole. Se io vado a casa del presidente e, per fare bella figura, mi presento con un'accompagnatrice, è difficile che lui possa saperlo. E, se anche poi vi fossero rapporti [sessuali tra il presidente e quella donna], lui continuerebbe a non sapere e quindi [il fatto] non può avere nessuna implicazione né giuridica né morale" (Agi, 18 giugno). Lasciamo stare la giustizia (Bari non contesta a Berlusconi alcun ipotesi di reato e a Tarantini soltanto il favoreggiamento alla prostituzione: le ospiti non erano indotte a prostituirsi, era il loro mestiere e nessuno lo ignorava). Lasciamo stare la morale (è diritto di ciascuno avere le abitudini sessuali che ritiene opportune). Quel che conta qui è che cosa è accaduto e che cosa significa. Quel che accade, ragionevolmente, lo si può dire così. Al contrario di quanto sostengono Berlusconi e il suo avvocato, il capo del governo è consapevole che le "ragazze" di Tarantini siano delle cortigiane. A Gianpi le chiede espressamente. Berlusconi sa della "professione" della D'Addario, come dice Patrizia, come conferma Barbara Montereale e testimonia - per altre circostanze - Maria Teresa De Nicolò. Emerge, dunque, dall'inchiesta di Bari un tableau ben definito. Intorno al presidente del Consiglio, c'è un'organizzazione molto discreta, anche se spericolata, che fornisce prostitute al "sultano" per le sue serate con "torta" finale; una rete di servizio che si muove secondo moduli, programmi e desideri sempre uguali. Tarantini è soltanto uno dei server che il presidente del consiglio attiva quando la sexual addiction l'afferra. Dall'inchiesta emerge che lo stesso "lavoro" di Gianpi è assolto per lo meno da altre due personaggi (un professionista di Bari, una signora di Roma). Questo accade. Quel che significa (lo ha già scritto qui Stefano Rodotà) interpella l'etica pubblica. "Un uomo politico non può mentire. Deve accettare la pubblicità di ogni sua attività quando questa serve per valutare la coerenza tra i valori proclamati e comportamenti tenuti" (Repubblica, 10 luglio). Da questo punto di vista, la scena è chiara. Berlusconi ha una volta di più, in questa storia, ingannato il Paese: non ignora che le "ragazze" che affollano il "lettone di Putin" siano prostitute e prostitute chiede, per le sue "torte", ai prosseneti che siedono al suo tavolo (non esita a "smanacciarle" subito sotto gli occhi della sua scorta). Il comportamento privato del capo del governo è in fragorosa contraddizione con i valori (Dio, famiglia) che proclama in pubblico e con le leggi che propone al Parlamento (severe punizioni per chi favorisce la prostituzione e per chi fa sesso con le prostitute). E' questo lo stato delle cose che Berlusconi dovrebbe finalmente affrontare in pubblico, quali che siano gli esiti per la sua reputazione e per il suo destino politico". (La Repubblica)

venerdì 10 luglio 2009

Impeachement del premier. Ora levi il disturbo.

"Nonostante i tanti uccellacci del malaugurio, il G8 dell’Aquila organizzato da Silvio Berlusconi è stato un successo strepitoso che verrà ricordato per secoli nei libri di Storia. Al Pappone ha evitato le consuete carinerie, rinunciando in extremis – su pressione di Gianni Letta, con la moral suasion del Quirinale – alle previste gare di rutti, al gioco della bottiglia con la Merkel e all’elezione di Mister Chi Ce L’Ha Più Lungo nella suggestiva cornice di Onna.
Nessuna contestazione rilevante, anche perché i celebri black bloc che da aprile si nascondono nelle tende dell’Aquila travestiti da terremotati erano stati precauzionalmente incatenati ai lettini da campo.
L’assenza della first lady Veronica Lario, venuta a mancare all’ultimo momento all’affetto del suo caro, è stata brillantemente compensata dalla presenza di alcuni degni sostituti: Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Bruno Vespa (The First Insect).
Era stata contattata anche Patrizia D’Addario, purtroppo impegnata a Bari in una riunione programmatica del Pdl col ministro Fitto, Giampi Tarantini e la famiglia Matarrese.
Molto apprezzato, dagli altri sette Grandi, l’agile omaggio del nostro premier: un agile libretto con copertina in marmo di Carrara, peso stimato un quintale, comodissimo per infilarlo nel trolley senza imbarcarlo sull’aereo e comunque più leggero di un’opera di James Bondi e della buonanima di Budget Bozzo.
La formula delle conferenze stampa senza domande ha suscitato il più vivo interesse nel colonnello Gheddafi e nel presidente russo Medvedev: il primo era abituato alle conferenze stampa senza giornalisti, il secondo a quelle coi giornalisti morti ammazzati, dunque hanno entrambi ringraziato l’amico Silvio per la simpatica variazione sul tema.
Per dare immediata attuazione ai grandi accordi sul disarmo e contro le emissioni inquinanti, il Senato ha subito deliberato uno stock di nuove centrali nucleari, mentre degli aiuti all’Africa si occuperà direttamente l’europarlamentare on. Matteo Salvini guidando personalmente il tir che consegnerà milioni di confezioni di deodorante a quei puzzoni dei meridionali.
Oggi, in chiusura del vertice, Al Pappone ha dichiarato testualmente: “Sto cercando casa all’Aquila per venire qui in agosto a presidiare i lavori”.
Dal che si deduce che:
1) le altre dodici ville sparse per il mondo sono tutte piene di escort e Papi Girls; 2) se tutto va bene, il premier sarà l’unico in tutta l’Aquila ad avere una casa (si spera vivamente costruita dall’Impregilo).
Soluzione ottimale: chi, fra i 30 mila senzatetto accampati nelle tende a 40 gradi all’ombra vorrà avvicinarlo per dirgli tutto ciò che pensa di lui, saprà dove trovarlo". (Marco Travaglio)

Gianni.


martedì 7 luglio 2009

Franco.


Impeachement del premier. Il clown.

Oramai, agli occhi di tutto il mondo, è solo un clown. Il suo viso liquefatto, gli occhi fissi, lo sguardo gelido di chi sa di aver perso dopo aver rilanciato migliaia di volte. Se qualcuno non lo fermerà dovrà lui stesso levare il disturbo. Poi l'Italia dovrà risalire una china di cui, forse, ancora non si è toccato il fondo. E sarà la parte più dolorosa.

domenica 5 luglio 2009

Con le piume contro i moschetti.

"Mi domando quali furibondi attacchi si sarebbero scatenati da ogni parte se il sottoscritto avesse snobbato, cosi come ha fatto il governo, l'invito del Capo dello Stato a rivedere una legge porcata.
Il Capo dello Stato ha chiesto al ministro della Giustizia, Alfano, di rivedere il disegno di legge sulle intercettazioni prima che approdi al Senato. Alfano ha fatto subito sapere che si, il ddl è modificabile, ma che "l’esecutivo va dritto per la sua strada, aprendo solo a qualche ritocco", vale a dire che vorrebbero fare solo modifiche di facciata. In sostanza hanno mandato a “spigolare” il Presidente della Repubblica che, pur di evitare “strappi istituzionali”, ha preferito convocare l’esecutivo prima di rifiutare la firma di una legge fatta su misura per delinquere in libertà.
Signor Presidente, lei sta usando una piuma d’oca per difendere la Costituzione dall’assalto di un manipolo piuttosto numeroso di golpisti. Oramai non è più possibile evitare lo scontro con un governo che ha agito esclusivamente nell’interesse di pochi, spesso di una sola persona, a colpi di fiducia, di cene carbonare, di vili attacchi verbali, negando la realtà, la crisi del Paese, insultando la dignità dei cittadini ed usando la menzogna come strumento sistematico di propaganda.
Affidarsi al buon senso della maggioranza accettando solo modifiche al ddl sulle intercettazioni non basta, bisogna ritirarlo. In una legge, dove il 90% del testo è da rifare, non si può parlare di ritocchi. E visto che chi ha fatto questa legge ha bisogno di quel 90% lo scontro è inevitabile.
La storia di questo governo ha insegnato che aprire linee di credito a questa maggioranza non produce alcun risultato, anzi. Quindi la legge va ritirata, poiché non interessa al popolo italiano, che non l’ha chiesta, non la vuole, e produrrebbe effetti devastanti e un aumento vertiginoso della corruzione e degli atti criminali". (Antonio Di Pietro)

14 luglio. Io sciopero per la difesa dell'informazione e dei blog.

Il 14 di luglio aderirò allo sciopero dei blogger contro il bavaglio alle intercettazioni e all’informazione, promosso dalla legge criminale del ministro Alfano, e contro la norma del “diritto di rettifica entro 48 ore” per tutti i siti, norma ribattezzata dalla Rete “ammazza Internet”.

sabato 4 luglio 2009

Impeachement del premier. Dopo il G8 il diluvio.


Dopo questo inutile G8 vorremmo un altro inquilino a Palazzo Chigi.

"Al Primo Ministro della Repubblica Italiana sono state rivolte dieci domande circa le sue relazioni con una ragazza minorenne invitata più volte anche a cene ufficiali. Fino ad ora si è rifiutato di rispondere. Si potrebbe fare uno sconto al Signor Silvio Berlusconi, chiedendogli di rispondere a sette domande.

Signor Berlusconi, potrebbe rispondere pubblicamente a queste domande?

Premessa
La Banca Rasini di Milano, di proprietà negli anni ’70 di Carlo Rasini, è stata indicata da Sindona e in molti documenti ufficiali di magistrati che hanno indagato sulla mafia, come la principale banca utilizzata dalla mafia per il riciclo del denaro sporco nel Nord - Italia.
Di questa Banca sono stati clienti Pippo Calò, Totò Riina e Bernardo Provenzano, negli anni in cui formavano la cupola della mafia.
In quegli stessi anni il Sig. Luigi Berlusconi lavorava presso la Banca, prima come impiegato, poi come Procuratore con diritto di firma e infine come Direttore.


1) Nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi ratifica un'operazione molto particolare: la banca Rasini acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d'amministrazione figurano Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus. Questo Luigi Berlusconi, procuratore con diritto di firma della banca Rasini, era suo padre?

2) Sempre intorno agli anni ’70 il Sig. Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca Rasini ventitré holding come “negozi di parrucchiere ed estetista”, è lei questo Signor Silvio Berlusconi?

3) Lei ha registrato presso la banca Rasini, ventitré “Holding Italiane” che hanno detenuto per molto tempo il capitale della Fininvest, ed altre 15 Holding, incaricate di operazioni su mercati esteri. Le ventitré holding di parrucchiere, che non furono trovate ad una prima indagine della guardia di finanza, e le ventitré Holding italiane, sono la stessa cosa?

4) Nel 1979 il finanziere Massimo Maria Berruti che dirigeva e poi archiviò l’indagine della Guardia di Finanza sulle ventitré holding della Banca Rasini, si dimise dalla Guardia di Finanza. Questo signor Massimo Maria Berruti è lo stesso che fu assunto dalla Fininvest subito dopo le dimissioni dalla Guardia di Finanza, fu poi condannato per corruzione, eletto in seguito parlamentare nelle file di Forza Italia, e incaricato dei rapporti delle quattro società Fininvest con l’avvocato londinese David Mills, appena condannato in Italia su segnalazione della magistratura inglese?

5) Nel 1973 il tutore dell’allora minorenne ereditiera Anna Maria Casati Stampa si occupò della vendita al Sig. Silvio Berlusconi della tenuta della famiglia Casati ad Arcore. La tenuta dei Casati consisteva in una tenuta di un milione di metri quadrati, un edificio settecentesco con annesso parco, villa San Martino, di circa 3’500 metri quadri, 147 stanze, una pinacoteca con opere del Quattrocento e Cinquecento, una biblioteca con circa 3000 volumi antichi, un parco immenso, scuderie e piscine. Un valore inestimabile che fu venduto per la cifra di 500 milioni di lire (250'000 euro) in titoli azionari di società all'epoca non quotate in borsa, che furono da lei riacquistati pochi anni dopo per 250 milioni.(125'000 euro). Il tutore della Casati Stampa era un avvocato di nome Cesare Previti. Questo avvocato è lo stesso che poi è diventato suo avvocato della Fininvest, senatore di Forza Italia, Ministro della Difesa, condannato per corruzione ai giudici, interdetto dai diritti civili e dai pubblici uffici, e che lei continua a frequentare?

6) A Milano, in via Sant’Orsola 3, nacque nel 1978 una società denominata Par.Ma.Fid. La Par.Ma.Fid. è la medesima società fiduciaria che ha gestito tutti i beni di Antonio Virgilio, finanziere di Cosa Nostra e riciclatore di capitali per conto dei clan di Giuseppe e Alfredo Bono, Salvatore Enea, Gaetano Fidanzati, Gaetano Carollo, Carmelo Gaeta e altri boss – di area corleonese e non – operanti a Milano nel traffico di stupefacenti a livello mondiale e nei sequestri di persona.
Signor Berlusconi, importanti quote di diverse delle suddette ventitré Holding verranno da lei intestate proprio alla Par. Ma.Fid. Per conto di chi la Par.Ma.Fid. ha gestito questa grande fetta del Gruppo Fininvest e perché lei decise di affidare proprio a questa società una parte così notevole dei suoi beni?

7) Signor Berlusconi da dove sono venuti gli immensi capitali che hanno dato inizio, all’età di ventisette anni, alla sua scalata al mondo finanziario italiano?

Vede, Signor Berlusconi, tutti gli eventuali reati cui si riferiscono le domande di cui sopra sono oramai prescritti. Ma il problema è che i favori ricevuti dalla mafia non cadono mai in prescrizione, i cittadini italiani, europei, i primi ministri dei paesi con cui lei vuole incontrarsi, hanno il diritto di sapere se lei sia ricattabile o se sia una persona libera.

P.S. Dato che lei è già stato condannato in via definitiva per dichiarazioni false rese ad un giudice in un tribunale, dovrebbe farci la cortesia di fornire anche le prove di quello che dice, le sole risposte non essendo ovviamente sufficienti". (Micromega)

"Dunque la mafia si aspettava favori da Silvio Berlusconi e minacciava, in caso contrario, di fare del male a suo figlio Piersilvio. Lo dimostra un foglio manoscritto, forse da Riina in persona, che l’aveva girato a Provenzano perché lo facesse pervenire al Cavaliere o a Dell’Utri tramite Vito Ciancimino. La richiesta era semplice: una delle tante tv berlusconiane a disposizione di Cosa Nostra, altrimenti “dovrà essere compiuto un luttuoso evento”. Nel paese degli smemorati, giornali e telegiornali annunciano la cosa come se fosse strana e inedita. In realtà sono quasi quarant’anni, da quando nel 1974 Marcello Dell’Utri infiltrò un mafioso travestito da stalliere nella villa di Arcore, che va avanti lo stop and go.

Favori e contraccambi, minacce e ricatti. Per chi ha scoperto solo ora che il premier è ricattabile (da qualche decina di escort, ragazze immagine, letterine, letteronze e papponi), sarà una sorpresa. Per chi conosce le carte, è una conferma. L’ennesima. Basta leggere la telefonata intercettata a Milano alle ore 9:27 del 17 febbraio 1988 fra Berlusconi e il suo socio immobiliarista, Renato Della Valle, all’epoca indagato per bancarotta, e pubblicata in vari nostri libri (dunque mai raccontata in tv).

BERLUSCONI - Renato...

DELLA VALLE - Ciao, Silvio.

BERLUSCONI - Come stai?

DELLA VALLE - Bene. È appena partito Franco Carraro.

BERLUSCONI - Ah, sì? Dov’è andato?

DELLA VALLE - Andava giù a Roma.

BERLUSCONI - Era lì da te?

DELLA VALLE - Sì.

BERLUSCONI - Allora...

DELLA VALLE - È stato ieri sera al processo.

BERLUSCONI - Diavolo di un uomo, sempre in mezzo ai ministri.

DELLA VALLE - Eh, be’. Ieri ho parlato, poveretto, con Nicolazzi [Franco Nicolazzi, Psdi, ministro dei Lavori pubblici, in quei giorni sotto inichiesta per le tangenti sulle «carceri d’oro», nda].

BERLUSCONI - Mmh.

DELLA VALLE - M’ha telefonato.

BERLUSCONI - Oggi questi stronzi del mio «Giornale» gli han messo un titolo in prima pagina del cazzo.

DELLA VALLE - Eh, ho visto.

BERLUSCONI - Ma son proprio dei figli di troia, guarda.

DELLA VALLE - Mmh.

BERLUSCONI - E non so più cosa fare io. Mamma mia, non so più cosa fare.

DELLA VALLE - M’ha telefonato: era giù da matti per ’sta storia qui. Lo sai la cosa triste? Che lui proprio non c’entra niente, eh.

BERLUSCONI - Ma lo so.

DELLA VALLE - Quello non c’ha una lira, eh. Mah!

BERLUSCONI - Guarda...

DELLA VALLE - Come andiamo, Silvio?

BERLUSCONI - Eh?

DELLA VALLE - Come andiamo?

BERLUSCONI - Ma, guarda, vado male da un punto di vista fisico, perché mi è venuto... c’ho un’artrosi, più un... un po’ di altri dolori. Mi sono bloccato sulla sinistra, dietro, tutto.

DELLA VALLE - Ma va!

BERLUSCONI - E allora sono messo male fisicamente. E poi c’ho tanti casini in giro, a destra, a sinistra. Ce n’ho uno abbastanza grosso, per cui devo mandar via i miei figli, che stan partendo adesso per l’estero, perché mi han fatto estorsioni... in maniera brutta.

DELLA VALLE - Oh, Madonna!

BERLUSCONI - Una cosa che mi è capitata altre volte, dieci anni fa, e... Sono ritornati fuori.

DELLA VALLE - Senti, Silvio...

BERLUSCONI - Mmh.

DELLA VALLE - Eh, va be’, no... hai St. Moritz, se no ti dicevo: se vuoi mandarli anche qui a casa mia, non ci son problemi, eh.

BERLUSCONI - Grazie, ma li mando molto più lontano.

DELLA VALLE - Ah.

BERLUSCONI - Sai, siccome mi hanno detto che, se, entro una certa data, non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio a me ed espongono il corpo in piazza del Duomo...

DELLA VALLE - Oh, Madonna!

BERLUSCONI - E allora son cose poco carine da sentirsi dire e allora, ho deciso, li mando in America e buona notte.

DELLA VALLE - Senti, ma vai anche tu... fuori.

BERLUSCONI - Eh, io c’ho un po’ di cosette qua da fare.

DELLA VALLE - Eh, ma chi se ne frega, Silvio. Però insomma, se... se t’han dato una data, fino a quella data lì, vai anche tu.

BERLUSCONI - Ma, vedi, no, io sono qui difeso... per casa...

DELLA VALLE - Se vuoi venire qui a casa mia...

BERLUSCONI - Ascolta...

DELLA VALLE - Devono passare sul mio cadavere, eh.

BERLUSCONI - Così ci mettono la bomba in du... ci fan saltare in due. (ride)

DELLA VALLE - No!

BERLUSCONI - ...(incompr. per sovrapposizione delle voci) uno (ride)

DELLA VALLE - Ma cosa vuoi che faccian saltare. La bomba...

BERLUSCONI - Senti un po’... tutto bene lì, i ragazzi, tutto bene?

DELLA VALLE - Sì, sì, tutto bene.

BERLUSCONI - Tua moglie?

DELLA VALLE - Mi rattrista ’sta cosa, cazzo.

BERLUSCONI - Eh, va be’, cosa ci vuoi fare? Senti, tua moglie sta bene?

DELLA VALLE - Bene, bene.

BERLUSCONI - Senti... io... niente, ero in debito anche di una risposta su Tanzi.

DELLA VALLE - Eh.

BERLUSCONI - Francamente non mi è venuto in mente un Cristo (ride) (...)

DELLA VALLE - Senti... quando è quella scadenza?

BERLUSCONI - Di Rizzoli?

DELLA VALLE - No, no, no, la scadenza di quei de... delinquenti lì che t’han detto...

BERLUSCONI - Fra sei giorni.

DELLA VALLE - Perché non prendiamo l’aereo domani, molliamo tutto e andiamo a fare un giro?

BERLUSCONI - No, io son qui con...

DELLA VALLE - Anch’io. Sapessi i casini che c’ho in ballo io, non ne hai idea.

BERLUSCONI - Eh.

DELLA VALLE - Però, vaffanculo, andiamo... andiamo in giro per il mondo. Eh, se quelli hanno un Grumond (fonetico, parola non certa) che va forte come noi, ci beccano. Ma proprio da stare un giorno in un posto, un giorno in un altro.

BERLUSCONI - Sì, va be’, ma, avendo allontanato l’oggetto, capisci?

DELLA VALLE - Sì, va be’, ma, Silvio, se sono sei giorni...

BERLUSCONI - No, son preoccupato piuttosto per il Paolo, così, insomma.

DELLA VALLE - Be’, Paolo, scusa, portiam via anche lui.

BERLUSCONI - Eh, sì. Va be’.

DELLA VALLE - Ragazzi, il mondo si ferma, eh.

BERLUSCONI - Va be’, lo so, lo so.

DELLA VALLE - Eh.

BERLUSCONI - Va be’.

DELLA VALLE - Facciamolo... Silvio, facciamolo davvero.

BERLUSCONI - Ma no, dài. Io c’ho tante cose da fare qui. Io poi non ci credo a quelle robe lì, lo sai.

DELLA VALLE - Hai paura di diventare povero?

BERLUSCONI - No.

DELLA VALLE - Sei giorni?

BERLUSCONI - No.

DELLA VALLE - Dài. Andiamo a fare sei giorni i pirla per il mondo.

BERLUSCONI - No, no, ma io ti dico sinceramente che, se fossi sicuro di togliermi questa roba dalle palle, pagherei tranquillo, così almeno non rompono più i coglioni.

DELLA VALLE - Eh, lo so, ma solo che questi qui... poi te lo... ci provano ancora, eh. Be’, ma, Silvio, avrai tutta la collaborazione che serve, no?

BERLUSCONI - Sì, sì, tutti quanti. Sono molto... sono molto bravi.

DELLA VALLE - Eh.

BERLUSCONI - Va be’. Senti, Renato...

DELLA VALLE - Mi dispiace molto, Silvio.

BERLUSCONI - Ci sentiamo (...)

Dal che si apprende, fra l’altro, che Berlusconi non trova niente di strano nel “pagare tranquillo” il pizzo ai mafiosi, “così almeno non rompono i coglioni”. E’ lo stesso soggetto che oggi fa il presidente del Consiglio e dovrebbe, eventualmente, combattere i mafiosi che vent’anni fa intendeva pagare, e dovrebbe pure incoraggiare i cittadini a denunciare le richieste estorsive, anziché cedervi. Mission impossible.Ora però sappiamo anche che cosa voleva la mafia da lui: una televisione. Naturalmente nessuno, raccontando questa storia, si pone e gira a chi di dovere le due domande fondamentali.
1) Come poteva Riina pensare che Provenzano e Vito Ciancimino (i suddetti sono tre boss mafiosi) fossero in grado di raggiungere Silvio Berlusconi?
2) Come mai quel documento, sequestrato nel 2004 in casa Ciancimino dalla Procura di Palermo allora diretta da Piero Grasso, non era agli atti del processo d’appello in corso a carico del figlio dell’ex sindaco di Palermo, e salta fuori soltanto ora? E come mai la Procura di Grasso, quando interrogò Ciancimino junior per giorni e giorni, non gli pose neppure una domanda su quella lettera autografa di Riina diretta a Berlusconi? L’onorevole avvocato Niccolò Ghedini, interpellato dalla Stampa, cade dalle nuvole: “E’ in assoluto la prima volta che sento parlare di questa storia.“E penso che non ne sappia nulla nemmeno il Presidente, altrimenti lo saprei anch’io”. Strano, perché il presidente, al telefono con Della Valle, si mostrava informatissimo della cosa, ed è una di quelle cose che difficilmente si dimenticano. Ma forse l’On.Avv. s’è portato avanti col lavoro, e, in attesa di abolire le intercettazioni, ha deciso di dimenticarle. E’ il Lodo Amnesia".(Marco Travaglio)